Per chi come me studiava in Inghilterra alla fine degli anni Ottanta la signora Thatcher era una specie di spaventapasseri. Era diventata lo zimbello dei gruppi rock e punk che andavano per la maggiore come i Clash. Era anche lo zimbello degli economisti più bravi (come Steve Nickell a Oxford e Charlie Bean a LSE) che studiavano tutti economia del lavoro e con i loro studi evidenziavano i costi sociali delle politiche fiscali e monetarie restrittive della Lady di Ferro e della sua vittoriosa battaglia contro i minatori.
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“Veloce come Mennea”. Per chi è cresciuto negli anni ’70 in Italia non ci poteva essere complimento più grande, se si parlava di rapidità. Il termine di paragone assoluto. Pietro Mennea, morto ieri a 60 anni, era il Bolt di quegli anni. Record del mondo sui 200 metri nel 1979 a Città del Messico con un tempo, 19’’72, che avrebbe resistito per quasi 20 anni. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca l’anno dopo, sempre sui 200 metri. Mennea era però diversissimo da Bolt. Un fisico “normale”, del tutto sprovvisto degli enormi muscoli che hanno i velocisti di oggi.
Senza la pistola alla tempia dei mercati finanziari, l’Europa si ferma. Le conclusioni del Consiglio europeo del 14 marzo sono un atto notarile, in cui si prende atto di iniziative avviate e non ancora concluse, di obiettivi da raggiungere non si sa come. Un esempio per tutti: l’unione bancaria.
Prendersela con l’ex ministro Giulio Tremonti, soprattutto in campagna elettorale, è quasi come sparare a un bue legato all’albero o, per un pescatore subacqueo, a un polpo di notte: impossibile mancarlo. Ne dice tante in questi giorni e molte al limite della sfrontatezza. Ad esempio che l’Italia è in recessione da sei anni e che la recessione è molto dura. Ci ha messo tanto ad ammetterlo, ma finalmente anche lui se ne è accorto dopo mesi e mesi passati a sostenere che la crisi era in America, non in Italia, quando il Pil da noi calava di 6 punti e negli Stati Uniti di 2.
La boutade dell’ultima ora è che non bisogna tassare la casa perché è incostituzionale dato che la Costituzione tutela il risparmio. Ovviamente se è così, è anche incostituzionale tassare i Bot, i Btp, i conti correnti, i rendimenti azionari e così via – ovvero il risparmio finanziario. Non è risparmio anch’esso? Non va ugualmente tutelato? E perché allora Tremonti stesso, nelle vesti di ministro dell’Economia, istituì l’imposta di bollo sui depositi titoli nella manovra del luglio 2011? Dimenticanza costituzionale per il troppo caldo? Ma, proseguendo il ragionamento, poiché il risparmio altro non è che il reddito meno il consumo, se è incostituzionale tassare il risparmio, sarà anche incostituzionale tassare la sua definizione. Quindi anche le tasse sul reddito (e anche quelle sul consumo?) sono incostituzionali. Rimane solo la tassa sulla spazzatura, ma quella va agli enti locali. E così abbiamo garantito il pareggio di bilancio: zero tasse, zero spese. Potevamo “risparmiarci” di aggiungere un articolo in Costituzione, bastava interpretare bene l’articolo 47.
Molti commentatori hanno in questi giorni sostenuto la necessità di separare nettamente il management delle banche dalla politica. Siamo d’accordo. Come mostrano gli studi di Paola Sapienza, non è chiaro quali siano gli obiettivi di banche in cui continua a esserci una forte influenza della politica. Il loro comportamento è influenzato da interessi locali e cicli politici più che dal desiderio di garantire redditività ed efficienza.
Il vero problema è: come?
Cambia il nome, ma le abitudini della vecchia legge finanziaria non si perdono. Le modifiche che il Senato sta apportando alla legge di stabilità stravolgendone l’impianto a un paio di giorni dall’approvazione definitiva del provvedimento richiamano il fatidico assalto alla diligenza.
Sembrava una battaglia persa. E forse lo è. O forse no. No, non sto parlando della campagna elettorale di Berlusconi, ma del calcio a Natale. Meglio, a Santo Stefano. Ormai da tanti anni la Premier League ha la sua giornata più seguita il 26 dicembre, nel Boxing Day. E anche quest’anno dalle 4 di pomeriggio fino alle 11 di sera gli spettatori di tutto il mondo potranno guardare Manchester United, Chelsea, Liverpool e tutte le altre squadre inglesi giocare. La serie A sarà invece, come al solito, chiusa per ferie. I calciatori del nostro campionato più importante saranno in larga maggioranza a prendere il sole in resort situati in isole tropicali. Ma, ecco la novità, la serie B scenderà regolarmente in campo per la 21° giornata di campionato.
Non cresciamo da oltre un decennio, la disoccupazione e’ salita al 10,8 per cento, fra i giovani supera il 35 per cento. Le ammnistrazioni pubbliche intermediano la metà di quanto il paese produce, evidentemente senza riuscire ad incidere sulla crescita. Per finanziare questa spesa, spesso inefficiente, per farlo hanno portato la pressione fiscale oltre il 50 per cento. Quarant’anni fa era poco sopra il 30 per cento e il paese creceva. Nello scorso decennio abbiamo avuto governi di centro-destra, centro-sinistra. Tecnici, ma i segni di un’inversione di tendenza non si sono visti. A me pare evidente che occorre ripensare il modo radicale al funzionamento della nostra società. Per questo mi preoccupano molto alcune affermazioni di Pierluigi Bersani, il possibile futuro presidente del consiglio.
La Corte dei Conti francese, facendo appunto i conti, afferma in un suo non recentissimo documento ufficiale (1)che la nuova linea Torino-Lione presenta un’utilità sociale per lo meno dubbia e più probabilmente negativa. Per affermarlo si avvale di valutazioni quantitative del tutto analoghe a quelle da anni elaborate sia in Francia che in Italia da chi ha espresso perplessità sulla priorità economico-sociale del progetto. La Corte francese ignora la lacunosa analisi costi-benefici presentata dai promotori italiani e in più si sofferma sugli aspetti finanziari del progetto che – sempre secondo la Corte – presenta rendimenti attesi trascurabili. In Italia, invece, non risulta che l’analisi finanziaria del progetto sia mai stata presentata al pubblico.
Il Primo Ministro francese – rispondendo alla nota della Corte dei Conti l’8 ottobre scorso (da qui la pubblicazione solo recente dei due documenti) – non entra in alcun modo nel merito degli allarmanti “numeri” snocciolati dalla Corte ma, in un documento di singolare lunghezza, parla dei molteplici e pressanti impegni presi in passato con l’Italia e la Commissione Europea. Sorprendentemente (o forse no), ci sono molte somiglianze tra gli argomenti del Primo Ministro francese e quelli usati da gran parte dei politici e dei governanti italiani. A Parigi e a Roma chi ha il dovere di decidere non sembra voler discutere dell’utilità sociale di questo particolare investimento in relazione ad altri possibili progetti su cui impegnare i denari pubblici, ma unicamente evidenzia come la scelta sia frutto dell’altrui volontà, che ci si è reciprocamente vincolati a soddisfare. Viene in mente – che il flatus arrivi da Roma o da Parigi – l’auto-assolutorio borbottio delle vergini spose alla prima notte di nozze: “…non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio”.
Al margine, va segnalato che la nota della Corte dei Conti e la replica del Ministro hanno aperto un vivace dibattito in Francia. In Italia, invece, stampa e televisioni hanno ignorato tutto (fatta eccezione per il Fatto Quotidiano). Eppure, le notizie dalla Francia dovrebbero poter arrivare rapidamente in Italia: non devono mica inerpicarsi per le balze alpine con trogloditi treni sbuffanti. Però è meglio essere prudenti – devono aver pensato i grandi sacerdoti dell’informazione nazionale: con la situazione dei conti pubblici che abbiamo, a qualcuno potrebbero venire in mente strane idee (conclusione del malpensante Ponti). Chissà, si saranno distratti! (conclusione del Boitani buonista).
(1) Doc. CdC REF 64174 del 1° Agosto 2012
L’onorevole Elio Belcastro, del Partito del Sud, denuncia che il prezzo dei voti, nella sordida compravendita che precede le elezioni, ha raggiunto i 300 euro. Belcastro osserva indignato che, in elezioni precedenti, il prezzo non superava i 70 euro.
Lasciamo da parte facili ironie sul fatto che di solito la lamentela sul prezzo viene dal lato della domanda (chi ha una certa età ricorderà forse la buffa canzone “Carlo Martello” di de André, in cui il sovrano lamenta un certo tipo di inflazione). Il punto che voglio fare e’ molto semplice. L’incremento di prezzo non necessariamente indica un peggioramento del senso civico dei siciliani. Invero, il prezzo dei voti potrebbe essere aumentato a causa di una riduzione dell’offerta di voti. Cioe’, se meno votanti sono disponibili a essere comprati, il prezzo di un voto aumentera’ (in equilibrio). In questo caso, la notizia riportata dall’onorevole Belcastro sarebbe una buona notizia.
Questo paradosso e’ un classico della teoria economica. In un mercato in cui sia la domanda che l’offerta possono variare, l’aumento del prezzo di equilibrio indica solo che il rapporto fra domanda e offerta e’ aumentato; ma non consente di trarre conclusioni sui valori assoluti di nessuno dei due lati del mercato. Per fare un esempio concreto, in un altro mercato illecito, quello della droga, un aumento del prezzo e’ generalmente interpretato come un successo, perche’ e’ evidenza che l’interdizione ha effetto.
Quindi: dalla teoria economica arriva un verdetto di assoluzione dei votanti siciliani (seppure per mancanza di prove)!