La decisione di accorpare i tribunali, eliminando molte sedi minori, è positiva per i costi dello Stato ma anche per la giustizia e quindi per l’interesse del cittadino. Consente infatti di sfruttare le economie di scala e soprattutto di specializzare i giudici, aumentandone così la produttività . Anche i costi diretti per il cittadino che ricorre alla giustizia civile potranno essere ridotti se, grazie alla maggiore dimensione delle sedi, si potrà accelerare l’introduzione del processo telematico.
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In Italia abbiamo un problema di “eccessiva” facilità di accesso al servizio giustizia. Lo spiega il professor Persico al Convegno del 4 luglio 2012, tenutosi in Cattolica, in occasione del decennale del nostro sito. Scarica le slides della presentazione, in allegato.
I cambiamenti in atto per le professioni legali, spiegate nelle slides che il professor Vella ha usato per accompagna il suo discorso al Convegno in occasione del decennale de Lavoce.info, il 4 luglio 2012 all’Università Cattolica. Scarica il pdf in allegato.
La gestione di una causa civile costa allo Stato circa 500 euro contro un incasso dell’8,7 per cento delle spese sostenute pari a una media di 43 euro. È per questo che il ricorso alla giustizia civile si è trasformato spesso in un abuso e ha causato l’ingolfamento dei tribunali, sommersi ogni anno da oltre 5 milioni di nuove procedure. E, di conseguenza, l’insostenibile lunghezza dei processi civili in Italia. Per risolvere la situazione basterebbe introdurre la certezza assoluta, all’inizio del processo, che chi perde, e non la collettività , paga il conto. E forse al ministero servirebbe un manager.
In controtendenza con quanto accade nel resto d’Europa e in Nord America, in Italia le separazioni continuano ad aumentare. Il fenomeno dipende anche dalle difficoltà dei giudici nel determinare gli assegni di mantenimento, formalmente a tutela del benessere dei figli. Un passo in avanti può essere l’utilizzo delle scale di equivalenza, una misura semplice e in grado di garantire una soluzione ragionevole al problema. Si tratterebbe di un adeguamento normativo praticamente a costo zero, in grado però di favorire una maggiore equità tra generazioni e generi.
La corruzione in Italia è un fenomeno pervasivo e sistemico. E tuttavia le norme appena approvate alla Camera si possono considerare come un compromesso al ribasso tra istanze politiche contrapposte. Gli aspetti positivi non mancano, ma non si affrontano le vere criticità del sistema e in alcuni casi si fanno pericolosi passi indietro. Se la legge sarà definitivamente varata, per molti anni rappresenterà il quadro normativo di riferimento nella lotta alla corruzione nel nostro paese. Senza riuscire a incidere sulle condizioni che rendono queste attività redditizie e poco rischiose.
Fare troppe cose insieme non è produttivo. Anche per i giudici, che si trovano spesso ad affrontare contemporaneamente centinaia di cause. Una sperimentazione condotta presso la Corte di appello sezione lavoro di Roma mostra che se il magistrato si concentra su un numero molto minore di controversie si ottengono netti miglioramenti, con circa il 20 per cento in più di casi esauriti al mese rispetto ai collegi non sperimentali. È un risultato importante: per le aziende e i lavoratori significa una più veloce definizione dei procedimenti. E per lo Stato risparmi sui risarcimenti.
Secondo l’Eurobarometro l’87 per cento dei cittadini italiani ritiene che la corruzione sia un serio problema. Ma non è semplice misurare il fenomeno. E per questo si ricorre a indici di percezione che, pur con qualche limite, riescono a cogliere i livelli di diffusione della corruzione incontrata dai cittadini nella loro esperienza quotidiana. L’Italia negli ultimi anni ha visto un significativo peggioramento della sua posizione relativa nelle classifiche di questo tipo, a cui non corrisponde un aumento dei processi penali. Insomma, si tratta di crimini impuniti.
La riforma del lavoro in Italia dovrebbe rispondere anche al desiderio delle imprese di limitare la dimensione giudiziaria del contenzioso sul lavoro. Negli Stati Uniti molte aziende risolvono la questione stabilendo già al momento dell’assunzione che in caso di controversie il lavoratore ricorrerà all’arbitrato e non al giudice. Una soluzione che comporta alcuni benefici, come mostra uno studio sull’esperienza di una grande società . E, pur con le cautele del caso, suggerisce una riflessione più ampia sulla regolamentazione dell’arbitrato nel nostro diritto del lavoro.
E’ un vecchio slogan degli anni Settanta. Segnò l’irrompere della politica in territori fino ad allora esclusi, dalla sessualità ai rapporti di coppia all’impegno come progetto complessivo di vita. Deve essere tornato in mente a Francesco Belsito, un uomo alla cui vista proviamo un naturale moto di stima per Cesare Lombroso. Belsito, amministratore della Lega Nord, Sottosegretario alla Semplificazione, Consigliere di Amministrazione di Fincantieri, una delle maggiori imprese italiane a proprietà pubblica, un curriculum costellato di incidenti, dal diploma conseguito (forse) a Fratta Maggiore con firme dubbie del preside alle due Lauree estere da istituzioni non riconosciute, una scalata politica degna di un oro olimpico, da autista di Biondi agli albori di Forza Italia alle attuali e ben remunerate responsabilità pubbliche, una disinvoltura nei rapporti che lo vede in pericolose prossimità con personaggi della ‘ndrangheta, una naturale attrazione per gli investimenti in luoghi esotici e discreti, dalla Tanzania a Cipro. Il privato è politico, dicevamo, deve essere tornato a mente dell’ottimo Belsito quando ha pagato la fattura per il rinnovo del tinello di casa Bossi con i soldi del rimborso delle spese elettorali. Non destasse orrore, si potrebbe dire: un uomo del nostro tempo.