Simili al Conte Ugolino, gli azionisti di a2a (i comuni di Milano e di Brescia) si buttano sulla loro impresa in pessime condizioni finanziarie e la spolpano per saziare la loro fame.
La notizia è di quelle curiose. Abbiamo un’impresa quotata in borsa (a2a, una delle maggiori multi-utility italiane), che presenta i conti per il 2011, conti caratterizzati da un utile netto negativo per 420 milioni. Questo risultato è dovuto a 168 milioni di utile sulla gestione ordinaria, vanificati purtroppo da oltre 600 milioni di svalutazioni, soprattutto legate alla chiusura della pessima operazione Edison (conclusasi infatti con una minusvalenza) e allo sventurato investimento in Montenegro (che continua a generare perdite). A fronte di queste perdite cosa fanno gli azionisti di controllo (i comuni)? Deliberano di distribuire dividendi.
Si ricordi – ma i nostri lettori questo ben lo sanno – che i dividendi rappresentano quote di utile che, invece di essere reinvestite, vengono distribuite agli azionisti come parziale remunerazione del loro investimento. “Quote di utile”, non di perdite… E invece gli azionisti constatano le perdite, e distribuiscono dividendi che non sono bruscolini, parliamo di circa 40 milioni di euro.
Per certi versi li capisco, intendiamoci. I bilanci dei comuni/azionisti, soprattutto per il comune di Milano, versano in uno stato anche peggiore di quello di a2a, così che spolpare lÂ’impresa delle sue risorse è uno dei pochi modi per tenere a galla i bilanci comunali. Ma questo comportamento impoverisce lÂ’impresa, ne diminuisce le capacità di investire, ne compromette la capacità di finanziarsi (se questo è il modo in cui gli azionisti tengono allÂ’impresa, cosa potranno pensarne i mercati?) Si noti in particolare che a2a è molto presente in settori che hanno un bisogno disperato di investimenti (servizio idrico, rifiuti….) così che i comuni sicuramente rallentano processi di investimento dei quali il territorio ha bisogno. Si chiama depauperamento del patrimonio pubblico.
Il difetto sta nel manico. Mi ricorda qualche impresa ormai defunta nella quale il titolare ha passato la mano ai suoi numerosi eredi, i quali usano lÂ’impresa di famiglia per sostenere il loro tenore di vita. Se un azionista non ha soldi, e se utilizza lÂ’impresa per finanziare le sue spese correnti, siamo allÂ’inizio della fine.