Comprare i Btp per salvare il paese: è un invito che gli italiani si sono sentiti rivolgere da più parti in questi giorni. È un ragionamento corretto? Sostituendo i depositi bancari con titoli di Stato si rischia di spostare il problema di liquidità dal governo alle banche. Un effetto netto positivo duraturo si avrebbe solo se gli italiani liquidassero asset stranieri oppure rinunciassero a parte del loro consumo attuale per comprare i titoli di Stato. Le spese per interessi diventerebbero così una forma di redistribuzione interna invece di un trasferimento di risorse all’estero.
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Le borse mondiali non reagiscono di questi tempi alle notizie che provengono dal mondo dell’economia, ma guardano soprattutto alla politica. Che, sfortunatamente, non è in grado di dare certezze ai mercati né negli Stati Uniti né in Europa. E ciò non solo rallenta la ripresa oggi, ma rischia di indebolire la crescita di lungo periodo. Riportare l’incertezza politica ai livelli del 2006 negli Usa potrebbe far crescere la produzione industriale del 4 per cento e creare 2,5 milioni di posti di lavoro in diciotto mesi. Non basta per parlare di boom economico, ma sarebbe un bel passo in avanti.
Un taglio dei tassi è stata la prima mossa della Bce a guida Mario Draghi. Ma è solo una correzione ragionevole o un vero e proprio cambio di regime di politica monetaria? Oggi, alle banche centrali si chiede di dare segnali sul futuro. E di questo non c’è traccia nel comunicato della Bce. Soprattutto, la forte incertezza sui mercati finanziari e la crisi del debito sovrano richiederebbero una politica monetaria eccezionale. Ovvero l’impegno convinto e di durata prestabilita per un programma di acquisto di titoli dei paesi dell’area euro, con l’obiettivo esplicito di contenere gli spread.
L’ingresso nella moneta unica ha permesso all’Italia di abbattere il costo medio del debito, con un notevole miglioramento del bilancio e una forte riduzione del rapporto debito/Pil, benché lo sforzo di aggiustamento si sia progressivamente affievolito. Dal 2008, il rapporto debito/Pil è ritornato ai livelli di partenza e l’avanzo primario è crollato. Non stupisce che i tassi siano aumentati. Semmai, sono aumentati poco. Perché finora i mercati hanno dato scarso peso ai fondamentali, considerando impensabili bancarotta e uscita dall’euro. Potrebbero ripensarci.
Le scelte di politica economica che il governo avrebbe dovuto prendere erano chiare fin da agosto. Priorità assoluta ai tagli alla spesa, in primo luogo quella previdenziale, e lotta seria all’evasione fiscale. Per la crescita, liberalizzazione dei servizi e delle professioni, per creare concorrenza dove oggi esistono situazioni di forte potere di mercato, e privatizzazioni. Ma la lettera inviata ai partner dell’Unione Europea parlava d’altro. Neanche l’opposizione sembra avere risposte adeguate. I mercati non hanno apprezzato per nulla e lo spread è arrivato a livelli record.
I mercati finanziari hanno accolto molto bene i risultati del vertice europeo del 26 ottobre. I governi sono stati capaci di evitare una rottura drammatica tra di loro e con le banche, dando l’impressione di avere preso misure importanti e promettenti. A ben vedere, però, il comunicato finale desta qualche perplessità . Sulla Grecia si è arrivati a una insolvenza mascherata, che potrà avere effetti destabilizzanti. L’intervento sulle banche potrebbe provocare una stretta creditizia. La riforma del Fondo europeo di stabilità è ancora avvolta nella nebbia.
Le notizie sulle manovre d’estate pubblicate dai quotidiani più autorevoli hanno finito per influenzare l’andamento dello spread sui titoli di Stato? Difficile stabilire una relazione di causa-effetto. Ma un’analisi statistica mostra come la differenza tra lo spread dei Btp italiani e dei titoli di stato spagnoli rispetto ai Bund tedeschi sia aumentata significativamente quante più notizie sulla manovra finanziaria hanno pubblicato i quotidiani italiani il giorno precedente. La differenza diminuisce quando sono molti gli articoli a proposito delle intercettazioni.
La Commissione europea propone una tassa sulle transazioni finanziarie: dello 0,1 per cento su titoli e obbligazioni e dello 0,01 per cento per le operazioni sui derivati. Finora si è detto che un provvedimento simile non è fattibile, perché operatori e operazioni si sposterebbero semplicemente su altri mercati. Ma il successo di una imposta di bollo inglese in vigore dal 1986 dimostra che non è così. E oltretutto, la Tobin tax non ricadrebbe sugli investitori tradizionali, ma sui trader ad alta frequenza. Potrebbe perciò finire per garantire maggiore stabilità al sistema.
Gli Eurobond non sono necessariamente un regalo della Germania ad altri paesi dell’area euro. Possono essere concepiti in modo tale da abbassare il costo del debito pubblico per alcuni paesi, senza infliggere oneri sugli altri. Bisogna però osservare alcune regole. In particolare, per evitare sussidi incrociati, ciascun paese potrebbe contribuire a garantire gli Eurobond in due modi: alta reputazione di solvibilità o deposito in cash.