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Categoria: Giustizia Pagina 16 di 33

Troppi azzardi (morali) nella giustizia civile *

La gestione di una causa civile costa allo Stato circa 500 euro contro un incasso dell’8,7 per cento delle spese sostenute pari a una media di 43 euro. È per questo che il ricorso alla giustizia civile si è trasformato spesso in un abuso e ha causato l’ingolfamento dei tribunali, sommersi ogni anno da oltre 5 milioni di nuove procedure. E, di conseguenza, l’insostenibile lunghezza dei processi civili in Italia. Per risolvere la situazione basterebbe introdurre la certezza assoluta, all’inizio del processo, che chi perde, e non la collettività, paga il conto. E forse al ministero servirebbe un manager.

UN ASSEGNO DALLA PARTE DEI FIGLI

In controtendenza con quanto accade nel resto d’Europa e in Nord America, in Italia le separazioni continuano ad aumentare. Il fenomeno dipende anche dalle difficoltà dei giudici nel determinare gli assegni di mantenimento, formalmente a tutela del benessere dei figli. Un passo in avanti può essere l’utilizzo delle scale di equivalenza, una misura semplice e in grado di garantire una soluzione ragionevole al problema. Si tratterebbe di un adeguamento normativo praticamente a costo zero, in grado però di favorire una maggiore equità tra generazioni e generi.

COSÌ LA CORRUZIONE PROSPERA

La corruzione in Italia è un fenomeno pervasivo e sistemico. E tuttavia le norme appena approvate alla Camera si possono considerare come un compromesso al ribasso tra istanze politiche contrapposte. Gli aspetti positivi non mancano, ma non si affrontano le vere criticità del sistema e in alcuni casi si fanno pericolosi passi indietro. Se la legge sarà definitivamente varata, per molti anni rappresenterà il quadro normativo di riferimento nella lotta alla corruzione nel nostro paese. Senza riuscire a incidere sulle condizioni che rendono queste attività redditizie e poco rischiose.

 

MULTITASKING NELLA GIUSTIZIA

Fare troppe cose insieme non è produttivo. Anche per i giudici, che si trovano spesso ad affrontare contemporaneamente centinaia di cause. Una sperimentazione condotta presso la Corte di appello sezione lavoro di Roma mostra che se il magistrato si concentra su un numero molto minore di controversie si ottengono netti miglioramenti, con circa il 20 per cento in più di casi esauriti al mese rispetto ai collegi non sperimentali. È un risultato importante: per le aziende e i lavoratori significa una più veloce definizione dei procedimenti. E per lo Stato risparmi sui risarcimenti.

QUELLA CORRUZIONE SOMMERSA

Secondo l’Eurobarometro l’87 per cento dei cittadini italiani ritiene che la corruzione sia un serio problema. Ma non è semplice misurare il fenomeno. E per questo si ricorre a indici di percezione che, pur con qualche limite, riescono a cogliere i livelli di diffusione della corruzione incontrata dai cittadini nella loro esperienza quotidiana. L’Italia negli ultimi anni ha visto un significativo peggioramento della sua posizione relativa nelle classifiche di questo tipo, a cui non corrisponde un aumento dei processi penali. Insomma, si tratta di crimini impuniti.

PERCHÉ NON RICORRERE ALL’ARBITRATO?

La riforma del lavoro in Italia dovrebbe rispondere anche al desiderio delle imprese di limitare la dimensione giudiziaria del contenzioso sul lavoro. Negli Stati Uniti molte aziende risolvono la questione stabilendo già al momento dell’assunzione che in caso di controversie il lavoratore  ricorrerà all’arbitrato e non al giudice. Una soluzione che comporta alcuni benefici, come mostra uno studio sull’esperienza di una grande società. E, pur con le cautele del caso, suggerisce una riflessione più ampia sulla regolamentazione dell’arbitrato nel nostro diritto del lavoro.

IL PRIVATO è POLITICO

E’ un vecchio slogan degli anni Settanta. Segnò l’irrompere della politica in territori fino ad allora esclusi, dalla sessualità ai rapporti di coppia all’impegno come progetto complessivo di vita. Deve essere tornato in mente a Francesco Belsito, un uomo alla cui vista proviamo un naturale moto di stima per Cesare Lombroso. Belsito, amministratore della Lega Nord, Sottosegretario alla Semplificazione, Consigliere di Amministrazione di Fincantieri, una delle maggiori imprese italiane a proprietà pubblica, un curriculum costellato di incidenti, dal diploma conseguito (forse) a Fratta Maggiore con firme dubbie del preside alle due Lauree estere da istituzioni non riconosciute, una scalata politica degna di un oro olimpico, da autista di Biondi agli albori di Forza Italia alle attuali e ben remunerate responsabilità pubbliche, una disinvoltura nei rapporti che lo vede in pericolose prossimità con personaggi della ‘ndrangheta, una naturale attrazione per gli investimenti in luoghi esotici e discreti, dalla Tanzania a Cipro. Il privato è politico, dicevamo, deve essere tornato a mente dell’ottimo Belsito quando ha pagato la fattura per il rinnovo del tinello di casa Bossi con i soldi del rimborso delle spese elettorali. Non destasse orrore, si potrebbe dire: un uomo del nostro tempo.

CONCORSO ESTERNO E STATO DI DIRITTO

In attesa delle motivazioni che hanno indotto la Cassazione ad accogliere il ricorso di Marcello Dell’Utri contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo che lo condannava per concorso esterno in associazione mafiosa, è utile ripercorrere brevemente la storia di questo istituto. E riassumere le posizioni più autorevoli sulla domanda centrale: è possibile indagare il cono d’ombra che collega criminalità e mondo legale della politica, degli affari, della giustizia, senza condannare prassi, magari di malcostume o eticamente inopportune, ma penalmente irrilevanti?

IL CERCHIO MAGICO DEGLI ADVISOR DELLE COSCHE

Nella diffusione della presenza criminale nelle attività economiche, svolgono un ruolo cruciale figure professionali non affiliate alle cosche e tuttavia strategiche nel consentirne la penetrazione nei gangli dell’economia legale. Se non si può ricorrere alla nozione di concorso esterno, sono comunque necessari altri istituti giuridici che permettano di colpire i consulenti delle organizzazioni criminali, pur non affiliati. Anche perché superato questo passaggio diviene molto più difficile rintracciare l’origine delittuosa delle attività lecite.

RESTA UNA ROULETTE

Ringraziamo Nicola Persico per aver portato nuova linfa al confronto di opinioni tra economisti e magistrati originato dai nostri articoli, confronto che, per inciso, forse non avrebbe avuto luogo senza gli articoli stessi.

UN ESEMPIO CHIRURGICO

Può essere utile, per chiarire il nostro pensiero alla luce dei commenti di Nicola Persico, considerare il caso di una malattia che, allo stato attuale delle conoscenze mediche, possa essere curata solo con un intervento chirurgico eseguibile in diverse varianti tutte molto incerte. I pazienti arrivano al pronto soccorso e casualmente trovano in servizio uno dei tanti chirurghi di un ospedale. I chirurghi sono tutti bravissimi, ma hanno legittime opinioni diverse su quale sia la variante migliore di intervento a seconda delle peculiarità specifiche del malato. I cittadini, quindi, senza alcuna “colpa” dei medici, si trovano esposti a una lotteria, riguardo ai risultati dell’operazione, che in parte deriva dall’incertezza stessa della tecnica chirurgica e in parte deriva anche dai legittimi orientamenti del medici. È perfettamente possibile che la variante A preferita dal medico X generi mediamente esiti più infausti, ma, in caso di successo, dia risultati migliori. Viceversa, con la variante B preferita dal medico Y.
In questo contesto, ipotizziamo che venga scoperta una terapia farmacologica che riduce notevolmente la variabilità degli esiti terapeutici, anche senza assicurare guarigione certa. La terapia farmacologica riduce solamente l’incertezza a cui sono esposti i cittadini che devono ricorrere al pronto soccorso. Per quale motivo l’ospedale non dovrebbe prendere in considerazione la terapia alternativa, che implicherebbe di non affidare più ai chirurghi il trattamento dei casi corrispondenti?

CONCILIAZIONE E TRASPARENZA

I nostri articoli non erano finalizzati a stabilire quanto della variabilità dei tempi e degli esiti osservati nei tribunali considerati sia dovuta a “errore” del giudice. Questa è la domanda studiata nel saggio americano citato da Nicola Persico, ma non è quella che a noi interessa. (1) Anche se la variabilità fosse interamente dovuta a validissimi motivi (cause pregresse nel caso dei tempi, legittimi orientamenti nei casi degli esiti), il nostro punto rimarrebbe valido: l’attuale assegnazione casuale dei processi ai giudici, per ottemperare all’articolo 25 della Costituzione, genera una lotteria per i cittadini anche senza colpe per i magistrati. La lotteria è inevitabile per molti processi in cui l’accertamento giudiziale è insostituibile, ma almeno per quelli dovuti a giustificato motivo oggettivo esiste una “terapia” alternativa che assicura al cittadino meno incertezza.
E questo a maggior ragione nei casi di licenziamento per motivo economico e organizzativo, nei quali i giudici non devono interpretare “uno stesso fatto” come ritiene Persico. Devono invece esprimere una valutazione sul futuro, ossia sulla probabilità che il posto di lavoro in futuro generi una perdita e su quanto grande la perdita sia. E, alla luce di queste valutazioni, devono decidere se la perdita attesa (data dalla probabilità di perdita moltiplicata per la sua entità) sia sufficientemente alta da potersi considerare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Per inciso, val la pena di ricordare anche che, nell’attuale disciplina, il lavoratore (sfortunato) per il quale il licenziamento venga considerato legittimo per motivo economico-organizzativo (e quindi senza nessuna sua colpa) si ritrova con un pugno di mosche in mano. Con il metodo del risarcimento, potrebbe in ogni caso godere di una somma di denaro che lo aiuterebbe a transitare ad altra occupazione. Anche solo per questo motivo, non sembra preferibile la “terapia alternativa”?
Riguardo ai casi conciliati, il nostro articolo dice chiaramente che: “sotto l’ipotesi che la frazione di sentenze favorevoli al lavoratore emesse da un giudice sia proporzionale al grado in cui le conciliazioni indotte dallo stesso giudice siano favorevoli al lavoratore, possiamo concludere che, anche tenendo conto dell’elevato numero di conciliazioni, la lotteria derivante dall’assegnazione casuale dei processi ai magistrati di un tribunale implica probabilità di vittoria molto differenti a seconda della sorte”. Ci sembra un ragionamento basato su un’ipotesi plausibile, da verificare ovviamente se fossero disponibili dati precisi sugli esiti delle transazioni conciliative. Anche in questo caso servono dati e trasparenza per una ricerca che sarebbe utilissima.
Infine colpisce, sempre a proposito di trasparenza totale, come sia interpretata negli Stati Uniti: lo studio americano riporta addirittura la performance dei differenti giudici con il loro nome.

(1) Fischman, Joshua B., “Inconsistency, Indeterminacy, and Error in Adjudication” (February 27, 2012). Virginia Public Law and Legal Theory Research Paper No. 2011-36. Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=1884651

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