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Categoria: Conti Pubblici Pagina 91 di 102

Non ripetere il 2005

Il 2005 è stato un anno di record negativi per i conti pubblici. Non si deve quindi riproporre la stessa micidiale sequenza di revisioni delle previsioni che lo ha costellato. Va ricostituito l’avanzo primario. Farlo richiede innanzitutto capacità di governo. A partire dall’istituzione di un ministero dedicato a recuperare nel medio periodo almeno un punto di Pil di gettito. Dal lato della spesa, è fondamentale migliorare la capacità di controllo e monitoraggio dei flussi finanziari e delle caratteristiche reali dei programmi pubblici.

Perché non diremo addio all’euro

Due commenti del Financial Times predicono l’uscita dell’Italia dall’euro. Meritano una risposta.  Sono scenari che hanno bassissime probabilita’ di realizzarsi. Perché gli aggiustamenti di finanza pubblica che il nostro paese è chiamato a compiere sono alla nostra portata. E perché c’e’ sempre piu’ consapevolezza del fatto che i nostri problemi di competitività e di crescita si possono risolvere solo attraverso riforme strutturali. Nel lungo periodo, beneficeremo delle incisive riforme previdenziali varate negli anni ’90.

Un Programma di stabilità di legislatura

Nell’analizzare le priorità del dopo voto, Tito Boeri suggerisce di sfruttare i tempi lunghi per la formazione del nuovo Governo per definire il programma. Questo sembra necessario alla luce dell’evoluzione dei conti pubblici e degli impegni presi in sede comunitaria: la Trimestrale di cassa già evidenzia che nel 2006 non rispetteremo la raccomandazione del Consiglio dei ministri finanziari (Ecofin) di ridurre sufficientemente il deficit pubblico in modo da avere, nel 2007, un valore sotto al 3 per cento nel rapporto deficit/Pil.
È allora probabile che la Commissione europea possa proporre di riattivare la procedura di deficit eccessivo prevista dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e crescita.

Un programma per cinque anni

Per evitare un’accelerazione nella procedura, l’Italia dovrebbe presentare già a giugno un nuovo Programma di stabilità, che aggiorni la strategia del nuovo Governo per garantire il rispetto degli impegni comunitari. Va considerato che la presentazione di un nuovo programma dopo le elezioni legislative sembra una prassi dei paesi europei: lo fece l’Olanda nel giugno 2003 dopo le elezioni tenutesi a gennaio, la Germania nel gennaio 2004, la Grecia a marzo 2005, il Portogallo nel giugno 2005.
La novità nel caso dell’Italia potrebbe essere quella di presentare un Programma di stabilità di legislatura, che copra i prossimi cinque anni, e non solo il biennio, come avviene di solito nei programmi discussi a Bruxelles.
Un programma di questo genere potrebbe coincidere nei tempi e nei contenuti con il Dpef: si eviterebbe il costo “politico” della presentazione di due documenti di fatto identici, ma soprattutto ciò porterebbe a coinvolgere nella discussione le parti sociali e il Parlamento, così da avere un forte impegno nazionale al rispetto delle strategie indicate. Finora, invece, il Programma di stabilità italiano non è mai stato dibattuto in profondità nel Parlamento nazionale, né è stato concertato preventivamente con le parti sociali, rimanendo un documento confinato alla discussione sovranazionale.
Un Programma di stabilità di legislatura permetterebbe all’Italia di discutere con Bruxelles una strategia complessiva e non di breve periodo, che riguardi sia le misure di contenimento del deficit, sia quelle orientate alla crescita. Le iniziative strutturali per la crescita possono avere costi nel breve periodo, ma vantaggi nel lungo. Se questi interventi sono ben argomentati e documentati dal punto di vista quantitativo, potrebbero essere esclusi dal computo del Patto di stabilità o, in ogni caso, analizzati con occhio benevolo in sede europea.
L’idea di un Programma di legislatura è già circolata a Bruxelles ai tempi della riforma del Patto di stabilità, ed espressamente auspicata nel Consiglio europeo di marzo 2005. (1)
In quella sede, i capi di Stato e di Governo invitarono i loro rispettivi paesi a presentare, dopo l’insediamento di un nuovo esecutivo, un programma con un orizzonte temporale di legislatura. L’Italia potrebbe essere portatrice di questa novità. Il risultato sarebbe quello di vincolare sul piano nazionale le forze politiche di maggioranza al rispetto di un documento programmatico discusso e approvato dal Parlamento. Sul fronte comunitario, di ottenere uno slittamento nei tempi di rientro dal deficit eccessivo, proprio perché il percorso proposto sarebbe credibile. Immaginare un rientro dal deficit eccessivo nel 2008, e non più nel 2007, permetterebbe al Governo di iniziare ad attuare alcune riforme importanti senza dover utilizzare il credito politico accumulato solo per operazioni miranti al risanamento della finanza pubblica nel breve periodo. Di fatto, la procedura di deficit eccessivo durerebbe quattro anni, dal 2005 al 2008: sempre meno della Germania e della Francia.


(1)
http://ue.eu.int/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/en/ec/84335.pdf, punto 1.4 dell’appendice 2.

Tre priorità per l’Italia

Tre reazioni alla interessante proposta di Tito Boeri di sfruttare i tempi lunghi della formazione del nuovo Governo per definire sin da subito il programma dell’esecutivo, non escludendo un dialogo con l’opposizione su alcune priorità condivise.

La situazione di finanza pubblica

Le previsioni di febbraio della Commissione europea e quelle più recenti del Fondo monetario internazionale confermano la necessità di un importante aggiustamento sui conti 2007 (dunque nella Finanziaria di ottobre), in quanto il deficit stimato per quell’anno, a bocce ferme, è del 4,6 per cento (stima Eurostat). Il punto chiave, ovviamente, è la dimensione di tale aggiustamento. Dobbiamo o no impegnarci a rispettare il vincolo europeo concordato nel 2005 dal precedente Governo di un rapporto deficit/Pil non superiore al 3 per cento nel 2007? (1) O meglio, possiamo permetterci di non rispettare tale vincolo?
A questo proposito il paragrafo 1.4 del nuovo accordo sul Patto di Stabilità, ricordato nel contributo qui sopra di Andrea Montanino propone sì che un Governo di fresca nomina stili un nuovo “Programma di stabilità di legislatura”, ma, continua il testo, “mostrando continuità rispetto agli obiettivi di bilancio approvati dal Consiglio“, cioè 3,6 per cento nel 2006 e 3 per cento nel 2007. Ne consegue che il nuovo Governo dovrà sin da subito avviare contatti, magari già attraverso il candidato ministro dell’Economia, con Commissione e Consiglio per capire i margini negoziali di cui si dispone, ed impostare correttamente il Dpef. Il rischio che si corre, altrimenti, in una situazione di tassi di interesse in aumento e debito pubblico in crescita, è quello di mandare segnali negativi alle agenzie di rating internazionali, con conseguenze di potenziale instabilità per la finanza pubblica.

Il rilancio della competitività

Una seconda priorità di politica economica riguarda invece l’impostazione complessiva del rilancio della competitività per il sistema paese. Vari contributi (per esempio, quelli di Francesco Daveri ) hanno ormai chiarito che il principale problema è quello di contrastare il preoccupante calo di produttività (misurata come output per ora lavorata) che da ormai qualche anno caratterizza l’economia italiana. Rispetto a questa esigenza, occorre nel breve periodo fare due scelte fondamentali, una di politica industriale, l’altra relativa al mercato del lavoro. Per quanto riguarda la politica industriale, l’impostazione che sembra emergere è quella di concentrare i fondi di ricerca e sviluppo in pochi settori strategici (da individuare) e aiutare da subito le imprese a innovare per contrastare il calo di produttività, attraverso vari strumenti, tra cui la riduzione del cuneo fiscale. Tuttavia, privilegiare alcuni settori “di punta”, dove la competitività si fonda su una maggiore innovazione tecnologica, potrebbe rischiare di distogliere le energie da altri settori “tradizionali” (alimentare, moda, design, arredamento), dove il capitale umano e la competitività sono basate non tanto sull’innovazione, quanto piuttosto sull’accumulazione di conoscenze a carattere spesso artigianale. Occorre dunque evitare scelte che rischino di “spiazzare” tali settori, che hanno invece ancora molte potenzialità se sapranno operare una variazione del mix di prodotti verso le fasce elevate di domanda, in forte espansione grazie alla crescita dei consumatori ad alto reddito nei paesi emergenti.

Il mercato del lavoro

Infine, occorre salvaguardare le esperienze positive della legge Biagi. Occorre ricordare che la produttività aggregata di un paese è calcolata come una media ponderata, in cui le singole osservazioni derivano dalla produttività delle singole imprese, pesate per la loro quota di mercato o occupazionale. La produttività aggregata potrebbe dunque crescere in corrispondenza di un’innovazione tecnologica che renda tutte le imprese mediamente più produttive (produttività “strutturale”, o media semplice); o potrebbe crescere anche in assenza di innovazione, o addirittura con tecnologia che diventa obsoleta, per effetto di una riallocazione di forza lavoro intra-settoriale (i pesi della media) che vada a premiare con maggiori quote occupazionali le imprese più produttive del settore. Le moderne tecniche di analisi microeconometrica consentono di decomporre in tale senso la produttività aggregata identificando dunque le fonti della variazione. (2)
Facendo questo esercizio per un campione rappresentativo (non bilanciato, per tenere conto delle dinamiche di entrata ed uscita) di circa 50mila imprese manifatturiere italiane per il periodo 1996-2003, si nota che nei primi anni del campione la produttività strutturale tende a crescere, ma l’allocazione del lavoro penalizza le imprese più efficienti, deprimendo quindi la dinamica di produttività aggregata. A partire dal 2001, tuttavia, dopo le riforme del mercato del lavoro si denota in Italia un miglioramento nell’efficienza allocativa, mentre si registra una brusca decrescita del termine di produttività strutturale, che determina una complessiva perdita di produttività aggregata nel settore manifatturiero italiano. In altri termini, se è vero che il sistema economico italiano inizia a mostrare una preoccupante incapacità di generare innovazione tecnologica, è altrettanto vero che il miglioramento dell’efficienza allocativa del fattore lavoro, conseguito grazie alle recenti riforme, è riuscito in parte ad alleviare gli effetti negativi sulla produttività aggregata. È nell’interesse del paese che tale benefico effetto sia salvaguardato dalle scelte del prossimo Governo.

(1) Per inciso, i termini dell’accordo, stipulato dopo la riforma del Patto di Stabilità del marzo 2005, erano di un deficit pari al 4,2 per cento nel 2005 (impegno rispettato), del 3,6 per cento nel 2006 e non superiore al 3 per cento nel 2007. Il Consiglio europeo nel febbraio 2006 ha dato via libera alla ultima Finanziaria del Governo Berlusconi, in quanto coerente con l’obiettivo del 3,6 per cento per il 2006. I dati della Trimestrale di cassa 2006 sembrano però in parte smentire la possibilità del rispetto di questo obiettivo (il Fondo stima un deficit nel 2006 pari al 4 per cento), anche se occorreranno maggiori informazioni prima di poter ipotizzare la necessità di una manovra correttiva già sui conti 2006.
(2) Vedi Olley e Pakes, 1996.

Dopo il voto

Ripristino del maggioritario, aggiustamento per due punti di Pil nei prossimi due anni, ma soprattutto rilancio della crescita, agganciando la ripresa europea: sono alcune priorità del nuovo Governo, che avrà una maggioranza risicata al Senato. La pausa obbligata prima dell’insediamento dell’esecutivo può essere utilizzata per definire un programma che vincoli tutti, ministri e partiti, al suo rispetto. E potrebbe servire a precostituire alleanze trasversali ai due schieramenti nel sostegno a riforme condivise.

Idee per lo sviluppo nelle due coalizioni

I tre zeri nella crescita del Pil, della produttività e delle ore lavorate nel 2005 hanno messo in evidenza quanto sia urgente il ritorno alla crescita per l’economia italiana. I programmi delle due coalizioni per le elezioni 2006 presentano rilevanti differenze nelle ricette su come rilanciare lo sviluppo. Ma, più che in altri campi, sulle terapie per ritornare a crescere si possono anche individuare convergenze. Per esempio, ci si può aspettare da chiunque vinca un perfezionamento delle misure di liberalizzazione del mercato del lavoro.

I tempi della Relazione

La legge dice che la relazione sull’andamento dell’economia e quella sui conti pubblici dovrebbero essere pubblicate entro febbraio. Un termine mai stato rispettato. Ma se tra il 1999 e il 2001 il ritardo medio è stato di ventinove giorni, dal 2002 al 2005 è salito a cinquantasette. Forse perché in marzo vengono diffuse le previsioni della Commissione europea: maggiore la distanza tra le date di pubblicazione, più ampio il divario tra dati governativi ed europei. La Trimestrale di cassa è attesa per i prossimi giorni. Un buon segno? Non necessariamente.

Lettera aperta al Financial Times

Se non si usano le statistiche corrette si rischia di dare un’immagine fuorviante dell’economia di un paese a tutta la comunità internazionale, investitori compresi. E’ quanto è successo al Financial Times che ha pubblicato un articolo sull’Italia con dati sbagliati su debito pubblico, stock di investimenti diretti dall’estero e occupazione. In una lettera al direttore del quotidiano britannico, la redazione de lavoce.info analizza gli stessi concetti utilizzando fonti più attendibili. Ne esce un quadro diverso della nostra economia.

Un new deal per gli enti locali

Il patrimonio immobiliare degli enti locali costituisce un insieme di beni identificati, omogenei, e alienabili senza effetti negativi sul saldo primario. L’operazione di dismissione dovrebbe affiancare le riforme strutturali, ma stime prudenziali indicano che sarebbe sufficiente a riportare il rapporto debito/Pil vicino al 100 per cento. Lo Stato dovrebbe garantire agli enti territoriali alcuni incentivi, come la revisione del Patto di stabilità interno e l’introduzione di meccanismi di compartecipazione competitiva alla crescita.

Ma il deficit resta eccessivo

I giudizi europei rimangono severi sui programmi di rientro dei paesi con deficit eccessivo. Soprattutto per l’Italia. La Commissione calcola che nei prossimi tre anni dovremo varare misure aggiuntive permanenti di riduzione del deficit pari almeno all’1,5 per cento del Pil. Senza contare le correzioni all’Irap e l’aumento degli oneri finanziari dovuto alla risalita dei tassi di interesse. Ma proprio il Patto di stabilità potrebbe aiutarci a vincere le resistenze all’aggiustamento di gruppi politici e di pressione, come sta cercando di fare la Germania.

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