L’esenzione dall’Ici degli edifici destinati da enti ecclesiastici ad attività commerciali, scomparsa dal decreto infrastrutture, è ricomparsa, riformulata, come emendamento alla finanziaria.
Farsi un’idea sul tema non è facile. Per facilitare il compito ai nostri lettori, nell’articolo allegato illustriamo i termini del problema e proponiamo una ricostruzione, sintetica, delle principali tappe di questa vicenda.
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Molto più selettiva del “modello britannico”, la tassa ambientale inserita nella Finanziaria 2006 esclude le telecomunicazioni e incide solo sulle grandi reti di trasmissione dell’energia elettrica e del gas naturale. Dubbia la qualificazione di tributo ambientale. Il tributo non può essere traslato. Ma in tempi di emergenza finanziaria, sembrerebbe più appropriato colpire la vendita di energia, dove le posizioni dominanti assicurano notevoli profitti. A ostacolare una simile manovra è la presenza diretta del Tesoro come azionista di Eni ed Enel.
La Finanziaria 2006 contiene varie misure per incoraggiare la ricerca e l’innovazione. Tra le altre, c’è l’abolizione delle tasse sui brevetti. Peccato che solo in febbraio le tasse sul deposito, il rinnovo e anche l’imposta di bollo sui brevetti fosse stata aumentata del 30 per cento. Che deve aspettarsi un potenziale inventore sulla tutela della proprietà intellettuale in Italia? E l’abolizione è poi una buona idea? Eppure, per incentivare la ricerca e l’innovazione non servono tanti interventi, ma pochi e duraturi.
Con la manovra per il 2006 il Governo abbandona la politica dei tagli fiscali. Ma le scelte compiute sembrano, in larga parte, guidate dalla ricerca affannosa di entrate per fare quadrare i conti, purché turbino il meno possibile il sonno degli elettori. Comprendono la lotta all’evasione, la “tassa sui tubi” e una miscellanea di provvedimenti che insistono su campi già battuti. Nessuna modifica strutturale è stata messa in cantiere: né sul fronte dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap, né per quanto riguarda il possibile riordino della tassazione sulle “rendite” finanziarie.
Interventi sul costo del lavoro, per il riequilibrio della tassazione relativa del lavoro e del capitale, a favore degli investimenti o delle piccole imprese e dei liberi professionisti: tutte le proposte di tagli all’Irap condividono due limiti. Comportano una perdita di gettito in un periodo difficile per i conti pubblici e rincorrono obiettivi a volte contraddittori, minando la coerenza del sistema tributario, senza un quadro coerente dei loro effetti distributivi e dei costi e benefici. Ma la vera questione resta la copertura delle perdite di gettito.
Sostituire l’Irap con un’imposta migliore non è facile. Lo dimostra l’insoddisfazione che circonda le proposte finora approntate. Ogni scelta impone di privilegiare un obiettivo a scapito di altri e si scontra con effetti redistributivi molto difficili da gestire politicamente. Sarebbe comunque opportuno evitare di moltiplicare le agevolazioni disperdendole su una miriade di microbiettivi. E prima di procedere con nuovi incentivi, andrebbero valutati con attenzione i costi e gli effetti dei sei interventi attuati sull’Irap negli ultimi sette mesi.
Dall’analisi dell’insieme delle imposte sulle imprese a carico del lavoro e del capitale emerge che il primo fattore produttivo risulta più tassato del secondo. Ma a ben vedere a essere fortemente sussidiati fiscalmente sono gli investimenti finanziati con debito. Un migliore equilibrio dovrebbe allora essere perseguito attraverso una maggiore neutralità nel trattamento fiscale degli investimenti piuttosto che aumentando indiscriminatamente la tassazione del fattore capitale. L’attenzione quindi non dovrebbe essere concentrata solo sull’Irap.
L’Irap così com’è oggi assicura una rendita fiscale alle imprese ad alta intensità di capitale all’interno di uno stesso settore, ma anche ad interi settori di attività : banche, telecomunicazioni ed energetico rispetto al settore industriale in senso stretto. Uno sgravio integrale sul costo del lavoro li avvantaggerebbe ulteriormente. Per aiutare l’industria esportatrice, invece, è assolutamente necessario redistribuire il carico fiscale mediante una razionalizzazione dellÂ’imposta, intervenendo poi sull’aliquota per abbassarla ulteriormente.
Il governo ha ripetutamente annunciato il ridimensionamento dell’Irap disinteressandosi dei potenziali effetti sulle finanze regionali. Come compensare le Regioni per la perdita di gettito conseguente al ridimensionamento dell’Irap? La questione va inquadrata nella prospettiva più ampia del ridisegno complessivo della finanza regionale necessario per realizzare i principi contenuti nel nuovo Titolo V della Costituzione. La soluzione non è a portata di mano né sono state avanzate proposte plausibili. Una prospettiva possibile, non priva di controindicazioni, consiste nell’ampliamento della addizionale Irpef.
È urgente avviare un processo di graduale eliminazione dell’Irap a partire dal costo del lavoro. Eliminare da subito la tassazione dei contributi sociali costerebbe, in termini aggregati, circa 4 miliardi di euro. Per verificare gli effetti redistributivi dell’intervento abbiamo analizzato un campione di imprese del manifatturiero e calcolato che porterebbe per l’80% delle imprese un risparmio significativo, compreso tra il 14 e il 30% dell’IRAP attuale. Il risparmio risulta sufficientemente ben distribuito tra le imprese.