Separazioni e divorzi aumentano, più al Nord che al Sud. Ma restano comunque al di sotto della media europea. Inoltre, quasi la metà delle coppie che si separa non chiede poi il divorzio. La legislazione italiana obbliga infatti ad almeno tre anni di attesa. E’ una lunga pausa di riflessione che non solo mette in difficoltà le eventuali nuove famiglie, ma rende spesso più difficile la ridefinizione dei rapporti e delle responsabilità verso i figli avuti con l’ex coniuge. Mentre la consuetudine dell’affido esclusivo alla madre nasconde rischi economici non irrilevanti.
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I dati Istat mostrano che tra luglio e settembre 2003 sono morte ventimila persone in più rispetto all’anno precedente. Attribuibili all’ondata di caldo di quell’estate. A suo tempo, un’inchiesta dell’Istituto superiore di Sanità aveva negato ogni emergenza. E mentre in Francia è stato varato un piano di assistenza agli anziani fragili, da noi si discute ancora. Il fondo per la non autosufficienza dovrà preoccuparsi di favorire una rete territoriale di interventi a più livelli: strutture centrali, enti locali, famiglie, operatori privati e volontariato.
Per sostenere i redditi familiari, si chiede una sostanziale inversione di rotta per il nostro sistema fiscale: l’unità impositiva Irpef dovrebbe essere la famiglia e non più l’individuo. Ma il cosiddetto “quoziente familiare” crea distorsioni nelle scelte lavorative del coniuge con reddito più basso. Le statistiche mostrano infatti che nei paesi a tassazione congiunta, le donne in media lavorano di meno. Priorità del nostro paese sono invece il riconoscimento delle spese a carico delle famiglie e l’attenzione a non disincentivare ulteriormente il lavoro femminile.
L’Italia, ormai quasi sola in Europa, non ha una legge che riconosca legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso, come chiede lUnione europea. Sotto il profilo costituzionale non vi è alcun ostacolo alla promulgazione di una norma di questo tipo. Non si deve necessariamente giungere a una equiparazione assoluta tra famiglia legittima e famiglia di fatto. Sarebbe già sufficiente l’adozione della formula francese dei Pacs. Oltretutto, dove le convivenze sono riconosciute e tutelate, cresce anche la natalità.
Insieme ai maltesi, i giovani italiani quelli che restano più a lungo nella famiglia di origine. Le ricerche comparative lo spiegano con l’interagire di più cause, economiche e culturali. Ma un modello sociale che si affida esclusivamente alla solidarietà familiare nella fase di ingresso nella vita adulta può avere effetti perversi: dalla cristallizzazione della riproduzione intergenerazionale della disuguaglianza ai rapporti di coppia “sbilanciati”, con uomini che divengono autonomi sempre più tardi e donne che hanno aspettative di parità e reciprocità. Alessandro Rosina commenta l’intervento; la controreplica dell’autore.
Con la laurea breve, la maggioranza dei diciannovenni italiani si è iscritta all’università. Rimarranno ancora più a lungo nella casa dei genitori? Probabilmente sì, se non si adottano politiche che consentano di mantenere una continuità nel tenore di vita ed eguali opportunità anche per chi lascia la famiglia d’origine. Perché studiare e formare una famiglia propria sono scelte poco compatibili in Italia. E’ necessario allentare la rigidità delle sequenze di eventi. Per esempio, con sostegni al reddito generalizzati e agevolazioni sull’affitto. Gianpiero dalla Zuanna commenta l’intervento; la controreplica dell’autore.
La proposta di legge sull’affidamento condiviso dei figli in caso di separazione ha una chiara portata “culturale” in un paese come l’Italia, dove le responsabilità dei coniugi sono distribuite in misura ineguale e in forme spesso inefficienti, i padri affidatari sono pochi, mentre sono tanti quelli che non corrispondono l’assegno o lo fanno saltuariamente. Ma l’affidamento congiunto non può essere semplicemente imposto per legge. Meglio sarebbe stato adottare normative più pragmatiche ed eque al tempo stesso, come la legislazione sull’affidamento olandese o quella tedesca.
L’analisi dei dati dellindagine Pisa mostra che la bassa competenza degli studenti italiani non è un problema generalizzato. I risultati sono più che soddisfacenti al Nord e nei licei. Preoccupanti al Sud e negli istituti professionali. Le carriere dipendono dalla famiglia e dal luogo di nascita, negando alla radice l’uguaglianza delle opportunità. La scuola dovrebbe perciò operare come meccanismo compensativo. Ma per farlo, occorre conoscere nel dettaglio quali elementi contribuiscono a potenziare l’acquisizione di competenze.
Con la riforma dell’Irpef, è più conveniente attribuire l’intera deduzione per il figlio a carico a uno solo dei contribuenti, generalmente quello con reddito più basso. Non si rispetta così il criterio di equità orizzontale secondo il quale, a parità di reddito e di composizione familiare, il “valore fiscale” di un figlio dovrebbe essere lo stesso. Inoltre, per il fenomeno dell’incapienza, i nuclei familiari a basso reddito in cui entrambi i genitori lavorano sono svantaggiati. Mentre nei livelli elevati sono le famiglie monoreddito a essere penalizzate.
Per i trasferimenti monetari alle famiglie la via fiscale è uno strumento poco flessibile e inappropriato nel contrasto della povertà. La maggior parte dei benefici va a favore solo di alcune categorie di cittadini. Lo sgravio è più ampio per i decili intermedi e contenuto per il primo, per il problema dell’incapienza. Non c’è stata l’unificazione degli interventi di sostegno a tutte le famiglie con minori e l’estensione degli assegni familiari ai lavoratori autonomi. A parità di effetti sul bilancio, lo strumento della spesa sarebbe stato più trasparente e diretto.