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INDOVINELLO: UNO E TRINO, ANZI…?

Chi sarà mai l’unico economista italiano a cui Tremonti non dice “silete”, non intima di stare zitti “per igiene”?
Vediamo di arrivarci con indizi successivi.
Primo indizio. E’ uno e doppio. E’ uno, ma doppio è il suo cognome. L’unico commentatore a scrivere in prima pagina su due testate nazionali (Corriere della Sera e Sole 24 Ore) al tempo stesso. 
Secondo indizio. Anzi, è uno e trino perché ripete almeno tre volte i suoi elogi al suo compagno valligiano che di monti ne vanta ben tre.
Terzo indizio. Ecco in effetti alcuni stralci dei suoi interventi sul Corriere della Sera. Il 7 novembre 2008 scriveva: “nella crisi il nostro Paese ha rivelato un Ministro dell’economia, Giulio Tremonti, di impostazione europeista e all’altezza della situazione sia negli Ecofin sia in Italia con l’impronta da lui data ai decreti legge 155 e 157 del 9 e del 13 ottobre”. Il successivo 17 dicembre così descriveva la politica economica del Ministro: “Si tratta di un progetto di politica economica di ampio respiro presentato nitidamente nelle prime pagine del Dpef”. Passavano due settimane e il 30 dicembre voleva chiudere l’anno con un “razionale è stata la scelta del Cipe di sbloccare subito sei miliardi di euro per infrastrutture da selezionare, in un elenco già disponibile, nei prossimi due mesi”.  Bene anche l’inizio del 2009, il 13 gennaio così scriveva “In questa crisi, per ora, il nostro Paese, troppo spesso criticato, si è comportato bene”.  Il 6 febbraio ribadiva “Nel Dpef del luglio scorso vi è un valido programma di legislatura con riforme strutturali”. E così via. Per poi chiudere nel suo ultimo articolo, il 22 giugno: “Il Governo dell’Economia ha adottato misure fino ad ora adeguate e calibrate alle nostre condizioni di finanza pubblica che Giulio Tremonti tiene bene sotto controllo”. Un vero antidoto al disfattismo che pervade gli economisti italiani, insomma.
Quarto e ultimo indizio. Più che uno e trino, è uno e…

Quintio e Orazio

Abbiamo ricevuto 15 risposte esatte e una errata. Forse troppo facile…

GIORNALI, PREVISIONI E ALTRI VENEFIZI

Apprendiamo che buona parte delle responsabilità della crisi sono attribuite dal Presidente del Consiglio ai giornali che parlano della crisi stessa e creano “sfiducia e paura, nel pubblico di consumatori, che così indugiano in comportamenti di risparmio invece che di spesa”. E poi che “non si deve continuare a parlare di una crisi profonda, chi lo fa porta nei consumatori una paura che modifica le abitudini degli acquisti. Da qui si verifica la regressione negli ordini delle aziende”. Insomma la crisi è propagata da chi ne parla e fa previsioni pessimiste.
La mente corre a frasi lette e rilette in gioventù…

“Coloro i quali avevano impugnato così risolutamente, e così a lungo, che ci fosse vicino a loro, tra loro, un germe di male, che poteva, per mezzi naturali, propagarsi e fare una strage; non potendo ormai negare il propagamento di esso, e non volendo attribuirlo a que’ mezzi (che sarebbe stato confessare a un tempo un grand’inganno e una gran colpa), erano tanto più disposti a trovarci qualche altra causa, a menar buona qualunque ne venisse messa in campo. Per disgrazia ce n’era una in pronto nelle idee e nelle tradizioni comuni allora, non qui soltanto, ma in ogni parte d’Europa: arti venefiche, operazioni diaboliche, gente congiurata a sparger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malíe. Già cose tali, o somiglianti, erano state supposte e credute in molte altre pestilenze, e qui segnatamente, in quella di mezzo secolo innanzi” (A. Manzoni, I promessi sposi, Einaudi-Gallimard, pp. 457-458).
“In principio, dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi una vera peste; vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro” (ibidem, p. 461).

L’EVASORE FINALE

Alcune delle ragazze ingaggiate da Tarantini per incontrare Berlusconi hanno dichiarato ai giornali di essere state compensate a fronte di ben precise prestazioni di lavoro (circostanza che, però, Tarantini nega).
Barbara Montereale dichiara di avere ricevuto un “gettone di presenza” di 1000 euro per la sua prestazione come “ragazza immagine” e sempre 1000 euro è quello che dichiara di avere ricevuto Patrizia D’Addario per un’analoga prestazione: «Era notte, quindi sono andata in albergo e Giam­paolo mi ha detto che mi avrebbe dato soltanto mille euro perché non ero rimasta». La tariffa sembrerebbe quindi essere differenziata giorno/notte. “la ragazza che dovrà restare a letto, se è una escort, … sicuramente …viene pagata”, ci ricorda ancora, nella sua videointervista a Repubblica, Barbara Montereale.
Quale rilevanza fiscale hanno nel nostro ordinamento queste tipologie di compensi (se) ricevuti a fronte di prestazione di servizi?
Se “le ragazze” hanno partita Iva, avrebbero dovuto rilasciare regolare fattura e addebitare all’acquirente l’Iva del 20%. Dovrebbero poi dichiarare in Irpef il reddito percepito.
Se invece il provento fosse stato corrisposto a fronte di prestazioni occasionali (o anche di attività illecite come la prostituzione) l’Iva non sarebbe dovuta, ma il reddito andrebbe comunque dichiarato nella categoria dei “redditi diversi” ai fini dell’Irpef. L’Irpef è quindi sempre dovuta, come è giusto che sia: in definitiva i 1000 euro presi in un giorno sono pari a quanto prende, all’incirca, in un mese, una larga parte dei lavoratori dipendenti per i quali l’Irpef è direttamente trattenuta dal datore di lavoro.
 Si può dunque prevedere uno sviluppo dell’affaire anche sul fronte fiscale. La Guardia di Finanza, che sta indagando sulla vicenda, appurerà non solo se questi corrispettivi siano stati effettivamente erogati, ma anche se, in relazione ad essi, siano stati assolti gli obblighi tributari previsti o non siamo invece di fronte all’ennesimo caso di evasione fiscale.
 Anche questi sono problemi, di non poco conto, di moralità pubblica.

MINISTRO MELONI BATTA UN COLPO!

Se con la recessione in giro per il mondo è un brutto momento per tutti, in Italia sembra essere un momento tragico più che altro per i giovani. La disoccupazione giovanile è aumentata dal 18 al 25 per cento e circa 400 mila precari, quasi tutti giovani, hanno perso un lavoro nel primo trimestre del 2009 rispetto al primo trimestre del 2008. La rilevazione trimestrale delle forze lavoro sembra un vero bollettino di guerra per i lavoratori atipici: sono andati distrutti 150 mila lavori a termine, 100 mila collaboratori e 150 mila lavoratori autonomi, tra i quali vi sono diverse partite IVA “parasubordinate” che forniscono le loro prestazioni a un solo committente. Il lavoro a tempo indeterminato, protetto dalla cassa integrazione, è invece aumentato. Se non fosse grazie all’occupazione straniera, che ha registrato una nuova crescita, l’occupazione italiana sarebbe addirittura diminuita di 426 mila unità. Dei 400 mila lavoratori precari che hanno perso lavoro, al massimo uno su tre ha accesso al sussidio di disoccupazione ordinario. Questi giovani sono stati beffati due volte. Hanno avuto un lavoro decisamente meno protetto di quello dei loro padri e, una volta disoccupati,  vengono completamente abbandonati dallo Stato. In modo quasi provocatorio, il Ministro Sacconi ha ieri annunciato di voler creare un bonus da destinare a quelle imprese che assumono lavoratori in cassa integrazione. Come se i 400 mila precari neodisoccupati non esistessero e non fossero il vero problema emerso dalla rilevazione trimestrale dell’Istat.  Sindacati e Confindustria annuiscono. Giorgia Meloni, titolare del dicastero per i giovani, almeno lei batta un colpo!

L’IMBIANCHINO DI SACCONI

Nel suo recente intervento alla riunione dei giovani industriali, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha invitato i giovani ad accettare anche i lavori più umili, come l’imbianchino, piuttosto che inseguire una formazione fatiscente, come le lauree in scienze della formazione. Se l’obiettivo fosse solo quello di riconoscere dignità anche all’imbianchino, o ai lavori manuali in generale, nulla da dire. Ma l’intervento racchiude anche un sottile messaggio ideologico, che ben si inserisce nell’offensiva culturale più generale portata avanti dall’attuale governo. È un’offensiva che tende a riproporre il “buon tempo antico” come la soluzione dei problemi italiani odierni, crisi globale inclusa, e che trova orecchie interessate in una parte della società italiana, come gli industriali. Che difatti, dicono i resoconti della stampa, si sono spellati le mani per applaudire il ministro.
Il messaggio è semplice. Basta con questi giovani che vogliono lavorare nella finanza o nell’industria culturale. Torniamo invece alla fabbrica e al duro lavoro nella manifattura, e tutto andrà come prima, come al tempo del mitico miracolo italiano. Insomma, come recitava una canzone, anch’essa dei bei tempi andati, il problema italiano è oggi più che mai che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Facesse l’operaio, invece, saremmo a posto.
Ahimé, nulla di più falso. Intanto, la scuola e l’università italiana ripresentano imperterrite le disuguaglianze sociali pre-esistenti, invece di correggerle come dovrebbero. Il numero dei diplomati e laureati italiani poi è ancora nettamente inferiore alla media europea; e il divario di competenze degli studenti italiani rispetto alla media dei paesi sviluppati è, soprattutto in alcune zone del Paese, abissale. La bassa qualità del capitale umano italiano è al contempo causa ed effetto del circuito perverso di bassa produttività e bassi salari in cui l’Italia pare si sia adagiata negli ultimi anni. La terza media è probabilmente sufficiente se si tratta di operare un tornio o far girare una macchina. Non lo è se si devono produrre quei servizi a sostegno della moderna industria che ne rappresentano buona parte del valore aggiunto. A Sacconi e a chi l’applaude andrebbe ricordato che grazie ad alcune circostanze favorevoli si può diventare ricchi anche essendo ignoranti. È difficile però che si resti ricchi, se si rimane ignoranti, quando quelle condizioni mutano.

I MODELLI ECONOMETRICI

Io normal fui da studente,
ma nell’algebra scadente
e i modelli algoritmati
mai li ho padroneggiati.

Forti avevo, irritazioni,
per quell’orride equazioni,
tutto preso dal rovello
pel misterico modello.

Il prodotto e occupazione,
poi l’export e importazione,
tassi in calo ed in aumento
il consumo e investimento,

tutto dentro al computore,
poi pigiando lo startore,
ecco qua un bel risultato,
sul giornale pubblicato.

Tutti i broker ebber modelli
e decisero con quelli,
che però davan ragione
sol se sal la quotazione.

Ha il modello il derivato,
pure il fondo strutturato
anche l’Ocse l’ebbe in più,
mentre il rating dava A+++.

Ma un bel giorno l’esercizio
dimostrò tutto il suo vizio,
che di quello che è accaduto
niente aveva preveduto.

Si trattò di un mega errore,
che pagò il risparmiatore,
ma neppure scusa chiese,
né arrossì ch’il granchio prese.

Ora io non fo questione
su chi fa la regressione,
ma però sul grande crollo
lui dovea volgere il collo.

Ma se tutto va per bene,
il modello non ci preme
e se omise il fortunale,
ancor meno allora vale.

LA PRECARIA INDAGINE SUI PRECARI

L’Italia è uno dei pochissimi paesi europei in cui non sono ancora disponibili dati sull’occupazione e la disoccupazione nel 2009. Questi dati vengono raccolti sulla base di rilevazioni continue, il che significa che, ad esempio, anche oggi sono in corso rilevazioni. Poi i dati vengono centralizzati, si svolgono una serie di controlli di coerenza e poi vengono elaborati. Tutto questo richiede circa tre mesi. Ciò non impedisce dunque a un istituto di statistica di pubblicare ad aprile i dati di gennaio, a maggio quelli di febbraio e così via. Da noi, invece, si aspetta la fine di ogni trimestre per rendere pubblici i dati, il che significa che solo a fine giugno sapremo cosa è accaduto nei primi mesi del 2009. Questo è un fatto molto grave perché impone alla politica economica (e al dibattito pubblico) di operare al buio. Soprattutto in una fase di crisi come quella che stiamo vivendo, questo ritardo è molto costoso. Impedisce, ad esempio, di capire cosa sta succedendo ai lavoratori precari. Quanti di loro hanno già perso il posto di lavoro nella recessione.
Perché in Italia non si pubblicano dati mensili su occupazione e disoccupazione basati sull’indagine sulle forze lavoro? Il problema è che per svolgere un’indagine che interessa i lavoratori precari l’Istat si è dotato di una rete di … precari. Si tratta infatti di circa 320 rilevatori che operano sul territorio con tecniche CAPI (computer assisted personal interviews). Questi rilevatori hanno una tipologia contrattuale – co.co.co. – che la Funzione Pubblica già nel 2005 dichiarò illegittima, intimando all’Istat di cambiarla. Da allora, di anno in anno e di emendamento in emendamento, la rete sopravvive in regime di deroga e in attesa di una "soluzione definitiva". L’ultimo decreto milleproroghe ha concesso l’ennesima proroga ma solo fino al 30 giugno di quest’anno. Nell’attesa di vedere cosa succederà ai rilevatori, l’Istat ha così deciso di rimandare i piani di pubblicazione di dati mensili sulle forze lavoro, lasciando tutto in sospeso.
Ma c’è un rischio ancora peggiore. Nel caso in cui la Funzione Pubblica decidesse di non concedere più la solita proroga, l’Istat potrebbe condurre tutte le interviste senza rilevatori sparsi sul territorio. In altre parole, l’indagine verrà svolta solo per via telefonica. Questo significa ottenere stime distorte e incoerenti con quelle degli anni precedenti, con ripercussioni anche sulla stima del PIL, per la quale l’occupazione stimata a partire dall’indagine forze lavoro rappresenta un asse portante.
Per capire gli effetti di questa scelta, basta ricordare come si svolge oggi l’indagine. Questa prevede quattro interviste per ogni famiglia a cadenze prestabilite. La prima intervista viene effettuata da un rilevatore professionista presso l’abitazione della famiglia con tecnica face to face (CAPI). Quelle successive sono svolte telefonicamente da una società specializzata, tranne che nel caso di famiglie senza telefono o con intestatario straniero. In questi casi, sono gli stessi rilevatori della prima intervista a visitare nuovamente la famiglia. Se tutto dovesse svolgersi con il metodo CATI si rischia di avere una bassa qualità della prima intervista e di non raggiungere le famiglie senza numero di telefono. Inoltre, il metodo CAPI è fondamentale quando si ha a che vedere con famiglie di immigrati, che non parlano bene la nostra lingua.

RCS SULLE NOTE DELL’AIDA

La scorsa settimana Mediobanca ha deciso di alzare da “neutral” ad “outperform” il proprio rating di Rcs Mediagroup, “alla luce di un grande potenziale di crescita del titolo” (il cui target price è stato quasi raddoppiato, da 0,93 a 1,65 euro). Il tutto a pochi giorni dalla presentazione di una trimestrale disastrosa per il gruppo editoriale (perdite più che raddoppiate rispetto allo stesso trimestre del 2008, ricavi in calo quasi del 20 per cento e debito salito a 1,2 miliardi di euro). Di fronte a prospettive quanto mai incerte (per usare un eufemismo) per l’industria dell’editoria a livello globale. Solo sulla base di un piano di ristrutturazione (e di un aumento del prezzo di vendita di Corriere e El Mundo) ancora tutto da definire nei particolari e soprattutto da gestire. Il titolo che aveva molto sofferto in questi mesi, ha conosciuto una marcia trionfale sulle note dell’Aida: + 46% nel giro di due sedute. Molti i commenti (e le indiscrezioni) sulle motivazioni dell’upgrading di Mediobanca. Ma non abbiamo trovato da nessuna parte un rilievo molto semplice: è normale che l’azionista di maggioranza di Rcs Mediagroup, nonché membro del patto di sindacato che controlla il gruppo, faccia un upgrading di Rcs Mediagroup scatenando un rally del titolo? E perché nessuno, dicasi nessuno, ha sollevato il problema? Come mai il Presidente della Consob, così attivo in questi giorni sui giornali nel giustificare le incredibili norme anti-opa (leggasi a protezione degli attuali gruppi di controllo delle società italiane) da lui stesso sponsorizzate, non si è sentito in dovere di intervenire? Sono interrogativi inquietanti anche per l’indipendenza della carta stampata. Non vorremmo che un domani, il Corriere della Sera si sentisse un po’ in difficoltà quando dovrà commentare le scelte di Mediobanca e del suo discusso presidente.

IL COMMESSO DEL SENATO

Del lavoro si è stancato
il commesso del Senato
e ha deciso di lasciare
per infine  riposare.

Il Corrier ne da notizia,
co’una punta di malizia,
quando dice ch’egli ottenne,
poco più che cinquantenne,

un corposo trattamento
di mensile emolumento
pari ad euro milaotto,
assai più d’un terno a lotto,

giacché quindici di mesi
annualmente verran presi.
Per cui cari genitori
il consiglio pei minori

non è quello dell’impegno
a studiar legge o disegno
e neppur l’ingegneria
o in Bocconi economia.

Né di prendere un diploma,
ma cercarsi proprio a Roma
un bel posto di commesso
nel Senato o altro consesso,

che alla fin della carriera
la pensione è tutta intera!
La fortuna l’ha baciato,
è un commesso del Senato!

MONOETNICI A CASORIA

Secondo il Presidente del Consiglio l’Italia non è un Paese multietnico. Non è chiaro cosa voglia dire Silvio Berlusconi con questa affermazione. In Italia, secondo l’Istat, gli stranieri residenti sono circa 3,9 milioni su una popolazione totale di 60 milioni, quindi attorno al 6,5 per cento. Questa percentuale è inevitabilmente destinata a salire nei prossimi anni fino a raggiungere, secondo alcune proiezioni, il 10 per cento nel 2020. Uno su dieci stranieri residenti, ai quali si aggiungeranno gran parte degli italianissimi figli degli attuali stranieri. Ma la presenza di etnie diverse la osserva già ora chi accompagna i propri figli a scuola o semplicemente sente da loro racconti sui compagni di classe dai nomi come Jair, Biniam, Selma. La osserva chi va a correre al parco durante il weekend e vede partite in cui squadre composte da peruviani, filippini e italiani sfidano altre squadre composte da brasiliani, marocchini e italiani. La osserva chi ha parenti anziani assistiti da badanti lituane o donne eritree che fanno le pulizie in casa. La osserva chi rientra a casa la sera nelle carrozze stipate della metropolitana o chi guida per le strade delle nostre città e si vede chiedere l’elemosina ad ogni semaforo. Insomma, la multietnicità dell’Italia si vede dappertutto. Ovunque, tranne forse alle feste di compleanno delle diciottenni di Casoria.

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