Grazie ai lettori per i commenti, sia perché mi consentono di specificare alcuni profili sacrificati dalla sintesi dellarticolo, sia perché offrono spunti per ulteriori approfondimenti.
Il primo aspetto importante: è evidente che le fondazioni devono innanzitutto guardare ai dividendi che ottengono dalle partecipazioni bancarie, ma è inutile, in una prospettiva di medio lungo termine, farsi illusioni: non saranno più i succosi dividendi del passato, al contrario la prospettiva è decisamente magra e inviterei i lettori a non essere più realisti del re. Nel mio articolo cito la Carta delle Fondazioni che lACRI intende, meritoriamente, elaborare. E la stessa ACRI a dire, testuali parole, Levoluzione del ruolo delle fondazioni richiede una programmazione puntuale nel medio lungo periodo, con la conseguente necessità di poter contare su flussi costanti di introiti derivanti dallinvestimento dei patrimoni. Se questo non significa aprire la strada ad una seria diversificazione degli investimenti, nella consapevolezza di non poter più fare affidamento nel bengodi dei dividendi bancari..
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La mia proposta prevede che linsieme delle partecipazioni sia gestita da intermediari specializzati che da un lato possano far massa e quindi valorizzare maggiormente linvestimento, dallaltro introdurre un elemento di separazione tra le fondazioni e le banche (ad esempio provvedendo a nomine dove siano più forti le qualità professionali e di indipendenza degli amministratori). Un lettore sostiene, a ragione, che questo comunque non elimina del tutto lintreccio e il rischio di conflitti di interesse, ma premesso che la soluzione perfetta non esiste, sicuramente contribuisce ad attenuare queste criticità. E poi del tutto evidente, che queste soluzioni si possono realizzare solo sul piano volontario e dellautoregolamentazione: nessuno le deve imporre, a mio parere è nellinteresse stesso delle fondazioni adottarle.
Laltra obiezione significativa di molti lettori riguarda il ruolo delle fondazioni nel sostegno alle piccole banche locali in grado di favorire lo sviluppo dei territori. Nessuno nega questo ruolo ma la domanda è: siamo cosi sicuri che una piccola impresa per crescere non abbia bisogno di servizi e strumenti che solo grandi intermediari sono in grado di offrire? Se continuiamo a commiserarci (come il lettore che si rassegna al fatto che la nostra realtà economica non permette megabanche) daremo ragione, e mi scuso per l autocitazione di un mio precedente articolo, al Presidente francese Sarkozy, che nellultimo incontro bilaterale ha candidamente dichiarato, a proposito della vicenda Parmalat, che Francia e Italia possono felicemente integrarsi perchè intanto noi abbiamo il 90 per cento di piccole imprese, mentre alle grandi ci pensano loro!