Lavoce.info

Categoria: Famiglia Pagina 23 di 29

DISUGUAGLIANZA DI TEMPO

La giornata-tipo di una donna è ancora sostanzialmente diversa da quella di un uomo. In Italia come negli altri paesi industrializzati. Le donne spendono in media meno ore in lavori remunerati, ma dedicano più tempo all’insieme di quelle attività non pagate che implicano la cura della casa e dei familiari. Se consideriamo tutte le attività lavorative, pagate e non, le italiane lavorano in media un’ora e un quarto in più degli uomini. Il dato spiega perché rimaniamo uno dei paesi industrializzati con la più bassa percentuale di donne attive sul mercato del lavoro remunerato.

Cina, l’insostenibile figlio unico

La politica del figlio unico è stata confermata dai dirigenti cinesi. Ma gli obiettivi di sostenibilità della crescita economica che la animano sono stati smentiti. I più abbienti la aggirano. Ha esasperato la disparità tra i sessi e nel 2020 almeno 40 milioni di uomini cinesi non riusciranno a trovare moglie. Preoccupa poi il progressivo invecchiamento della popolazione. Conseguenze importanti anche sul mercato del lavoro dove si prevede un blocco nell’aumento della forza lavoro, e un declino a partire dal 2013. Determinerà forti squilibri sul sistema pensionistico.

GLI STRANI MECCANISMI REDISTRIBUTIVI DELLA FINANZIARIA

L’intervento a sostegno delle famiglie previsto nella Finanziaria si concentra esclusivamente sulla casa. Senza occuparsi invece della razionalizzazione degli aiuti al costo dei figli o dei servizi sociali ed educativi. Questo governo, come quelli precedenti, continua a utilizzare la leva fiscale per effettuare una distribuzione tra famiglie, dimenticando che nel nostro sistema fiscale l’imposta è a base individuale. E prendere a criterio di una prova dei mezzi il reddito familiare può produrre iniquità e redistribuzioni inverse.

LAVORO DELLA DONNA, FECONDITÀ E MISURE DI CONCILIAZIONE

Daniela Del Boca e Alessandro Rosina sostengono che le politiche per conciliare lavoro di cura e per il mercato messe in atto dal governo Prodi sono molto timide. A mio avviso, tale affermazione non tiene nella giusta considerazione le misure effettivamente adottate.

I "fatti" del governo

La Finanziariadel 2007 ha stanziato 300 milioniper creare nuovi servizi per la prima infanzia, equamente ripartiti per gli anni 2007, 2008 e 2009. Inoltre, per il 2007 a questa cifra sono stati aggiunti 40 milioni provenienti dal Fondo politiche per la famiglia. Ancora: nel decreto legge n. 159, articolo 45 del 1° ottobre 2007, in attesa di conversione, per il 2007 è stato assegnato un ulteriore stanziamento di 25 milioni di euro per i nuovi servizi alla prima infanzia. Infine, il governo nella Finanziaria del 2007 ha stanziato anche 35 milioni di euro per le cosiddette "sezioni primavera", ossia classi aggiuntive nelle scuole per l’infanzia destinate ai bambini di età 24-36 mesi. Tirando le somme, il governo nel 2007 ha destinato 205 milioni all’attuazione di servizi di cura per i bambini con meno di tre anni, oltre a 100+100 milioni per il 2008-09. Queste ultime due somme potranno essere incrementate nei prossimi mesi, se si destinerà a questo scopo parte del Fondo politiche per la famiglia. L’intenzione è di arrivare a stanziamenti simili a quelli del 2007. Inoltre, in un decreto emanato il 28 settembre, i 140 milioni già stanziati per il 2007 sono stati ripartiti fra le Regioni .
Questi soldi sono sufficienti? A mio avviso sì, non certo perché in grado di coprire la domanda potenziale, ma perché verosimilmente congruenti con le capacità di spesa delle Regioni e dei comuni. Se riuscissimo, nei prossimi tre anni, a spendere effettivamente 200 milioni di euro l’anno per costruire nuovi asili nido o mettere in atto misure di cura alternative (come le sezioni primavera, i nidi integrati, le organizzazioni di mamme di giorno, eccetera), sarebbe un successo straordinario. L’insoddisfazione del ministro Bindi per la Finanziaria 2008 non riguarda tanto i mancati nuovi stanziamenti per politiche di conciliazione, quanto la mancata implementazione dell’assegno unico universale per i figli, che avrebbe dovuto unificare detrazioni e assegni familiari, estendendo la misura anche ai lavoratori autonomi, e accentuando la progressività per numero di figli e reddito.

Occupazione femminile e fecondità

Ora, qualche commento più "demografico" all’articolo. In che misura il recupero di fecondità in Italia è dovuto, come sembrano sostenere Del Boca e Rosina, ai primi cenni dell’inversione del tradizionale rapporto conflittualefra fecondità e lavoro della donna? Del Boca e Rosina, in figura 2, mostrano una forte relazione positiva fra tasso di occupazione femminile e ripresa della fecondità, utilizzando dati per le 20 Regioni italiane. Probabilmente, il risultato sarebbe stato lo stesso se, invece dell’occupazione femminile, si fosse messo in ascissa qualsiasi altro indicatore territoriale correlato allo sviluppo socioeconomico. I recenti dati Istat sulla fecondità per età mostrano che 1) per generazione, la fecondità dell’Italia non è mai scesa sotto 1,5 figli per donna; 2) il declino della fecondità in età giovanile è terminato, grazie anche alla maggior fecondità prima dei 30 anni delle donne straniere; 3) il recupero di fecondità oltre i 30 anni, per le coorti nate negli anni Settanta, è molto vivace. (1)Quindi, la ripresa della fecondità in Italia è in buona parte dovuta al recupero oltre i 30 anni della mancata fecondità in età giovanile per le donne nate negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, oltre che a una fecondità un po’ più elevata delle donne straniere. I due fenomeni sono stati più accentuati nelle regioni più sviluppate (che hanno attratto più stranieri) e dove la fecondità era maggiormente diminuita negli anni Ottanta e Novanta, e questo spiega risultati come quelli illustrati nella figura riportata nel lavoro di Del Boca e Rosina.
Purtroppo, in Italia " a livello individuale" il legame fra occupazione femminile e fecondità è ancora fortemente negativo. Un lavoro comparativo molto ricco e documentato sull’argomento è stato recentemente scritto dal demografo spagnolo Pau Baizan. (2)Solo in Danimarca le coppie dove entrambi i coniugi lavorano hanno più figli di quelle dove l’uomo lavora per il mercato e la donna è casalinga. Negli altri tre paesi studiati (Italia, Spagna e Regno Unito) avviene l’opposto.
In conclusione, a mio avviso, Del Boca e Rosina si sono lasciati un po’ trascinare dalla passione. È vero che le misure di conciliazionesono fondamentali per aiutare le coppie ad avere figli. Non è però vero che il governo sta facendo poco su questo versante. Le maggiori manchevolezze sono su altri aspetti, in particolare sullemisure monetarieper le coppie con più figli a reddito moderato. È vero, inoltre, che nelle società ricche la fecondità si alza se il lavoro di cura e per il mercato sono conciliabili. Non è vero, invece, che in Italia si osserva un’inversione di tendenza del legame negativo fra lavoro della donna e fecondità.

(1)Vedi il recente lavoro di Marcantonio Caltabiano
(2)Pau Baizan, "Family formation and family dilemmas in contemporary Europe", 2007, Fundacion BBVA.

EPPURE L’INVERSIONE DI TENDENZA C’È

Ringraziamo Gianpiero Dalla Zuanna (che -è bene sottolinearlo- è consulente del ministro delle Politiche per la Famiglia), per l’attenzione dedicata al nostro pezzo. Le sue obiezioni a quanto da noi scritto si possono riassumere nei due punti seguenti:

a) Non avremmo tenuto nella giusta considerazione le misure effettivamente messe in atto.
b) Non sarebbe vero che in Italia si osserva un’inversione di tendenza del legame negativo fra lavoro della donna e fecondità.

Misure "timide" e lavoro femminile

Noi però non possiamo che ribadire quanto abbiamo scritto. Ovvero:

a) A noi sembra di aver ben riconosciuto, nel nostro pezzo, che la Finanziaria 2007 ha avviato un piano straordinario di asili nidi, il primo intervento complessivo dopo un lungo periodo di stasi. Tuttavia, come lo stesso Dalla Zuanna ammette, lo stanziamento non è sufficientea coprire la domanda potenziale. Diamo atto al ministro Bindi di possedere una grande sensibilità su questi temi, e concordiamo con la sua insoddisfazione sulla parte dedicata dalla Finanziaria 2008 alla famiglia, anche se secondo Dalla Zuanna l’insoddisfazione sarebbe solo da imputare alla mancata implementazione dell’assegno unico universale per i figli.
L’accusa che ci si rivolge è di aver definito "timide" le misure per la famiglia contenute sulla Finanziaria 2008, in particolare sulla conciliazione. Era lecito avere aspettative più alte? Secondo noi sì. Non solo relativamente agli asili nido (secondo noi cruciali e che meritano ogni sforzo utile per potenziarne copertura e qualità), ma anche perché, come è stato dimostrato da vari studi recenti le politiche per la conciliazione hanno effetto soprattutto in sinergia. Sarebbe stato auspicabile allora una riforma dei congedi parentali , nonché sgravi fiscali per chi lavora e svolge lavoro di cura che incentivano sia lavoro che fecondità. Il fatto poi che su questi punti la Finanziaria possa essere legittimamente considerata timida è ulteriormente confermato dalla recente notizia di possibili emendamenti che vanno proprio nella direzione di potenziare le misure di conciliazione. (1)

b) Appare poi inconsistente la critica di Dalla Zuanna sull’inversione del legame tra lavoro femminile e fecondità Non dobbiamo essere noia ricordare a Dalla Zuanna quanto la letteratura scientifica, e vari rapporti Ocse, abbiano molto insistito negli ultimi anni sul cambiamento di segno della correlazione cross-country tra occupazione femminile e fecondità nei paesi occidentali. Non si tratta quindi di una nostra balzana invenzione: stiamo parlando di due indicatori e di una relazione tra di essi che viene costantemente presa a riferimento in ambito scientifico. Fino a qualche anno fa, però, non vi era alcuna evidenza di cambiamento di segno all’interno del territorio italiano. Ora qualcosa in tale direzione appare, come abbiamo messo in evidenza, soprattutto se guardiamo al recupero di fecondità dal 1995 in poi. Quello che si ottiene è che il recupero (comunque lo si guardi e al netto del contributo degli stranieri) è stato maggiore nelle regioni nelle quali l’occupazione femminile è più alta. Si dovrà convenire che ciò quantomeno significa che l’occupazione femminile non ha ostacolato il recupero.

Livello macro e livello micro

Contestare poi, come fa Dalla Zuanna, la relazione macro con il fatto che a livello individuale il legame rimane invece negativo, è un argomento completamente fuori bersaglio. Primo perché il legame negativo a livello micro era già chiaro dalla nostra relazione, dove si dice infatti che: "Risulta inoltre più ridotto, nel Nord Italia, il divario nei tassi di occupazione delle donne in funzione della loro condizione familiare. Ciò significa che lavorare deprime meno la fecondità nel Nord che nel Sud. In particolare, secondo i dati forniti dall’Istat, nel Nord Italia tra le donne single di 35-45 anni le occupate sono l’87 per cento, e si scende al 67 per cento tra le donne in coppia con figli. Nel meridione i valori sono rispettivamente il 68 per cento e il 35 per cento". Appare molto chiaro da tale frase che ha più figli chi non lavora, ma anche che nel Nord (dove gli strumenti di conciliazione sono più diffusi) "lavorare deprime meno la fecondità".

Ma il secondo motivo per cui l’obiezione di Dalla Zuanna proprio non ci torna, è che una relazione negativa a livello individuale di per sé non smentisce per nulla la sostanza della nostra argomentazione. Lo spieghiamo con un esempio molto semplice. Supponiamo che nella regione A ci siano quattro donne: due lavorano e hanno un figlio e due non lavorano ed hanno tre figli. Il numero medio di figli regionale risulta pari a 2. Supponiamo poi invece che nella regione B sia maggiore l’occupazione e sia più conciliabile con la possibilità di avere figli. Per le quattro donne della regione B la situazione sia allora la seguente: tre lavorano e hanno due figli, mentre una non lavora e ha tre figli. La media in questo caso risulta pari a 2,25.
Risulta chiaro allora, da questo semplice esempio, come il numero medio di figli dove c’è maggiore occupazione e conciliazione possa risultare più elevato, anche se a livello micro fanno più figli le donne non occupate.

(1) Un esempio è la proposta di cui è relatore Giovanni Legnini, Ulivo.

L’EFFIMERO BOOM DELLE NASCITE

Proprio perché si iniziano a intravedere anche in Italia possibili segnali di una relazione positiva tra occupazione femminile e fecondità, bisognerebbe investire di più per alimentare e consolidare tale processo, e avvicinarci quindi ai livelli medi europei. La crescita dei due indicatori ha per lo sviluppo del nostro paese un’importanza cruciale. Perciò il continuo potenziamento delle misure di conciliazione dovrebbe diventare una priorità. Invece la Finanziaria 2008 sembra dimostrare, ancora una volta, che così non è.

L’ALIBI DEL MERITO

Quando si parla di ricambio generazionale inceppato in Italia, alcuni sostengono la tesi che la variabile età di per sé non conti e che l’unico criterio da adottare sia quello del merito. C’è però il rischio che questo argomento sia un pretesto per lasciare irrisolta la questione generazionale. Almeno per quattro motivi. Eppure, se non si affronta seriamente il problema, saremo destinati ad accentuare la nostra naturale propensione a difendere il benessere acquisito anziché investire sul futuro.

Aliquote rosa

Tassazione differenziata in base al sesso, tassazione con quoziente familiare e imposta negativa: sono tre proposte di riforma per il sistema fiscale italiano. Cambiare le aliquote fiscali è sempre un’operazione controversa che richiede la creazione di un vasto consenso su come distribuire i guadagni e le perdite tra i contribuenti. Ma al di là delle soluzioni tecniche, l’auspicio è che il dibattito sul fisco ci serva a capire due problemi centrali dell’economia italiana: la bassa partecipazione femminile alla forza lavoro e la bassa natalità.

Chi lavora in famiglia?

E’ l’anno delle pari opportunità e si sostiene da più parti che occorre aumentare il lavoro delle donne. Ma in Italia già oggi lavorano più degli uomini. Lo fanno senza essere pagate, nella cura della casa e dei famigliari. E quando lavorano per un salario spesso rinunciano ad avere figli. Se vogliamo davvero aumentare il benessere di più della metà degli italiani c’è bisogno di misure che riconcilino lavoro e responsabilità famigliari per le famiglie a basso reddito. Proponiamo di introdurre un contributo alle spese per i servizi di cura dei bambini piccoli e/o degli anziani. Non convince invece nè l’idea di diminuire le tasse delle donne e alzare quelle degli uomini nè quella di introdurre un quoziente famigliare.

Se la badante non conviene più

Il nuovo contratto delle colf ha notevolmente alzato i minimi retributivi per le assistenti familiari. Un costo quasi proibitivo per le famiglie. Determinerà un aumento del mercato nero e un ritorno ai servizi pubblici, residenziali e domiciliari. Diventa sempre più urgente decidere come aiutare chi sceglie di tenere in casa una persona non autosufficiente, pur disponendo di mezzi limitati. Detrazioni più incisive, sostegni diretti e assegni di cura sono gli strumenti su cui occorre investire. Ma è fondamentale avere un disegno coerente.

Pagina 23 di 29

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén