Il discorso di monsignor Bagnasco del 19 agosto sulla necessità di contrastare levasione fiscale, che di per sé è stato di buon senso, ha scatenato reazioni vivaci. Ci si è chiesti perché anche la Chiesa non dovesse partecipare ai sacrifici. La pentola pesante dei beni e dei conti ecclesiastici è stata, per quanto possibile, scoperchiata ed è apparsa una condizione di indubbio favore. (1) È una situazione, probabilmente unica in Europa e nel mondo, per dimensioni e presenza diffusa sul territorio. I vertici ecclesiastici, mediante lAvvenire, che è il loro megafono, hanno sostenuto che si voleva tassare la solidarietà (con riferimento alle attività sociali della Chiesa) e che ci si trovava di fronte a un complotto radical – massonico. Una tale reazione è stata appoggiata da Angelino Alfano per il Pdl, mentre Pier Luigi Bersani ha dovuto riconoscere che la legge lascia aperta la possibilità di evasione dallIci, da mettere in discussione.
DUE NOVITÀ
Ci sono state però due novità da parte di due osservatori di particolare autorevolezza, che hanno iniziato a rompere il muro dellarroccamento ecclesiastico. Gennaro Acquaviva, uno dei protagonisti delle trattative che portarono al nuovo Concordato del 1984, ha riconosciuto che la percentuale dellOtto per mille dellIrpef devoluto alla Cei ha fornito un gettito eccessivo e che poteva essere ridotta, per esempio, al Sette per mille. Alberto Melloni, direttore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, ha auspicato un passo indietro unilaterale da parte della Chiesa, mediante qualche atto credibile.
TRE QUESTIONI FONDAMENTALI
Chi pensa che, a breve termine, sia possibile un cambiamento di questa condizione di privilegio, si sbaglia. Si muoverà qualcosa solo nei tempi lunghi e se, dallinterno del mondo cattolico, ci sarà una nuova riflessione di fondo. Già ora, minoranze attive hanno posto il problema alle radici. Espongo tre questioni fondamentali come esse sono state impostate dal movimento Noi Siamo Chiesa (LINK a www.noisiamochiesa.org), che da quindici anni si impegna per la riforma della Chiesa cattolica nella linea delle direttive del Concilio Vaticano II e come parte di una rete internazionale di cattolici critici presente in Europa e in Nord America.
1) Qualsiasi approccio al problema dei beni e delle risorse deve partire dal fatto che la povertà della Chiesa e nella Chiesa è una condizione fondamentale per un vero annuncio evangelico. Questo approccio ha radici evangeliche che sono ricordate nel libro Sulla Chiesa povera (editrice La Meridiana, 2008);
2) nel nostro paese questa riflessione è intrinsecamente connessa con lipotesi della messa in discussione degli attuali rapporti Stato-Chiesa, su cui si fonda la situazione di privilegio;
3) corollario di questa convinzione è che sia necessario, come inevitabile primo passo nel momento attuale, prendere subito le distanze dalle attuali forze di governo. L’auspicata presa di distanza da questo tipo di rapporti con le istituzioni sarà necessaria anche nei confronti di una possibile nuova situazione politica.
PUBBLICITÀ, TRASPARENZA, GESTIONE CONTROLLATA E PARTECIPATA
La prospettiva generale, contenuta in queste tre questioni fondamentali, non potrà essere accolta in tempi brevi dalla maggioranza dellopinione del mondo cattolico. Ma, da subito, ci sono obiettivi concreti e praticabili. Tutti i beni che fanno capo alle strutture ecclesiastiche siano inventariati e conosciuti da tutti. Questi beni devono essere considerati, in un certo senso, di proprietà di tutti i membri della Chiesa, accumulatisi nel tempo con il contributo di moltissimi di essi. Attualmente solo la gestione di alcune parrocchie è conoscibile, tutto il resto è segreto o conosciuto solo per grandi cifre (ciò avviene, per esempio, per la ripartizione del miliardo annuo di gettito dellOtto per mille amministrato dalla Conferenza episcopale, del quale non si hanno dati realmente disaggregati). Lipotizzata conoscenza dei tanti attuali segreti di curia sulle dimensioni e le caratteristiche dei beni esige necessariamente la trasparenza nella loro gestione. Si deve sapere chi gestisce le risorse, secondo quali criteri, quali siano in modo analitico le destinazioni finali delle stesse. Bisogna, di conseguenza, attivare strutture di controllo e di gestione del beni e delle risorse che coinvolgano il maggior numero possibile dei cattolici attivi nella Chiesa. Ciò, ovviamente, deve avvenire secondo criteri di molta prudenza, gradualità e competenza che garantiscano non solo la correttezza amministrativa ma soprattutto la destinazione finale, avendo a mente la scelta prioritaria a favore dei bisognosi e la semplicità e la sobrietà come criteri da usare per organizzare le strutture della Chiesa che siano indispensabili.
Non si tratta di questioni teologiche, sono obiettivi praticabili dal grande corpo della Chiesa cattolica, anche dalla parte più tradizionalista e moderata, da subito e senza mettere in discussione, per ora, il Concordato e lOtto per mille. Bisogna evitare che il diffuso rifiuto della casta politica si estenda alla casta ecclesiastica e renda più difficile lannuncio dellEvangelo.
(1) Vedi, per esempio, Adista n. 62 del 10 settembre 2011, lEspresso del 1º settembre.
Vittorio Bellavite (Coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa)