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PERCHÉ LA GRECIA È UNICA

La Grecia è davvero unica: per la lenta crescita pre-euro, per l’accelerazione drogata prima della crisi e per l’entità del declino post-crisi. Un’uscita dall’euro porterà nel migliore dei casi al ritorno alla crescita precedente al 1997. Se invece il paese intraprende le riforme a lungo rinviate potrà sperare in una vera modernizzazione dell’economia. A patto che l’Europa riconosca che, oltre al taglio dei salari, occorre anche migliorare le infrastrutture materiali e umane con il contributo fondamentale di aiuti europei e di una cancellazione parziale del debito.

Il salario minimo nella Grecia in crisi

La Grecia ha certamente un problema di competitività. Sindacati e partiti di centrosinistra dovrebbero perciò accettare una riduzione del salario minimo, ma inferiore al 22 per cento richiesto dalla troika. In cambio dovrebbero pretendere da governo e imprenditori l’impegno a introdurre ammortizzatori sociali per le famiglie di disoccupati e lavoratori poveri. Il ripristino della legalità ovunque, senza lavoratori in nero. La riduzione immediata dei prezzi da parte delle imprese. E un aumento graduale del salario minimo nel futuro prossimo, man mano che l’economia cresce.

LA VERSIONE DI HAMILTON

Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro Usa, stabilì che il governo nazionale si sarebbe assunto i debiti contratti dai singoli stati durante la guerra di indipendenza. Perché il nuovo Stato non sarebbe stato credibile senza il pieno controllo dei suoi debiti e senza poterne garantire la restituzione. Moneta comune e Fed arrivarono dopo. L’Europa ha scelto il percorso inverso. Pensando che l’unione monetaria avrebbe indotto una convergenza economica e creato le basi per una solida unione. Forse, per la soluzione di lungo periodo della crisi dell’euro servirebbe un Hamilton europeo.

A PICCOLI PASSI

La riunione informale del Consiglio europeo ha visto qualche ulteriore passo avanti negli aggiustamenti ai meccanismi di governo economico dell’Unione e dell’Eurozona. E per fortuna anche qualche passo indietro, con il pareggio di bilancio che basta e avanza a garantire il rientro dall’eccesso di debito. Non c’è ancora una soluzione per correggere gli enormi squilibri dei pagamenti correnti tra i paesi dell’euro. Ma almeno, dopo aver accontentato la Germania sulle regole di bilancio, l’agenda si allarga alle questioni della stabilità finanziaria e della crescita.

VERSO GLI STATI UNITI D’EUROPA

Dopo ore di negoziati, 25 paesi dell’’Unione Europea (tutti i 27 meno il Regno Unito e la Repubblica Ceca) hanno raggiunto un accordo sul cosiddetto Fiscal Compact, il patto volto a rafforzare le regole di bilancio e di controllo dei debiti pubblici all’’interno dell’’Unione Europea. E’’ un accordo – da firmare nel marzo 2012 –  che vincola i singoli paesi europei a raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio ma che esclude,  pare, ulteriori aggravi e correzioni di bilancio per i paesi il cui debito pubblico superi il 60 per cento del Pil. Sarebbe stata una clausola suicida non solo per l’’Italia ma anche per gli altri paesi europei dato che il rapporto debito pubblico-Pil medio UE 2011 sfiora il 90 per cento.
Sull’accordo pendono come spade di Damocle il fallimento di Grecia e Portogallo che i mercati finanziari stanno ormai contabilizzando come una probabilità molto concreta nei valori astronomici degli spread dei loro debiti rispetto al bund. Eppure l’accordo è un buona base per il futuro dell’Unione: se davvero si vuole andare verso un’Unione Fiscale o un’Europa federale, la nuova creatura dovrebbe provare ad ispirarsi all’esempio più ovvio che viene in mente, ovvero gli USA. Negli Stati Uniti i singoli stati dell’Unione hanno il divieto di fare deficit pubblici. Ed è solo in cambio di questa clausola che il governo federale può intervenire in situazioni di emergenza (come hanno fatto Bush e Obama durante la crisi) con fondi federali che sostengano l’economia senza creare rischi di default. In definitiva questo propone da mesi la signora Merkel: si oppone agli eurobond in un’Unione di paesi egoisti che vogliono solo socializzare le perdite ma non hanno un progetto comune. Nello stesso tempo spinge per far avanzare un progetto comune, con un fondo salva stati potenziato (da luglio 2012) ma severe regole di bilancio nazionali (da marzo 2012), stretta tra un elettorato che vuole tornare al marco e il resto dell’Europa che vuole i soldi tedeschi, cash e subito. Ma la futura Unione dovrà assomigliare a quello ha in mente la signora Merkel. Se no, non saranno gli Stati Uniti di Europa, ma piuttosto l’’Europa delle Mille Libertà e degli Zero Doveri. Qualcosa di cui potremmo e dovremmo fare a meno.

Link Utili

DICHIARAZIONE DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO EUROPEO 30 GENNAIO 2012 – Verso un risanamento favorevole alla crescita e una crescita favorevole alla creazione di posti di lavoro (non sottoscritto dalla Svezia)

STATEMENT of President Barroso following the Informal meeting of the European Council Joint press conference Brussels

PRESS REMARKS by the President of the European Council Herman Van Rompuy following the informal meeting of members of the European Council

COME FUNZIONA IL FISCAL COMPACT

Il fiscal compact, approvato ieri da venticinque paesi dell’Unione Europea, ridotto in pillole contiene due regole. La prima (da alcuni definita, non si capisce bene perché, golden rule) è il pareggio di bilancio, o meglio il divieto per il deficit strutturale di superare lo 0,5 per cento del Pil nel corso di un ciclo economico. La seconda regola fissa un percorso di riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil: dovrà scendere ogni anno di 1/20 della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia del 60 per cento.

RENDIMENTI TITOLI DI STATO DECENNALI A CONFRONTO

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CHE SIGNIFICA DECLASSARE IL FONDO SALVA-STATI

Il fondo Salva-Stati (Efsf, European Financial Stability Facility) è un’ancora di salvataggio creato da 17 Stati Membri dell’Unione Europea con l’obiettivo primario di salvaguardare la stabilità finanziaria in Europa e fornire assistenza agli Stati ad alto debito. E’ nato per concedere credito esclusivamente agli Stati Membri e non ha fondi propri, bensì 780 miliardi di garanzia. Forte delle solide garanzie, l’istituto emette titoli di debito che vengono acquistati da enti di tutto il mondo, dalle banche ai fondi pensione, dai fondi sovrani alle agenzie assicurative. Col denaro raccolto, l’Efsf ricompra i titoli di debito degli Stati in difficoltà. In pratica l’Efsf nasce per ridurre il rischio che un’asta di titoli di Stato fallisca, tramite operazioni di acquisto sia sul mercato primario (le aste) che su quello secondario (negoziando titoli già in circolazione), riempiendo il vuoto lasciato dalla Bce, che interviene esclusivamente sul mercato secondario.
 
COSA IMPLICA IL DECLASSAMENTO
 
Il  downgrading dei titoli del debito a lungo termine dell’Efsf è stato la diretta conseguenza dell’abbassamento delle valutazioni su molti altri titoli di Stato europei, tra cui quelli di Francia e Austria, Stati molto importanti per le garanzie finanziarie al Fondo.
L’Efsf gode ancora del rating massimo di S&P sulle emissioni a breve, e vanta i voti più alti sulle emissioni a lungo da parte delle altre due agenzie di rating, Moody’s e Fitch. La decisione era attesa: S&P aveva già anticipato il downgrading il 5 dicembre, segnalando come “negativo” l’outlook sulle emissioni a lungo termine nel proprio Creditwatch.
Il deterioramento del rating porta con sé un aumento dei costi di finanziamento, che implica spese maggiori per aiutare gli Stati in difficoltà. Per questo si prevede che il supporto dato dall’Efsf ai paesi più deboli non potrà che ridursi. Saranno proprio i paesi in difficoltà a pagarne le conseguenze.
La situazione potrebbe cambiare velocemente, se ci fosse la volontà politica. S&P ha tenuto il proprio outlook sui fondi dell’Efsf su “developing”, che significa che potrebbero migliorare o peggiorare a breve. In che modo potrebbero migliorare? Aumentando le garanzie alla base dell’Efsf. Probabilmente sarebbe meglio anticipare l’istituzione, per ora programmata a luglio, dello European Stability Mechanism (Esm): quest’ente è destinato a sostituire l’Efsf in maniera definitiva ed il suo momento potrebbe essere arrivato prima del previsto.

L’EURO-DILEMMA DEL PRIGIONIERO

La crisi politica dell’Eurozona è ormai un classico dilemma del prigioniero. L’equilibrio finale è una serie di soluzioni non-cooperative inefficienti. Ed è proprio la sottostima dei benefici dell’equilibrio ottimale che non permette ai governi di affrontare i due nodi essenziali: ribilanciamento degli squilibri di competitività tra i paesi e creazione di strumenti effettivi contro crisi di liquidità. Un’Europa più unita politicamente potrebbe offuscare il ruolo di molte potenze mondiali.

IL SIGNIFICATO DI UN’ASTA SCOPERTA

Le aste dei titoli pubblici europei sono sempre più sotto la lente di ingrandimento. Soprattutto quando non tutto il quantitativo offerto viene collocato, come è accaduto in novembre per i bund tedeschi. L’episodio segnala più che altro una difficoltà delle banche a ricoprire il ruolo di acquirenti preferenziali di titoli di Stato, per la minore liquidità del mercato, l’accresciuta volatilità dei corsi, la rarefazione della domanda proveniente da investitori finali e per i vincoli di bilancio. La soluzione è ammettere alle aste anche i risparmiatori privati, come negli Stati Uniti.

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