La spedizione dei Mille è stato uno degli eventi cruciali per l’unificazione d’Italia. Ai tempi non cÂ’era internet ma il telegrafo, Parigi era la Borsa di riferimento e i prestiti erano erogati dalle grandi famiglie dei banchieri e non dall’Fmi. Eppure mercati finanziari e debito pubblico ebbero un ruolo nello sgretolamento del regno borbonico e nel successo dei garibaldini. E, col senno di poi, è un po’ come se Garibaldi avesse detto “obbedisco!” non solo al re Vittorio Emanuele, ma anche ai Rothschild.
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Nel dibattito recente sulle decisioni dell’Eba si è assistito a una spaccatura netta tra i rappresentanti del sistema bancario e quelli dellÂ’accademia. L’Eba è stata difesa su queste colonne da Marco Onado e Andrea Resti. Salvatore Bragantini ha aggiunto considerazioni nello stesso senso. Luigi Zingales in un intervento su un quotidiano ha definito con tratti eroici la resistenza dell’Eba alle potenti lobby dei banchieri. Vorrei provare a riproporre la questione come l’ho discussa a cena con un amico bancario (e non “banchiere”).
L’Europa e il mondo non possono permettersi un’altra grande crisi finanziaria. E per questo il Consiglio europeo ha chiesto all’Eba di determinare i fabbisogni di capitale delle banche. Per quelle italiane significa ricapitalizzazioni per 15 miliardi. Ma non è l’Eba a dettare le norme, bensì i regolatori nazionali. Quanto alle proteste delle banche, aumentare il capitale è possibile, purché non pretendano di farlo a prezzi non realistici e mantenendo bloccati gli assetti di controllo. Così come nei loro bilanci ci sono margini per ridurre gli attivi senza strozzare le imprese.
Sono state molte le critiche rivolte alla European Banking Authority nei suoi pochi mesi di vita. Prima sugli stress test giudicati inefficaci, ora sulla ricapitalizzazione delle banche che provocherebbe una consistente stretta creditizia. Ma l’autorità di controllo propone il rimedio, non è la responsabile del problema. I giudizi negativi sull’operato dell’Eba sono dettati da interessi di parte più che da nobili preoccupazioni per il futuro dell’economia europea. Proprio quando la tempesta dei mercati richiederebbe una risposta in termini di maggiore integrazione.
L’articolo 8 della manovra prevede la concessione di garanzie pubbliche per la raccolta delle banche. È una garanzia straordinaria perché limitata al tempo strettamente necessario. E con procedure di concessione che, come è giusto, garantiscono rapidità e riservatezza. Soprattutto, però, può essere un’occasione da non perdere per avviare le modifiche e le trasformazioni delle quali il nostro sistema bancario ha bisogno.
Per spezzare il circolo vizioso determinato dagli alti tassi di intesse sul debito pubblico, occorre fare affidamento sui risparmiatori italiani. Come hanno già fatto negli anni Novanta, dovrebbero acquistare fino a tre quarti dei titoli di Stato. In questo modo l’Italia potrebbe sopportare anche un lungo periodo di alti tassi. Alla Bce il compito di garantire la stabilità del sistema bancario. L’Italia non dovrebbe avere nessun problema di rispettare la nuova regola del deficit aggiustato per il ciclo al di sotto dello 0,5 per cento del Pil.
Che cosa succederebbe se l’Italia non riuscisse a portare avanti le riforme strutturali e a consolidare i conti senza l’intervento di istituzioni europee, come la Bce? I costi cui andremmo incontro non sono quantificabili. Il nostro sistema economico entrerebbe in un perverso meccanismo che può dividersi in tre fasi: crisi di liquidità e insolvenza; pressioni deflazionistiche; pressioni inflazionistiche e instabilità politica ed economica.
Se si guardano gli spread dei Cds giornalieri, la rischiosità percepita a breve termine sul debito italiano è quadruplicata, salendo molto di più nel breve che nel lungo periodo. E da ottobre il profilo temporale del rischio ha assunto la forma a “gobba”. I mercati incorporano nei prezzi dei Cds una probabilità di default che aumenta per le scadenze tra uno e due anni, ma poi declina progressivamente. Insomma, i mercati finanziari ci dicono che ci vorranno almeno un paio di anni perché le riforme previste dal governo Monti dispieghino appieno i loro effetti. Il Pdl li ascolterà ?
L’Italia sta fronteggiando una seria crisi di fiducia dei mercati, causata dai timori che le riforme per far ripartire la crescita continuino ad essere rinviate e che l’economia alla fine soccomba sotto il peso del debito pubblico accumulato. È necessario un aggiustamento di bilancio. Che andrebbe perseguito prima tagliando le spese e poi, solo se necessario, aumentando poi l’imposizione fiscale, esattamente l’opposto di quanto appena approvato in Parlamento. Il nuovo Governo ha un’opportunità unica per segnare un punto di svolta.