L’articolo 8 della manovra prevede la concessione di garanzie pubbliche per la raccolta delle banche. È una garanzia straordinaria perché limitata al tempo strettamente necessario. E con procedure di concessione che, come è giusto, garantiscono rapidità e riservatezza. Soprattutto, però, può essere un’occasione da non perdere per avviare le modifiche e le trasformazioni delle quali il nostro sistema bancario ha bisogno.
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Per spezzare il circolo vizioso determinato dagli alti tassi di intesse sul debito pubblico, occorre fare affidamento sui risparmiatori italiani. Come hanno già fatto negli anni Novanta, dovrebbero acquistare fino a tre quarti dei titoli di Stato. In questo modo l’Italia potrebbe sopportare anche un lungo periodo di alti tassi. Alla Bce il compito di garantire la stabilità del sistema bancario. L’Italia non dovrebbe avere nessun problema di rispettare la nuova regola del deficit aggiustato per il ciclo al di sotto dello 0,5 per cento del Pil.
Che cosa succederebbe se l’Italia non riuscisse a portare avanti le riforme strutturali e a consolidare i conti senza l’intervento di istituzioni europee, come la Bce? I costi cui andremmo incontro non sono quantificabili. Il nostro sistema economico entrerebbe in un perverso meccanismo che può dividersi in tre fasi: crisi di liquidità e insolvenza; pressioni deflazionistiche; pressioni inflazionistiche e instabilità politica ed economica.
Se si guardano gli spread dei Cds giornalieri, la rischiosità percepita a breve termine sul debito italiano è quadruplicata, salendo molto di più nel breve che nel lungo periodo. E da ottobre il profilo temporale del rischio ha assunto la forma a “gobba”. I mercati incorporano nei prezzi dei Cds una probabilità di default che aumenta per le scadenze tra uno e due anni, ma poi declina progressivamente. Insomma, i mercati finanziari ci dicono che ci vorranno almeno un paio di anni perché le riforme previste dal governo Monti dispieghino appieno i loro effetti. Il Pdl li ascolterà ?
L’Italia sta fronteggiando una seria crisi di fiducia dei mercati, causata dai timori che le riforme per far ripartire la crescita continuino ad essere rinviate e che l’economia alla fine soccomba sotto il peso del debito pubblico accumulato. È necessario un aggiustamento di bilancio. Che andrebbe perseguito prima tagliando le spese e poi, solo se necessario, aumentando poi l’imposizione fiscale, esattamente l’opposto di quanto appena approvato in Parlamento. Il nuovo Governo ha un’opportunità unica per segnare un punto di svolta.
La Commissione europea propone diverse ricette per gli eurobond. Meglio quella che prevede una sostituzione parziale del debito con garanzia congiunta da parte degli stati dell’area euro. Il trasferimento di sovranità fiscale proposto dalla Commissione è solo burocratico; occorre una maggiore legittimazione politica. Intanto comincia a crollare il mito della Bundesbank, costretta a comprare il debito tedesco.
Da destra e da sinistra si accusa il neonato governo Monti di non essere frutto di una scelta democratica, ma di una imposizione dei mercati. Il nuovo esecutivo nasce indubbiamente per l’emergenza sui mercati finanziari. E dalla paralisi decisionale del governo Berlusconi che avrebbe reso inevitabile il default. Quanto al ruolo più attivo della Bce, l’Italia sarà più credibile nell’invocarlo se darà l’impressione di voler mettere a posto i conti, senza scaricare sulla Banca centrale o su altri paesi i costi della crisi. Un conflitto di interessi che era meglio evitare.
Comprare i Btp per salvare il paese: è un invito che gli italiani si sono sentiti rivolgere da più parti in questi giorni. È un ragionamento corretto? Sostituendo i depositi bancari con titoli di Stato si rischia di spostare il problema di liquidità dal governo alle banche. Un effetto netto positivo duraturo si avrebbe solo se gli italiani liquidassero asset stranieri oppure rinunciassero a parte del loro consumo attuale per comprare i titoli di Stato. Le spese per interessi diventerebbero così una forma di redistribuzione interna invece di un trasferimento di risorse all’estero.
Le borse mondiali non reagiscono di questi tempi alle notizie che provengono dal mondo dell’economia, ma guardano soprattutto alla politica. Che, sfortunatamente, non è in grado di dare certezze ai mercati né negli Stati Uniti né in Europa. E ciò non solo rallenta la ripresa oggi, ma rischia di indebolire la crescita di lungo periodo. Riportare l’incertezza politica ai livelli del 2006 negli Usa potrebbe far crescere la produzione industriale del 4 per cento e creare 2,5 milioni di posti di lavoro in diciotto mesi. Non basta per parlare di boom economico, ma sarebbe un bel passo in avanti.