Uno degli elementi qualificanti della Finanziaria 2006 è il rafforzamento delle misure di contrasto all’evasione fiscale. Ma il recupero di gettito forse così realizzabili è ben poca cosa di fronte alle dimensioni complessive del fenomeno. La base Irpef di autonomi e delle piccole imprese è evasa tra il 55 e il 70 per cento. Sull’Iva, il valore aggiunto non dichiarato è fra il 30 e il 40 per cento; sull’Irap, la base imponibile non dichiarata supera il 30 per cento. L’evasione è più forte nel settore agricolo e in alcuni comparti del terziario e cresce via via che si passa da Nord a Sud.
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Nel regime di esenzione da partecipazione, i dividendi e le plusvalenze realizzati dalle società di capitali sono esenti da imposte. La giustificazione è che riflettono utili già tassati in capo alla società partecipata. Ma le plusvalenze possono avere altre origini, ed essere anche il frutto di attività speculative, per le quali l’esenzione sembra difficilmente giustificabile. I rimedi proposti appaiono però finalizzati ad aumentare il gettito. Mentre dovremmo chiederci se Pex e simili non debbano considerarsi sleali forme di concorrenza fiscale fra paesi Ue.
Lesenzione dallIci degli edifici destinati da enti ecclesiastici ad attività commerciali, scomparsa dal decreto infrastrutture, è ricomparsa, riformulata, come emendamento alla finanziaria.
Farsi unidea sul tema non è facile. Per facilitare il compito ai nostri lettori, nellarticolo allegato illustriamo i termini del problema e proponiamo una ricostruzione, sintetica, delle principali tappe di questa vicenda.
La Finanziaria 2006 introduce in via sperimentale la possibilità per il contribuente di scegliere di destinare il 5 per mille del gettito Irpef al sostegno del volontariato, al finanziamento della ricerca o ad attività sociali svolte dal suo comune di residenza. E’ un provvedimento atipico di spesa pubblica. Si tratta dell’ennesimo intervento nel campo del non profit, senza però un disegno coerente. E niente garantisce che alle maggiori risorse così ottenute non corrisponda una diminuzione di quelle stanziate dal bilancio dello Stato per questi scopi.
Nel nostro paese, i redditi delle attività finanziarie sono tassati con aliquote diverse: 12,5 per cento e 27 per cento. Una differenziazione ingiustificata sotto il profilo dell’equità e sotto quello della neutralità del prelievo. La necessità di arrivare a un’aliquota uniforme è condivisa sia dal centrodestra che dal centrosinistra. Ma su quali livelli? La scelta non può essere il risultato di considerazioni estemporanee, ma richiede di definire prioritariamente il modello di tassazione che si vuole adottare. E l’aumento di gettito non può essere la sola finalità.
Molto più selettiva del “modello britannico”, la tassa ambientale inserita nella Finanziaria 2006 esclude le telecomunicazioni e incide solo sulle grandi reti di trasmissione dell’energia elettrica e del gas naturale. Dubbia la qualificazione di tributo ambientale. Il tributo non può essere traslato. Ma in tempi di emergenza finanziaria, sembrerebbe più appropriato colpire la vendita di energia, dove le posizioni dominanti assicurano notevoli profitti. A ostacolare una simile manovra è la presenza diretta del Tesoro come azionista di Eni ed Enel.
La Finanziaria 2006 contiene varie misure per incoraggiare la ricerca e l’innovazione. Tra le altre, c’è l’abolizione delle tasse sui brevetti. Peccato che solo in febbraio le tasse sul deposito, il rinnovo e anche l’imposta di bollo sui brevetti fosse stata aumentata del 30 per cento. Che deve aspettarsi un potenziale inventore sulla tutela della proprietà intellettuale in Italia? E l’abolizione è poi una buona idea? Eppure, per incentivare la ricerca e l’innovazione non servono tanti interventi, ma pochi e duraturi.
Con la manovra per il 2006 il Governo abbandona la politica dei tagli fiscali. Ma le scelte compiute sembrano, in larga parte, guidate dalla ricerca affannosa di entrate per fare quadrare i conti, purché turbino il meno possibile il sonno degli elettori. Comprendono la lotta all’evasione, la “tassa sui tubi” e una miscellanea di provvedimenti che insistono su campi già battuti. Nessuna modifica strutturale è stata messa in cantiere: né sul fronte dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap, né per quanto riguarda il possibile riordino della tassazione sulle “rendite” finanziarie.
Interventi sul costo del lavoro, per il riequilibrio della tassazione relativa del lavoro e del capitale, a favore degli investimenti o delle piccole imprese e dei liberi professionisti: tutte le proposte di tagli all’Irap condividono due limiti. Comportano una perdita di gettito in un periodo difficile per i conti pubblici e rincorrono obiettivi a volte contraddittori, minando la coerenza del sistema tributario, senza un quadro coerente dei loro effetti distributivi e dei costi e benefici. Ma la vera questione resta la copertura delle perdite di gettito.
Sostituire l’Irap con un’imposta migliore non è facile. Lo dimostra l’insoddisfazione che circonda le proposte finora approntate. Ogni scelta impone di privilegiare un obiettivo a scapito di altri e si scontra con effetti redistributivi molto difficili da gestire politicamente. Sarebbe comunque opportuno evitare di moltiplicare le agevolazioni disperdendole su una miriade di microbiettivi. E prima di procedere con nuovi incentivi, andrebbero valutati con attenzione i costi e gli effetti dei sei interventi attuati sull’Irap negli ultimi sette mesi.