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Irap: dove sono le Regioni?

Il governo ha ripetutamente annunciato il ridimensionamento dell’Irap disinteressandosi dei potenziali effetti sulle finanze regionali. Come compensare le Regioni per la perdita di gettito conseguente al ridimensionamento dell’Irap? La questione va inquadrata nella prospettiva più ampia del ridisegno complessivo della finanza regionale necessario per realizzare i principi contenuti nel nuovo Titolo V della Costituzione. La soluzione non è a portata di mano né sono state avanzate proposte plausibili. Una prospettiva possibile, non priva di controindicazioni, consiste nell’ampliamento della addizionale Irpef.

Ridurre l’IRAP e il “costo del lavoro”

È urgente avviare un processo di graduale eliminazione dell’Irap a partire dal costo del lavoro. Eliminare da subito la tassazione dei contributi sociali costerebbe, in termini aggregati, circa 4 miliardi di euro. Per verificare gli effetti redistributivi dell’intervento abbiamo analizzato un campione di imprese del manifatturiero e calcolato che porterebbe per l’80% delle imprese un risparmio significativo, compreso tra il 14 e il 30% dell’IRAP attuale. Il risparmio risulta sufficientemente ben distribuito tra le imprese.

Agevolazioni a futura memoria

La bozza di decreto legislativo di attuazione della delega previdenziale interviene anche sulla disciplina fiscale del risparmio previdenziale. Il regime precedente era già generoso anche rispetto al modello classico e non è stato un ostacolo allo sviluppo della previdenza complementare. Il sistema ora proposto non risponde a un disegno razionale e accentua l’agevolazione, specialmente nei confronti dei soggetti ad alto reddito. L’onere sul bilancio pubblico è spostato nel futuro, a carico dei Governi che verranno. Ciò contribuisce però a renderla più incerta.

L’Agenzia e la base imponibile delle addizionali locali

Una circolare dell’Agenzia delle entrate estende la deduzione per carichi familiari alla base imponibile delle addizionali regionali e comunali. Sul piano giuridico, è un esempio di modifica legislativa attraverso “interpretazione”. Tanto più discutibile perché si interviene su una previsione legislativa sufficientemente definita. Sul piano economico, il gettito delle Regioni e dei Comuni subisce un’ulteriore e più sostanziosa riduzione. E si ripropone la questione di un risparmio d’imposta molto variabile in base al reddito e con frequenti tratti di regressività.

Quella ricchezza difficile da tassare

La tassazione delle rendite finanziarie ritorna ciclicamente all’attenzione della politica. Ma il tema è tecnicamente complesso. Improponibili le opzioni di escludere dall’intervento i titoli di Stato italiani o di elevare la tassazione per i soli strumenti di nuova emissione. Il costo della diminuzione dell’aliquota del 27 per cento è sostanzialmente certo. Più difficile stimare il recupero di gettito derivante dall’innalzamento di quella del 12,5 per cento. Scarsi invece i rischi di ripercussioni sui tassi di interessi sui titoli del debito pubblico o di fughe di capitali.

Fisco e benzina, un Giano bifronte

A ogni rincaro del prezzo del petrolio corrisponde un’invocazione al Governo. Perché introduca un meccanismo automatico di variazione dell’accisa per mantenere stabile il prezzo dei carburanti. Ma c’è il rischio che si scelga un livello sbagliato. Per esempio, facendo dimenticare ai cittadini che il petrolio è una risorsa esauribile, il cui prezzo è destinato inevitabilmente a crescere. Se si vuole davvero calmierare il prezzo della benzina, l’unica alternativa è una apertura dei mercati a nuovi entranti e una maggiore concorrenza tra i venditori.

I tagli se ne vanno in fiscal drag

Dopo l’introduzione dei primi due moduli della riforma fiscale, il reddito reale delle famiglie italiane è aumentato la metà di quanto appare osservando la struttura formale dell’imposta a redditi nominali invariati. Rispetto alla struttura di aliquota media in vigore nel 2002, quella introdotta con la riforma comporta una lieve intensificazione dell’effetto del fiscal drag attribuibile all’inflazione. Ciò è dovuto al fatto che la progressività dell’imposta è nel complesso aumentata, ma in misura relativamente più forte per i redditi medio-bassi.

Il dopo-Irap

Come sostituire l’Irap se la Corte di giustizia europea seguirà le indicazioni dell’avvocato generale? Impraticabile l’ipotesi di ripristinare i contributi eliminati con la sua introduzione, si potrebbe seguire l’esempio della Danimarca che nel 1991 rimpiazzò un’imposta sul valore aggiunto con un aumento di tre punti dell’Iva. Nei settori più esposti alla concorrenza vi sarebbe un guadagno di competitività. Ma nei servizi avremmo probabilmente un aumento dei prezzi al lordo dell’Iva. E l’inflazione percepita tornerebbe a salire velocemente.

L’Irap è morta. Viva l’Irap

La sostituzione dell’Irap pone problemi di gettito, distributivi e allocativi di estrema importanza e di non facile soluzione. Va perciò evitata l’improvvisazione normativa. Un’ipotesi è dividerla in due o più imposte, ciascuna delle quali riferita alle singole componenti della base imponibile. Una completa detassazione del costo del lavoro priverebbe l’erario di 12 miliardi di euro. Meglio allora escludere dall’imposta solo gli oneri sociali. Tanto più se il mancato gettito fosse recuperato con l’unificazione e l’inasprimento delle aliquote sulle rendite finanziarie.

L’Irap funesta

L’Irap è il principale tributo delle Regioni italiane. E il più criticato. Molti dei rilievi non colpiscono il bersaglio. Il problema principale del tributo come imposta regionale è la sua forte sperequazione sul territorio. Ciò ha reso difficile la costruzione di un vero sistema di federalismo fiscale. Le riforme che verranno probabilmente attuate non toccheranno questo punto. Sarebbe invece opportuno approfittare dell’occasione per ridisegnare il modello di finanziamento delle Regioni italiane.

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