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Quello che l’Europa non chiede

L’Italia sta attraversando quasi disarmata la crisi economica più grave del dopoguerra. Non può svalutare, avendo come moneta l’euro. Non può “stampare moneta”, come stanno facendo Stati Uniti, Regno Unito e Giappone perché non ha una banca centrale autonoma, avendo delegato alla Bce la gestione della politica monetaria. Non può avere una politica fiscale espansiva perché le regole europee impongono un rapporto deficit/Pil non superiore al 3 per cento e il Fiscal Compact imporrà (almeno in teoria) nei prossimi anni una riduzione del rapporto debito/Pil.

Non morire di Tav

Sembra incredibile che il cocciuto rifiuto di una decisione politica legittima, ancorché sbagliata, possa spingere qualcuno ad agire come la mafia (bruciando i “mezzi di produzione” delle imprese), a mettere in pericolo la sicurezza dei lavoratori, costringendo alla mobilitazione di centinaia di agenti di polizia e addirittura a resuscitare le velleità “egemoniche” delle (nuove?) brigate rosse (basta una imbarazzata presa di distanza ex post?). Eppure è accaduto in Val di Susa, per la tormentata e tormentosa TAV.

Luci e ombre dalla scuola

Il decreto legge approvato lunedì dal Consiglio dei ministri rappresenta una chiara inversione di tendenza rispetto a quanto realizzato dai due governi precedenti, Monti e Berlusconi. Aver preso atto che il settore della scuola non poteva essere ulteriormente sacrificato per ragioni di pareggio di bilancio, e che gli insegnanti italiani stanno andando in pensione a ritmi sempre più elevati per ragioni puramente anagrafiche ci sembra un segnale politico importante

Il buio si infittisce

Il decreto varato martedì dal Governo prevedeva la reintroduzione della tassazione in sede Irpef (al 50 per cento) delle rendite catastali degli immobili non locati e dava a imprese e professionisti la possibilità di dedurre il 50 per cento dell’Imu pagata sugli immobili strumentali dalle imposte sul reddito. Nel giro di tre giorni tutto è cambiato e, nella versione pubblicata ieri in Gazzetta ufficiale, non c’è nessuna di queste misure. Non c’è la deduzione per le imprese perché non c’è la copertura, che appunto doveva essere garantita dalla reintroduzione della tassazione in sede Irpef. Naturalmente, secondo il governo la colpa del pasticcio è tutta dei commentatori che si sono basati su “illazioni”, benché le illazioni fossero appunto la bozza del decreto approvato dal Consiglio dei Ministri.

Pochi scelgono l’Italia

Sono stati appena pubblicati i risultati degli Erc Grants per giovani ricercatori. Lo European Research Council amministra i cosiddetti starting grants per giovani studiosi con non più di sette anni dal conseguimento del PhD e i senior grants per ricercatori più anziani. Si tratta di un fondo di ricerca consistente (circa un milione di euro per quattro anni).Il finanziamento è legato a un particolare ricercatore, che può decidere dove utilizzarlo anche spostandosi da una istituzione a un’altra nel corso dei quattro anni. La sede di ricerca rappresenta quindi un indicatore dell’attrattività di un paese e delle sue istituzioni di ricerca.
Già in passato il Bel Paese non aveva brillato per attrattività: solo il 7 per cento dei vincitori aveva scelto di utilizzare il grant in Italia, circa il 15 per cento dei ricercatori aveva scelto la Francia e la Germania, mentre il 20 per cento l’Inghilterra. I risultati pubblicati ieri per i junior grants e riassunti nelle due tabelle evidenziano che tra i 287 ricercatori che lo hanno vinto 60 hanno scelto di lavorare in Gran Bretagna, 46 in Germania e 32 in Israele. Per noi non sono buone notizie: solo 8 ricercatori (meno del 3 per cento) ha scelto l’Italia come sede della propria ricerca. Tra gli 8, un solo straniero ha deciso di lavorare in Italia. Infine altri 10 italiani hanno vinto il grant, ma hanno deciso di utilizzarlo in altri paesi.
 
Fig.1 Beneficiari per paese dell’istituzione ospitante
Schermata 2013-07-20 alle 16.57.29
Fig.2 Beneficiari per nazionalità del vincitore
Schermata 2013-07-20 alle 16.57.49
 
Fonte: European Research Council 

Compagnia di giro

Si sa: per giudicare una compagnia teatrale bisogna aspettare di vederla recitare sul palcoscenico, con le luci, le scene e i costumi appropriati. Eppure, se i nomi in cartellone non entusiasmano, se si sospetta siano stati scelti più per la loro nota amicizia col produttore o per le comparsate in telenovelas di successo, si parte un po’ prevenuti. Saranno veramente adatti a recitare una commedia delicata ed elusiva come il Cimbelino o una tragedia morale e poetica come il Re Lear?
Ecco, le domande che vengono spontanee alla mente leggendo i nomi della terna designata dal governo per l’Autorità dei trasporti sono queste: come e perché sono stati scelti questi “attori”? Sono forse i migliori su piazza per il ruolo? O sono solo amici di questo o quell’impresario? La “procedura” con cui sono stati scelti è tra le più opache: nessun bando pubblico per sollecitare candidature, nessuna enunciazione di requisiti, salvo quei pochi indicati dalla legge che, peraltro, sembra siano stati elusi nella sostanza se non nella forma.
Peccato. Erano quasi dieci anni che si aspettava la costituzione di un’Autorità indipendente per mettere finalmente su terreno solido una regolazione credibile e pro-concorrenziale un settore complesso e diversificato come quello dei trasporti, che ha ricadute sociali e di finanza pubblica di primaria importanza. Uno dei designati di oggi (Mario Valducci, tra i fondatori di Forza Italia, stando a Wikipedia) era presidente della commissione parlamentare che aveva bocciato la terna designata da Mario Monti un anno fa; un’altra designata (Barbara Marinali) faceva parte anche della terna bocciata; il terzo (Andrea Camanzi, si dice di area dalemiana) sostituisce Mario Sebastiani come presidente designato, con molte meno competenze in materia di trasporti e più esperienza di Autorità (è in quella dei lavori pubblici: un vero professionista delle authorities).
Buio. Sipario. Si va in scena. Forse.

La flessibilità rigida

Ce l’abbiamo fatta? Sono effettivamente aumentati i margini di manovra per la politica di bilancio italiana? E di quanto? La Commissione europea concede ai paesi che rispettano la soglia del 3 per cento, riferita al disavanzo effettivo, di deviare dall’obiettivo di medio termine del pareggio strutturale (vale a dire, del disavanzo corretto per il ciclo pari a zero). Purché, tuttavia, si continui a restare al di sotto della soglia del 3 per cento.

La leggenda dei 200mila nuovi posti di lavoro

Il pacchetto di misure per il lavoro varato martedì dal governo prevede una riduzione del 33 per cento del costo del lavoro per le assunzioni di persone con meno di 30 anni fino all’esaurimento delle risorse disponibili.

Le mani sul turismo

Al recente Festival dell’Economia di Trento, il premio Nobel Michael Spence ha messo in evidenza i problemi di crescita dei paesi europei sia negli ultimi decenni, sia in prospettiva e ha indicato nel settore dei servizi, non in quello manifatturiero, il fattore trainante su cui puntare. Un’indicazione interessante per l’Italia, che gode di un vantaggio comparato  nel campo turistico grazie a un patrimonio senza rivali in termini di bellezze naturali e  tesori artistici. Il tutto condito da clima favorevole e, perché no?, una gastronomia sempre più apprezzata.

Più borsa o solo meno Consob?

La lettura della relazione annuale della Consob lascia allibiti. E non per quello che c’è scritto, ma per ciò che non c’è.  Era difficile riuscire a generare un vuoto pneumatico dopo sei anni di crisi finanziaria. Il presidente Vegas magistralmente ci è riuscito. Così mentre si avverte sempre di più la necessità di trovare fonti di finanziamento alternative alle banche per le nostre imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, il rapporto non dice nulla su ciò che Consob ha fatto o intende fare per ampliare i mercati dei capitali in Italia e veicolare credito alle Pmi.

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