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Categoria: Concorrenza e mercati Pagina 42 di 87

Per un’auto made in Italy

I rischi per l’Italia ma anche per la stessa Fiat messi in evidenza da Fabiano Schivardi, purtroppo sono lungi dall’essere fugati dal comunicato congiunto governo-azienda stilato a valle dell’incontro di sabato.

Con tribunali lumaca l’impresa resta piccola *

Ormai c’è una consapevolezza diffusa in Italia che una giustizia civile lenta sia un freno alla crescita delle imprese italiane e che aziende di piccole dimensioni facciano più fatica a competere sui mercati internazionali. Ma finora non era stato possibile dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra i due fenomeni. Ora però uno studio mostra che, a parità di altri fattori, con una riduzione della durata dei processi civili del 50 per cento, nel settore manifatturiero le imprese sarebbero in media più grandi di circa il 10 per cento.

E l’inefficienza del credito si scarica sulle Pmi

Le piccole e medie imprese italiane, il tessuto produttivo su cui si fonda l’intera nostra economia, non devono fronteggiare solo una seconda profonda recessione dopo quella del 2009. Sono alle prese anche con una stretta creditizia. I dati Bce relativi a giugno 2012, segnalano che le Pmi italiane pagano circa quattro decimi di punto percentuale in più rispetto alla media dell’area euro per contrarre un nuovo finanziamento bancario. È tempo che l’industria bancaria italiana riveda finalmente la sua struttura organizzativa.

Servizi locali: quel che resta della riforma *

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, il sistema dei servizi locali torna alle normative settoriali, rilette però alla luce dei principi comunitari. Che prevedono di norma l’affidamento con gara e l’in house solo se una gestione concorrenziale è in conflitto con la speciale missione dell’ente pubblico. Anche i poteri dell’Antitrust sono stati rafforzati. Ci sono dunque gli strumenti per ridurre le inefficienze gestionali e per liberare risorse da destinare agli investimenti. I rischi connessi al programma di dismissioni per il ridimensionamento del debito pubblico.

Bagni Potemkin

In questo clima agostano diviso tra calura e fibrillazioni dello spread per un giorno il tema delle liberalizzazioni è ricomparso sulle pagine dei giornali. Nella forma un po’ bizzarra di due ore di serrata degli ombrelloni negli stabilimenti balneari italiani.

Austerità e crescita non sono incompatibili

Le slides del discorso che il Professo Giavazzi ha tenuto al Convegno de Lavoce.info, il 4 luglio 2012, in occasione del decennale del nostro sito.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La risposta ai commenti dei lettori mi permette di toccare argomenti che, per motivi di sintesi, non avevo potuto sviluppare nellÂ’articolo.
In primo luogo l’indicatore di competitività considerato, il tasso di cambio effettivo reale aggiustato per il costo del lavoro per unità di prodotto, oltre a essere influenzato dalle diverse quote di mercato verso i paesi che non adottano l’euro e per cui una svalutazione/rivalutazione dei rapporti di cambio determina vantaggi/svantaggi competitivi, è condizionato da altri due fondamentali fattori:

  1. il costo del lavoro. Come sottolineato da alcuni commenti, l’aggiustamento della competitività tra paesi europei potrebbe passare attraverso una variazione del costo del lavoro. Evidentemente pesanti riduzioni dei salari nei paesi in difficoltà avrebbero effetti recessivi. Andrebbero quindi favoriti incrementi salariali nei paesi dell’Europa del Nord, come sottolineato anche dal commento del prof. Aquino,  nei quali la dinamica delle retribuzioni nell’ultimo decennio è stata particolarmente contenuta. Il vantaggio di tale soluzione sarebbe anche quello di aumentare i consumi e le importazioni nelle aree più ricche. In parte questo processo sta già avvenendo in Germania, dove i salari stanno progressivamente spostandosi su livelli più elevati. La velocità di aggiustamento, però, è troppo lenta – stante anche le rigidità salariali che i neokeynesiani tendono a sottolineare (si veda al riguardo il Grafico 1 presentato da Paul Krugman in cui si osserva come i salari nominali, in un paese caratterizzato da un alto dinamismo come gli Stati Uniti, varino con una bassa probabilità) – e non può verosimilmente garantire un riequilibrio competitivo tra i paesi europei;

     Grafico 1

Fonte: Paul Krugman su dati Current Population Survey

  1. la produttività. Un recupero di produttività nei paesi in ritardo di competitività avrebbe notevoli vantaggi. Produrre più beni e servizi, a parità di costi, aiuterebbe la crescita economica, soprattutto nel lungo termine. Il problema è che per raggiungere questo obiettivo vi è la necessità di effettuare notevoli investimenti, su un profilo temporale di diversi anni, sia materiali sia immateriali.
    a. Per quanto riguarda gli investimenti materiali, i paesi dell’Europa del Sud, tenuto conto della situazione dei rispettivi conti pubblici, non possono che fare affidamento sui paesi con la “salute migliore”. A mio avviso, però, l’obiettivo non dovrebbe essere semplicemente quello di inondare di soldi pubblici le economie in difficoltà, così come avvenuto in passato nel caso italiano con la Cassa del Mezzogiorno. Andrebbero, invece, individuati quei “colli di bottiglia” infrastrutturali che bloccano lo sviluppo (un esempio, per il caso italiano, potrebbe essere la Salerno-Reggio Calabria) e su quelli bisognerebbe agire, evitando di disperdere risorse che oggigiorno sono particolarmente scarse. Come ben sottolineato da Alesina e Giavazzi (1), ricoprire di asfalto e di rotaie i nostri territori non aiuterebbe di certo a sostenere la crescita nel lungo termine.
    Investimenti nella ricerca e nello sviluppo, e in particolare nella Green Economy, avrebbero invece maggiori effetti positivi. LÂ’Unione Europea, infatti, dipende fortemente dagli approvvigionamenti energetici effettuati allÂ’estero, quindi trovare fonti di energia alternative e migliorare lÂ’efficienza dei consumi correnti dovrebbe essere un obiettivo che accomuni gran parte del continente europeo.
    b. Ancor più importanti sono gli investimenti immateriali. Migliorare il funzionamento delle macchine burocratiche, della giustizia, semplificare le norme e gli iter parlamentari attraverso cui queste vengono prodotte, sia a livello nazionale che europeo, produrrebbe dei benefici notevoli in termini di produttività. Si pensi solo al tempo che potrebbe risparmiare un imprenditore italiano in una controversia legale, che oggi necessita mediamente di ben 1.300 giorni per concludersi, se l’efficienza della giustizia civile nel nostro paese si adeguasse a quella delle migliori esperienze europee (in Lussemburgo, ad esempio, i tempi medi della giustizia sono poco superiori ai 300 giorni).

I singoli Stati europei attualmente in crisi, non sono però attrezzati, sia sul piano economico sia, soprattutto, politico, per ottenere risultati importanti e duraturi in termini di produttività. Solo un’Unione politica, in cui i paesi dell’Europa del Nord esportino, senza ostacoli legali a miopi nazionalismi, le loro capacità nel gestire e amministrare la cosa pubblica, potrebbe raggiungere nel medio-lungo termine questo obiettivo.  
Alcuni però potrebbero obiettare, usando le parole di Keynes, che nel lungo termine saremo tutti morti posto che la speculazione nel frattempo avrà spazzato via Stati europei, banche e l’euro stesso. In realtà se ci fosse la volontà politica di andare effettivamente verso l’Unione tra gli Stati europei la speculazione potrebbe essere facilmente sconfitta. Nel brevissimo termine, infatti, alla Bce potrebbe essere dato il mandato di salvare l’euro costi quel che costi, anche in termini di inflazione, acquistando sul mercato secondario, senza limiti di importo, i titoli di Stato di paesi aderenti all’Area euro oggetto della speculazione finanziaria. Già questo semplice mandato costituirebbe un fortissimo deterrente per gli speculatori che vedrebbero l’Area euro, nel suo complesso, come un pesce troppo grosso da poter essere mangiato.
Passata questa fase emergenziale l’emissione di Eurobond permetterebbe alla Bce di tornare a svolgere il suo ruolo di controllore attento dell’inflazione. La condivisione dei debiti pubblici tra tutti i paesi dell’Unione, così come avviene in ogni singola nazione tra aree avvantaggiate e quelle depresse, permetterebbe di rendere sostenibili i debiti pubblici accumulati in questi anni.
Per concludere con un’altra metafora marinaresca, allo stato attuale è come se stessimo facendo il viaggio di Cristoforo Colombo a ritroso: due delle caravelle sono pressoché affondate, ne rimane solo l’ultima e la speranza di poter finalmente vedere all’orizzonte gli Stati Uniti d’Europa.

(1) Alesina A. e F. Giavazzi, La direzione è sbagliata, Corriere della Sera del 6 giugno 2012

CHI RISCHIA DI AFFONDARE NEL MARE IN TEMPESTA

Se si osserva la dinamica del tasso di cambio effettivo reale basato sui costi del lavoro per unità di prodotto, la dissoluzione dell’Eurozona appare inevitabile. Per Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, c’è stata una continua perdita di competitività dall’introduzione dell’euro. Ma a giudicare dall’andamento dei Cds, la rottura dell’unione monetaria non sarebbe un affare per nessuno. Gli investitori finirebbero per abbandonare anche la Germania. L’alternativa è una maggiore integrazione politica, con trasferimenti di risorse dalle zone floride verso quelle in difficoltà.

SE PER GLI AVVOCATI NON BASTA IL CODICE DEONTOLOGICO

Evidenze empiriche rigorose, nonché le denunce dei cittadini sugli accadimenti relativi alle cause di separazione e affidamento, suggeriscono che tra gli avvocati siano diffusi i comportamenti in violazione del codice deontologico. Come ciò possa avvenire nonostante l’esistenza di un articolato sistema sanzionatorio e quanto siano diffuse queste pratiche resta oscuro, gettando un’ombra sulle finalità della regolamentazione del mercato dei servizi legali. A fare luce, può contribuire l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con un’indagine conoscitiva.

FREQUENZE E TV NELL’ERA DI MONTI

Con la norma che annulla il beauty contest per l’assegnazione delle frequenze Tv e impone l’adozione di un’asta a titolo oneroso, per la prima volta un governo italiano cerca di mettere ordine nel sistema frequenziale. È un buon avvio anche se il successo dell’asta dipenderà da molti fattori.  E tuttavia la questione richiede chiarezza e trasparenza. In particolare, sul pacchetto delle frequenze in banda 700 MHz, che dal 2015 saranno riservate ai servizi di larga banda mobile. Il meccanismo di attribuzione sembra troppo articolato e soprattutto produrrà scarsi introiti per lo Stato.

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