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Se non ora quando?

Economia e finanza pubblica italiane hanno bisogno di riforme strutturali. Dopo aver indicato una rotta riformatrice con il Dpef, la politica economica italiana sembra ora in una situazione di stallo. Alimentata, paradossalmente, da una serie di buone notizie sullo stato dell’economia. Eppure, come dimostra l’esperienza dei paesi europei negli ultimi vent’anni, le riforme politicamente difficili, quelle che agiscono sul lato della spesa, riescono nei periodi di espansione. E sono anche le uniche che permettono di coniugare risanamento e crescita.

Un Dpef balneare?

Doveva essere un Dpef di legislatura, ma rischia di passare alla storia come un Dpef balneare. I segnali di ripresa economica e l’imprevisto aumento degli introiti fiscali hanno convinto il Ministro dell’Economia e delle Finanze che l’aggiustamento di finanza pubblica richiesto dal Dpef approvato a luglio vada ridimensionato. E’ un errore, anche perché il nuovo patto di stabilità impone che l’aggiustamento sia piu’ marcato quando le cose vanno bene. Speriamo che almeno sulle intenzioni di intervenire su enti locali, sanità, pubblico impiego e previdenza il Dpef riesca a superare l’estate.

Kant, il Dpef e i Fiscal Councils

La politica fiscale deve coniugare flessibilità di breve periodo e disciplina di lungo periodo. Dovrebbe perciò essere controllata da un Fiscal Council indipendente che fornisca stime veritiere delle variabili macroeconomiche su cui si fondano le previsioni delle entrate e delle spese e monitori il raggiungimento degli obiettivi di risanamento. Anche il Dpef raccomanda trasparenza e monitoraggio dei conti pubblici. Perché allora non adottare una legge di responsabilità fiscale, come hanno fatto altri paesi?

Freno e acceleratore senza marce

Un Dpef di inizio legislatura può essere un documento molto utile perché può avere un orizzonte programmatico relativamente lungo. Ma bisogna riempirlo di contenuti. Non e’ il caso del Dpef approvato dal Consiglio dei ministri di venerdì 7 luglio. Speriamo che a settembre, quando presenterà gli interventi promessi ma non specificati, il Governo mostri lo stesso coraggio avuto col decreto sulle liberalizzazioni. Servirà per coniugare risanamento e crescita, freno e acceleratore. Altrimenti si rischia di inchiodare l’economia. Come quando si guida una macchina senza marce col piede sinistro.

Enti locali: basta tagliare le spese?

I conti degli enti locali denotano una crescente insostenibilità. D’altra parte, sono proprio i comuni a effettuare oggi la gran parte degli investimenti pubblici. In vista della Finanziaria, sarebbe forse il caso di partire da una consapevolezza: anche se gli amministratori locali fossero tutti eccezionalmente virtuosi, i bilanci dei comuni nella loro attuale configurazione non potrebbero comunque funzionare, con un’inflazione maggiore di zero e trasferimenti che vengono ridotti in misura analoga alla crescita del gettito da compartecipazione tributaria.

Un decreto al microscopio

Analizziamo i punti principali del decreto Bersani. La norma sui rapporti tra banca e cliente introduce maggiore trasparenza e ha un positivo impatto sulla concorrenza. Potrebbe però irrigidire la gestione dei tassi d’interesse. Aumentare l’offerta di servizio taxi è il primo passo per eliminare una significativa anomalia italiana. Ma i comuni si avvarranno effettivamente delle possibilità loro concesse? Per le libere professioni sarebbero necessarie alcune integrazioni. Come la tariffa a forfait per i professionisti e la liberalizzazione delle licenze delle farmacie.

Governo nuovo, vecchia politica agricola

Se si vuole evitare che la riduzione del cuneo fiscale comporti un ulteriore aumento degli aiuti all’agricoltura, si possono contestualmente tagliare i sussidi di disoccupazione ad hoc per i lavoratori salariati agricoli. Tuttavia, le dichiarazioni del neo-ministro confermano la volontà di proseguire sulla strada dei sussidi. Un sistema che difende i privilegi e impedisce la riconversione dell’agricoltura europea. Si dovrebbero invece concentrare le risorse pubbliche su riforme strutturali che riducano i costi di produzione e diano veri benefici ambientali.

Una ricognizione fra il tecnico e il politico

Tre i messaggi chiave del rapporto della Commissione Faini: la situazione dei nostri conti pubblici è molto difficile, e più grave di quella descritta nella Trimestrale di cassa; avrebbe potuto essere peggiore senza l’ombrello dell’euro; la Ragioneria generale dello Stato è un organismo troppo soggetto ai condizionamenti della politica. Bene, dunque, potenziare i servizi bilancio di Camera e Senato e dotarsi subito di strumenti per fare tagli selettivi della spesa delle amministrazioni pubbliche. Anche perché la manovra non deve essere solo sulle entrate. Discutibili, invece, la scelta della Commissione di valutare la fattibilità politica di alcuni interventi, e di formulare una forbice di valori per il tendenziale.

Avvisi ai naviganti*

Uno scenario ventennale per i conti pubblici mostra che il deterioramento dei saldi di finanza pubblica è strutturale. La crescita del debito è imputabile all’avanzo primario. Ma la via fiscale al risanamento è sostanzialmente impraticabile. Mentre la dinamica ascendente delle spese è guidata dal fattore demografico. Più dei “tagli”, sono necessarie riforme di ampio respiro, coraggiose e incisive. Per attuarle correttamente servirebbe un margine adeguato di tempo. Ma è proprio questa la risorsa che più scarseggia.

I rischi di una timida ripresa

L’economia italiana ha ripreso a crescere. L’ultima e più autorevole conferma arriva dall’Istat. Non bisogna però dimenticare che l’Italia continua a essere il fanalino di coda dell’Europa. E proprio questi timidi segnali di ripresa potrebbero allentare l’impegno politico su due fronti: il risanamento dei conti pubblici e lo sforzo di riforma. Non mancherà la tentazione di evitare provvedimenti che pur non gravando sul bilancio dello Stato hanno costi politici elevati. Ma sono passaggi obbligati per riportare la produttività su un sentiero di crescita elevato.

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