Dall’emendamento finale emerge una struttura dell’Ire di quattro aliquote, dal 23 al 43 per cento. Vengono confermati gli aspetti di iniquità distributiva. Il 16,5 per cento dei contribuenti più ricchi gode del 60 per cento del totale dei tagli. E l’abbandono della proposta di aumento degli assegni familiari rende ancora più evidente i limiti dell’Ire nell’affrontare le condizioni economiche degli incapienti. Tra primo e secondo modulo, lo sgravio netto per le famiglie si riduce a poco più di sette miliardi, un quarto di quanto promesso dalla legge delega.
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E’ finita presto la fase della trasparenza sulla situazione dei conti pubblici. Ora la confusione è massima. E nel susseguirsi di cifre e di proposte si rischia di sperperare i pochi soldi disponibili per politiche che ci permettano di agganciare la ripresa internazionale. Perché se domina lÂ’incertezza sulla natura, lÂ’entità e la durata degli interventi, i beneficiari saranno solo le famiglie o gli imprenditori che avrebbero comunque aumentato i consumi o assunto nuovi lavoratori anche senza gli incentivi e gli sgravi fiscali.
LÂ’aumento degli assegni familiari per il “quarto componente” ripropone una concezione dei servizi all’infanzia affidata principalmente alla famiglia, alle nonne in particolare. Però, la scarsità di nidi e asili e la rigidità degli orari è alla base della minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e in futuro le nonne avranno sempre meno tempo da dedicare ai nipoti. Bisogna dunque puntare a un ampliamento dell’offerta. Anche attraverso la creazione di asili aziendali e di micronidi privati.
Oggi il sistema tributario italiano, a parità di condizioni, incentiva a investire in capitale fisico anziché in ricerca e sviluppo. Anche con le agevolazioni proposte dal Governo, la convenienza a effettuare tali investimenti rimarrebbe inferiore rispetto ad altri paesi. I benefici dovrebbero comunque essere riservati ai soli nuovi investimenti. Sarebbero così più efficaci e avrebbero un costo inferiore per l’erario. Dovrebbero poi essere affiancati da una misura specifica di carattere permanente.
Gli interventi prospettati dal Governo per le imprese ricalcano politiche già adottate e non concentrano le risorse su un obiettivo specifico. E la riduzione dell’Irap è mirata soprattutto ad alimentare l’illusione che possa essere abolita. Sarebbe preferibile utilizzare eventuali risorse per la deduzione dallÂ’imponibile dei contributi commisurati al lavoro. Oppure per concentrare gli incentivi su investimenti qualificati, come quelli in ricerca. O ancora per una riduzione generalizzata dell’aliquota Ires, imposta certamente più distorsiva.
La riforma fiscale per sostenere l’economia italiana? Un’indagine de lavoce.info mostra che se fosse varata a partire dal 1 gennaio 2005, un terzo della riduzione di imposte si tradurrebbe in aumento dei consumi, ma la gran parte del reddito aggiuntivo servirebbe per incrementare il risparmio o ridurre i debiti. Perché la riforma è percepita come transitoria. E nel 2005 potrebbe dare una “scossa” iniziale di soli 2,6 miliardi di euro, cioè lo 0,2 per cento del Pil. Prima di attuare la manovra, il Governo farebbe bene a studiarne meglio i probabili effetti.
Si dice che gli italiani non risparmino più. In realtà , il risparmio delle famiglie italiane rimane elevato. Perché le riforme delle pensioni degli anni Novanta hanno drasticamente ridotto il grado di copertura previdenziale, particolarmente per le nuove generazioni. E perché il timore di una caduta dei redditi ha frenato i consumi e favorito lÂ’accumulazione. D’altra parte, il risparmio non è un indicatore di benessere o di povertà . Paesi con un reddito pro capite molto più elevato del nostro hanno tassi di risparmio molto più bassi. E viceversa.
Un nostro sondaggio rivela che gli italiani non guardano con sfavore a un taglio delle imposte, ma non pensano che sia la principale priorità della politica di bilancio. Ridurre il debito pubblico e migliorare alcuni servizi sembrano obiettivi almeno altrettanto importanti. Dovendo intervenire sulle imposte, preferirebbero che la riduzione avesse un impatto immediato sui prezzi piuttosto che sui redditi. E per quanto riguarda l’Irpef, vorrebbero mantenere la progressività dell’imposta e concentrare gli sgravi sui meno abbienti.
Lo schema incentrato su tre aliquote di imposta sembra rimanere ben saldo nelle intenzioni del Governo anche se rinviato di un anno. Per la gran parte della popolazione, però, non ci sarà alcun beneficio. E lo sgravio fiscale si colloca nella prospettiva di un welfare residuale. A un minor prelievo sui redditi elevati corrisponderà una riduzione di prestazioni sociali. A questa visione se ne può contrapporre un’altra con un assetto dellÂ’imposta personale e dei trasferimenti monetari che abbia effetti redistributivi in modo da sostenere i redditi bassi e medi.
Le nuove ipotesi di riforma fiscale con quattro aliquote e deduzioni si configurano come una lieve redistribuzione dai contribuenti con reddito dichiarato più alto a quelli che si collocano nelle fasce attorno a 40-50mila euro. Dovuto però alla sostituzione delle detrazioni con deduzioni. Se invece si considerano i redditi familiari equivalenti, tutte le varianti del secondo modulo continuano ad avvantaggiare le famiglie più ricche. E si affaccia perciò il correttivo di un aumento generalizzato degli assegni al nucleo familiare.