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Categoria: Conti Pubblici Pagina 80 di 102

COSTA PIU’ IL CONTROLLO DEL CONSULENTE

Mettere sotto controllo gli incarichi esterni nella Pa per ottenere un significativo contenimento della spesa pubblica è un obiettivo sacrosanto in termini generali. Ma computando i costi della gestione necessari per giungere all’incarico di consulenza e quelli del contenzioso generato dalle norme, si scopre che la spesa è uguale o maggiore a quella che si vorrebbe risparmiare. Se la spesa per incarichi è considerata improduttiva, allora aboliamola. Altrimenti, è più utile fissare un tetto entro il quale gli incarichi sono sempre ammessi, anche in via fiduciaria.

COME SARA’ IL 2009

Le informazioni sull’andamento delle variabili macroeconomiche nell’ultimo trimestre 2008 sono ancora molto limitate. Per avere qualche indicazione sul 2009 possiamo guardare i dati della produzione industriale. Confrontati con quelli del 1992-93, mostrano che l’intensità della recessione di oggi è molto superiore a quella di allora. Anche la riduzione del Pil non potrà che essere maggiore. A meno che il settore dei servizi privati non si rivitalizzi per la ripresa delle liberalizzazioni o il settore pubblico non aumenti la spesa. Entrambi eventi improbabili.

IL COMPROMESSO VIRTUOSO

Una politica economica efficace dovrebbe dare un robusto stimolo fiscale oggi, in termini di ammortizzatori sociali e riduzioni di imposte, controbilanciato da risparmi strutturali nel medio periodo. Risultato che si può ottenere aumentando gradualmente l’età pensionabile già dal 2009 e riducendo i privilegi di cui godono ancora troppe categorie. Ma esistono le condizioni politiche per un simile compromesso? Un principio di equità intergenerazionale imporrebbe che chi beneficia oggi degli stimoli fiscali non trasferisca i debiti alle generazioni future.

UNA BUONA NOTIZIA: CALA L’INTERESSE

Con l’ulteriore recente calo dei tassi, il risparmio della spesa per interessi sul debito sale a 6 miliardi di euro. E sono stime per difetto, perché non tengono conto della possibile diversa composizione delle emissioni. Sono però anche risultati da prendere con cautela, perché i comportamenti dei risparmiatori potrebbero cambiare in breve tempo. Al Tesoro offrirne di migliori. O spiegare perché la spesa prevista per gli interessi resta invariata da mesi nei documenti ufficiali.

DAL TESORETTO A CAPORETTO

Se il Governo Prodi continuava a scoprire tesoretti, il nuovo governo sta facendo l’errore opposto. Nonostante il forte rallentamento della congiuntura, non ha aggiornato le previsioni sui conti pubblici e si trova ora costretto a motivare consistenti peggioramenti dei saldi. Per rassicurare i mercati occorrono trasparenza e chiare scelte di politica economica contro la recessione. Rimanere in mezzo al guado, tra la sponda del rigore e quella di una politica fiscale espansiva, è la peggiore soluzione possibile perché i conti si deteriorano senza migliorare le prospettive dell’economia.

EMERGENZA CONTINUA IN CARCERE

Le carceri italiane sono sovraffollate e obsolete: difficile garantire accettabili condizioni di vita per personale e detenuti, e perseguire l’obiettivo della riabilitazione. E’ necessario accantonare la logica dell’emergenza continua distinguendo tra misure di impatto immediato e politiche di lungo periodo. L’ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse, con la chiusura di istituti fortemente sottoutilizzati, può portare in tempi relativamente brevi a risparmi di spesa strutturali. Ma serve poi la costruzione di nuovi penitenziari, più grandi e più efficienti.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Una prima osservazione è che le misure proposte realizzano una "micro­manutenzione" del sistema, mentre i problemi della giustizia sono ben altri e richiedono interventi molto più incisivi e consistenti. Di ciò siamo tutti consapevoli. Nell’articolo tuttavia si chiarisce in partenza che quelli ipotizzati sono interventi "minori", il cui impatto è ritenuto importante per l’efficienza complessiva del sistema. Esistono certamente problemi che investono i "rami alti" della giustizia, il suo assetto complessivo, i principi di rilievo costituzionale che ne regolano l’organizzazione e il funzionamento. Un serio metodo riformatore non può che prendere atto di questa molteplicità di profili nei quali il problema si declina, impostando un percorso di riforma che ne affronti le principali criticità in modo organico, attraverso misure articolate in tempi, livelli e su tavoli di confronto diversi. In un percorso di questo tipo, concentrarsi subito ed in modo massiccio sui "rami bassi" del sistema ha un’evidente convenienza: innanzitutto permette di affrontare un segmento di riforma più fattibile politicamente; in secondo luogo, nel presuppostoche le misure individuate abbiano il comune requisito di incentivare il miglioramento del servizio, si ha il duplice vantaggio di venire incontro alle esigenze immediate dei cittadini e delle attività economiche, che esigono processi più brevi e maggiore efficienza della giustizia, e, per questa via, di allentare la morsa che rende drammatica la crisi del sistema, soprattutto in termini di insostenibilità sociale dell’attualedurata dei processi. Sarebbe possibile allora, in tempi ragionevoli, un confronto più sereno sulle problematiche che riguardano le questioni più controverse, sulle quali la ricerca di soluzioni è certamente più impegnativa.

In merito, poi, all’affermazione dell’articolo secondo cui è possibile migliorare la qualità della spesa della giustizia e rendere il servizio più efficiente, molti commenti esprimono la convinzione, analoga a quella di tanti addetti ai lavori, che la giustizia abbia soprattutto problemi di quantità e non di qualità della spesa, nel senso che il settore ha bisogno di più risorse di funzionamento e di maggioriinvestimenti nelle strutture. Non mi sembra che la ricerca di una migliore qualità della spesa sia incompatibile con la possibilità di investire nella giustizia ovvero con l’esigenza di quantificarne correttamente gli oneri di funzionamento. Va detto, anzi, che in regime di risorse scarse ciò che viene enfatizzato è proprio il rapporto fra qualità e quantità della spesa, nel senso che a parità di fondi disponibili è possibile ottenere risultati migliori procedendo a razionalizzazioni organizzative, alla diffusione delle best practices, alla semplificazione delle procedure, e così via, come confermato dalle analisi della ex Commissione tecnica per la finanza pubblica. Una spesa migliore e più produttiva offre un servizio migliore agli utenti, ma può rappresentare anche un valore aggiunto in termini economici, qualora permetta di liberare risorse per gli investimenti. Sono comunque convinto che, pur in tempi di finanza pubblica sotto controllo, un progetto di riforma che voglia migliorare la giustizia non può non mettere in conto gli investimenti necessari per realizzare alcuni progetti strategici: ad esempio la realizzazione del processo telematico, che può ridurre in modo decisivo la durata dei processi civili, e la rapida attuazione del sistema unico delle intercettazioni, cui sono legati notevoli risparmi di risorse e una migliore organizzazione del servizio.

Un lettore segnala gli alti costi e le inefficienze che derivano dall’attuale separazione fra le giurisdizioni civile, contabile e amministrativa, giudicata inutile e superata. Propone la confluenza nella giustizia ordinaria delle due giurisdizioni amministrative. Aprescindere da valutazioni di merito, la prospettiva dell’unificazione delle giurisdizioni è di assai difficile praticabilità, se non altro per l’estensione e la delicatezza delle modifiche costituzionali che comporterebbe, visto che l’autonomia delle tre giurisdizioni gode di copertura costituzionale. Non solo, ma mettere sul treno della riforma un carico di questioni così intricato (dobbiamo ricordare le discussione che al riguardo si svolsero all’Assemblea Costituente?) equivarrebbe ad allontanare fatalmente la fine del viaggio. Altra cosa è porsi il problema dell’assetto e della funzionalità della giustizia amministrativa e di quella contabile, che presentano problemi sui quali è senz’altro opportuna una specifica riflessione.

Un commento richiama l’attenzione sul problema della chiarezza e della semplicità delle leggi, variabili che condizionano in misura non trascurabile la funzionalità del sistema giudiziario. Il problema, visto nelle sue implicazioni generali, travalica in qualche modo la questione giustizia. La qualità della legislazione, o meglio la sua cattiva qualità, quando diventa un fenomeno generalizzato, incentiva certamente ilcontenzioso ed incide sui tempi e sulla bontà delle decisioni, ma affievolisce anche lacertezza del diritto e modifica silenziosamente il rapporto fra i poteri dello Stato, nel senso che di fronte a formulazioni normative oggettivamente confuse e in qualche caso indecifrabili (si pensi alle finanziarie di un solo articolo e più di seicento commi!) si riduce la forza della legge, aumenta la discrezionalità dell’interprete e il "diritto vivente" creato dai giudici, si accresce lo spazio del potere esecutivo (ad esempio nelle delicate funzioni di indirizzo interpretativo, esercitate in modo sistematico dall’amministrazione finanziaria nella materia fiscale). Questa dinamica dell’ordinamento non è certamente da assecondare, ma per fare leggi migliori si richiede non tanto capacità e competenza tecnica disponibili in misura sufficiente, ma sensibilità istituzionale e forte volontà politica. Si potrebbe cominciare rafforzando gli strumenti, già previstiin sede parlamentare, per garantire la qualità dei testi normativi, riprendendo anche la buona abitudine della codificazione e dei testi unici.

Uno dei commenti accende poi un faro sul complesso di riti, procedure e regole che disciplinano le separazioni e il divorzio, che darebbero luogo ad un perverso intreccio di fenomeni che inciderebbero negativamente sul sistema economico, alla pari e forse più di altri profili segnalati nell’articolo. Si tratta di un problema a me poco noto. Ben vengano quindi analisi più precise da parte degli esperti del settore, in particolare sui meccanismi che determinano un così rilevante impatto sull’economia del c. d. "divorzificio" (così lo definisce il lettore).

Infine, qualche considerazione su un possibile e (apparentemente) semplice intervento sul regime delle prescrizioni, rivolto ad evitare che, al solo scopo di far decorrere i termini, si adottino comportamenti dilatori finalizzati ad allungare la durata dei processi. Il problema è reale, le soluzioni tecniche per raggiungere l’obiettivo sono molte e quasi tutte valide, ma occorre volontà politica per attuarle: una serie di leggi recenti vanno però in senso contrario (ricordate le varie Cirami, Cirielli, ecc… ?).

RISORSE E RILANCIO DELLA SCUOLA

I confronti internazionali dimostrano che la scuola italiana ha bisogno di serie riforme strutturali. Non di tagli indiscriminati e politiche pasticciate. Ma il rilancio del sistema scolastico richiede ingenti risorse. Illusorio pensare che si possano trovare somme aggiuntive rispetto a quelle già elevate che vi si spendono. Eliminando le numerose inefficienze gestionali e organizzative del servizio, che producono un elevato rapporto docenti studenti, si potrebbero risparmiare fondi da reinvestire nell’istruzione. Oltretutto con costi sociali limitati.

RISPARMI CHE MIGLIORANO LA GIUSTIZIA

La spesa per giustizia ha un’incidenza relativamente modesta sul bilancio dello Stato, ma un rilevante impatto sul sistema economico. In questo comparto, una corretta azione di spesa pubblica deve perseguire contemporaneamente obiettivi di risparmio e di miglioramento dei risultati. E l’elenco degli interventi possibili comprende razionalizzazione organizzativa del settore, revisione della geografia giudiziaria, riduzione degli oneri sulle intercettazioni, processo telematico, sistema a forfait per l’onorario degli avvocati.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Sono molto grato ai lettori che hanno avuto la bontà di inviare commenti al mio articolo. Condivido il bisogno per l’Italia di razionalizzare e ristrutturare la spesa pubblica rendendola più efficiente e più equa. Condivido anche la necessità di ridurre l’evasione fiscale ed anche il peso delle imposte, ancora troppo alte per coloro che le pagano onestamente. Durante molti hanni ho scritto vari articoli sulla necessità di fare queste riforme. Condivido anche il bisogno di introdurre ammortizzatori sociali efficienti e capaci di proteggere gli sfortunati e specialmente i più colpiti da crisi economiche.
Ma queste sono riforme che si discutono da sempre. E’ improbabile che saranno fatte proprio ora, nel mezzo della bufera economica e finanziaria che si è abbattuta sul mondo.

Il mio articolo si riferiva esclusivamente alla crisi economica ed a pericoli più immediati. Il dilemma per il governo italiano in questo momento è come affrontare la crisi. Molti vorrebbero spengerlo verso un forte aumento di spesa pubblica ed altri verso una riduzione di imposte senza darsi conto delle possibili conseguenze macroeconomiche. Il mio articolo aveva il modesto obbiettivo di avvertire che politiche keynesiane possono avere conseguenze non desiderabili, o persino pericolose, almeno per l’Italia. Il problema è che il governo italiano ha ereditato un debito pubblico molto alto e relativamente più costoso di altri paesi. Il debito ha anche una maturità non molto lunga, un aspetto che condivide con altri paesi. Le politiche del passato hanno ridotto il margine di manovra macroeconomico che ha il governo in questo momento. Il “rischio paese” è aumentato parecchio nell’ultimo anno. Tale rischio è come un termometro che indica quanta febbre ha un malato. Una febbre alta ed in aumento è dannosa per un malato. Un rischio paese alto ed in aumento è dannoso per l’economia di un paese. Un rischio paese in aumento è un avvertimento da non ignorare. Per me non c’è dubbio che una manovra di stampo keynesiano potrebbe spingere l’Italia su un cammino molto pericoloso. Naturalmente il mio commento non impedirebbe al governo di ridurre spese non necessarie, o l’evasione fiscale, per aiutare i più colpiti dalla crisi. Ma queste riforme dovrebbero rispettare i parametri macroeconomici. La pressione sul governo di fare qualcosa dovrebbe tener conto del famoso giuramento Hippocratico: la prima regola per un medico prima di agire è di essere sicuro di non causare danno.
La stessa regola vale per i ministri.

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