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Categoria: Giustizia Pagina 20 di 33

DUE ANNI DI GOVERNO: GIUSTIZIA

Leggi tarate sui processi di Silvio Berlusconi aprono e chiudono i primi due anni della legislatura. La legge Alfano, immunità temporanea per le alte cariche, poi bocciata dalla Corte costituzionale, è la prima a essere approvata – in soli 25 giorni – nel 2008, due mesi dopo le elezioni. Ad aprile 2010 i giudici dei processi Mills e diritti tv Mediaset spediranno poi alla Corte costituzionale anche la legge che delinea il nuovo “legittimo impedimento” (solo del premier e dei suoi ministri) come continuativo e autocertificato da Palazzo Chigi.
In mezzo, il rifiuto teorizzato in Parlamento di misure davvero strutturali come la revisione della geografia degli uffici giudiziari risalente all’Unità d’Italia. E, invece, una miriade di microinterventi privi di un disegno organico: un vestito d’Arlecchino cucito da interessi contingenti e asserite emergenze, nel quale tuttavia trova posto qualche misura positiva. È il caso, nel penale, dell’abolizione del patteggiamento in appello; del maggior ricorso al processo immediato e al rito direttissimo; del nuovo reato di atti persecutori (stalking»; delle regole, pur controverse al Csm, per tamponare l’assenza di pm nelle cosiddette “sedi disagiate” al Sud; della messa a regime di una buona idea ideata ma non concretizzata dal dicastero Mastella, il Fondo unico giustizia per la gestione dei soldi in sequestro, che chiuderà il primo consuntivo con circa 1 miliardo e mezzo di euro intestati al Fug e (di essi) 54 milioni definitivamente devolvibili (a metà) ai ministeri della Giustizia e dell’Interno, meglio di niente anche se lontani dal poter bilanciare i tagli di ben altre dimensioni a risorse e personale; e, soprattutto, delle norme che nel “pacchetto sicurezza” n. 94 del 15 luglio 2009 hanno allargato gli strumenti giuridici utilizzabili per aggredire i patrimoni mafiosi e applicare le misure di prevenzione. Così come, tra le modifiche alla giustizia civile, accanto alle perplessità sull’introduzione della testimonianza scritta e su alcuni aspetti della mediazione finalizzata alla conciliazione, sarà invece certamente interessante sperimentare l’esito dell’introduzione di un filtro ai ricorsi in Cassazione e della nuova disciplina delle spese processuali volta a sanzionare le parti che abusino del processo; mentre sulla digitalizzazione dei procedimenti, che fa passi avanti sul piano delle normative, resta l’incognita dei soldi per reti, personale e assistenza.
La rincorsa all’emergenza di turno, fosse uno stupro a Capodanno o una brutale rapina in villa, ha invece dettato nei vari pacchetti-sicurezza un’orgia di nuove aggravanti, di inasprimenti di pena o di introduzioni di nuovi reati (come quello di immigrazione clandestina, franato già nei primi mesi di complicata applicazione davanti ai giudici di pace), spesso entrati in corto circuito con altre non considerate norme contenute nei codici.
Solo nel gennaio del 2010, dopo un anno e mezzo di ripetuti annunci e con ormai 67mila detenuti rinchiusi in 43mila posti regolamentari, il governo ha prospettato un piano-carceri che però, salvo il dichiarato “stato di emergenza” e la proclamata disponibilità di 600 milioni di euro sul fabbisogno di 1.590 inizialmente stimato, vede ancora solo sulla carta gli obiettivi di 21.700 nuovi posti entro il 2012, allorché (ammesso nel frattempo siano stati davvero creati) all’attuale tasso mensile i detenuti saranno diventati 90mila: non a caso il ministro evoca proprio in questi giorni la possibilità di un decreto legge che, facendo scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena, alleggerisca di colpo i penitenziari di 9mila posti. Ancora atteso è il varo dell’annunciato disegno di legge anti-corruzione, deludente peraltro nei contenuti al ribasso. Mentre la maggioranza, dopo averli già votati in uno dei rami del Parlamento, punta infine ad approvare definitivamente due testi (ai quali aggiungere poi il Ddl sul processo penale con lo sganciamento della polizia giudiziaria dai pm): la legge che limiterebbe non solo leintercettazioni ma anche la pubblicabilità degli atti giudiziari, e quella che alla prescrizione del reato aggiungerebbe una inedita prescrizione del processo breve a partire dalla data di rinvio a giudizio.

E SULLE PROFESSIONI SOFFIA IL VENTO DELLA CONTRORIFORMA

Le liberalizzazioni non sono certo al primo posto dell’agenda economica del governo. E ora si smontano anche i pochi provvedimenti riformatori fatti in Italia negli ultimi quindici anni. Ne è un esempio la riforma della professione forense, che farà da modello per le altre categorie. Il tutto giustificato con la difesa dei più deboli. Ma secondo la teoria economica, le tariffe minime facilitano la collusione fra gli operatori e costituiscono una barriera all’entrata. Due fattori che favoriscono chi è già nel mercato a scapito dei giovani professionisti.

GIUSTIZIA ED ECONOMIA: DUE MONDI SEPARATI

Il difetto strutturale di produttività del sistema economico italiano dipende da molti fattori. Uno dei quali sono norme giuridiche e prassi giudiziarie e amministrative sono poco sensibili alle ragioni del mercato e dell’efficienza economica. L’abnorme durata dei processi ne è una dimostrazione. Il problema è culturale: nella giurisdizione il solo bene in gioco è l’affermazione del diritto controverso. Che non è inteso come un servizio ai cittadini, ma come un bene di valore infinito. Occorre dunque promuovere una vera e profonda rivoluzione culturale.

COSÌ CAMBIA IL CONTENZIOSO DEL LAVORO

Il Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge 1167-B. Per favorire la composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro, introduce all’articolo 31 una pluralità di rimedi, facoltativi e volontari, alternativi al ricorso al giudice del lavoro e rafforza le competenze delle commissioni di certificazione. Ma le nuove disposizioni riguardano anche numerosi altri aspetti. Ecco una scheda ragionata per capire meglio le nuove regole e gli interventi a conclusione della discussione in Senato del rappresentante della maggioranza, il senatore Giuliano e del rappresentante dell’opposizione, il senatore Ichino.

MANI PULITE. 15 ANNI DOPO

È in qualche modo cambiata la corruzione in Italia quindici anni dopo le inchieste di Mani pulite? Sì, una novità c’è ed è il carattere “sistemico” del fenomeno. È questa la risposta che fornisce uno dei più noti esponenti della magistratura nel brano che qui pubblichiamo tratto dalla sua prefazione a un libro di Alessandro Galante Garrone, in libreria in questi giorni: “L’Italia Corrotta, 1895 – 1996, cento anni di malcostume politico” (Aragno editore, 147 pagine, 10 euro). Galante Garrone, scomparso nel 2003, lo pubblicò per la prima volta nel 1996, raccontando e analizzando il fenomeno della corruzione con la sua esperienza di storico e giurista, con il suo rigore morale e intellettuale che vede le cose con un pessimismo non rassegnato.

COME MISURARE LA CORRUZIONE

Ha fatto scalpore la denuncia della Corte dei conti su un vertiginoso aumento dei casi di concussione e corruzione in Italia. Una loro misurazione precisa è però estremamente difficile con gli strumenti finora a disposizione. Tuttavia, la percezione dei cittadini è che il fenomeno sia grave, in peggioramento e si irradi dalla politica alla pubblica amministrazione. Prendere provvedimenti è dunque indispensabile. Magari a partire da dati affidabili. E proprio la Corte dei conti potrebbe costruire una misura accurata di corruzione.

 

TANGENTOPOLI NON È MAI FINITA

Nonostante le richieste sopranazionali di sanzioni proporzionate, adeguate e dissuasive nei confronti della corruzione, l’Italia non sembra aver intrapreso finora un’azione di contrasto efficace. Rispetto a un fenomeno apparso come dilagante già ai tempi di Tangentopoli, pur in carenza di rilevazioni sistematiche, la risposta sanzionatoria è stata incerta e improntata ad assoluta mitezza.

PIÙ AVVOCATI, PIÙ CAUSE

In Italia abbiamo il più alto numero assoluto di cause e i tempi della giustizia più lunghi d’Europa. Anche il numero degli avvocati è letteralmente esploso negli ultimi venti anni. E se non c’è competizione sulle tariffe, alcuni di loro possono pensare di sfruttare il vantaggio informativo nei confronti del cliente, inducendolo a ricorrere al tribunale anche nei casi in cui non sarebbe necessario né efficace. Per questo preoccupa che nel progetto di riordino della professione forense compaia la reintroduzione delle tariffe minime

ALFANO, FERROTTI E LA QUERELLE ENNA

L’articolo precedente è firmato da Calogero Ferrotti, procuratore della Repubblica di recente fama mediatica. In breve, i fatti sono questi. Qualche giorno fa, di fronte al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e ad altri magistrati, Ferrotti ha lamentato il progressivo impoverimento di organico della procura di Enna: in cinque anni è sceso da cinque pubblici ministeri a uno, lo stesso Ferretti. E ha minacciato di mettersi in pensione. La risposta del ministro non si è fatta attendere. Poche ore dopo, Alfano ha dichiarato all’agenzia Ansa: “Ho già fatto presente a Ferrotti che amministrare la giustizia è compito difficile e quindi, se non se la sente, è meglio che si goda una meritata pensione. Io chiederò al Csm l’immediata nomina del nuovo procuratore”.
 
ASPETTANDO LA RIFORMA
 
Sono parole forti perché vengono dal ministro della Giustizia. Particolarmente forti quando il magistrato è impegnato in prima linea, in una sede difficile e in condizioni difficili. Ferrotti, tra parentesi, non è coscritto, ma volontario: viene dalla procura di Orvieto, una sede presumibilmente meno problematica, perché ha espressamente richiesto il trasferimento a Enna. Insomma, la reazione del ministro sembra proprio fuori luogo.
La “querelle Enna” ha attirato una certa attenzione da parte dei media, giustificata non soltanto dalla reazione inappropriata del ministro, ma anche e soprattutto perché la perdita di organico delle procure del Sud è un fenomeno importante e grave. (1) Come mette in rilievo un recente articolo del Sole24Ore e come peraltro è sottolineato nell’articolo di Ferrotti. (2)
Ferrotti però aggiunge un elemento importante per comprendere le cause della fuga dei pm dal Sud, e cioè la norma del 2007 che vieta i posti di procura ai magistrati di prima nomina. La norma priva le procure di giovani validi. Inoltre, è difficile che pubblici ministeri “svezzati” si trasferiscano dalla magistratura giudicante, a causa di un nuovo divieto di trasferimento all’interno della stessa provincia. Il profilo normativo, quindi, è diventato ostile alla figura del pm: sembra ormai essere quasi un ruolo “a esaurimento,” in attesa di una riforma che separi i pubblici ministeri dalla magistratura giudicante e, possibilmente, li ponga sotto il controllo del potere esecutivo.
La norma del 2007 è stata approvata con consenso bipartisan, l’attuale governo non è dunque l’unico colpevole. E, invero, una eventuale riforma del ruolo del pm potrebbe avere i suoi vantaggi.
Nel frattempo, però, mentre di riforme si discute e ridiscute, le procure del Mezzogiorno si spopolano. Chi ha vissuto al Sud capisce l’importanza di lanciare un segnale forte alla criminalità, in zone dove spesso il potere dello Stato fa fatica a estendersi oltre le mura del palazzo di Giustizia. Quindi, la progressiva mancanza di azione da parte dello Stato fa paura ai cittadini onesti e rincuora quelli disonesti. Se dunque la depopolazione delle procure è una politica perseguita razionalmente, è quanto meno rischiosa.
 
QUESTIONE DI EQUILIBRI
 
Perché è una politica rischiosa? Per via della teoria del “tipping point,” sviluppata dal premio Nobel per l’Economia Thomas Schelling. In parole povere, l’idea è che in una situazione come quella della giustizia ci sono due “equilibri”: nel primo, quello buono, quasi nessun cittadino commette un crimine perché ci sono abbastanza magistrati per perseguire tutti i crimini che vengono commessi, e anche personale extra per perseguire un cittadino qualora decidesse di commetterli. Nel secondo equilibrio, invece, moltissimi cittadini commettono crimini perché la probabilità che ogni singolo cittadino venga perseguita è minuscola. È il tipo di equilibrio che prevale in certi ghetti delle città degli Usa, o in alcuni stati, tipo Haiti. Si noti che nei due equilibri il numero di magistrati può anche essere lo stesso, ma nel secondo i cittadini si coordinano sull’azione criminale, dando così luogo a una situazione di “uovo e gallina”: si commettono tanti crimini perché ogni magistrato è oberato di lavoro perché si commette troppo crimine.
È facile capire che per uscire da questo equilibrio bisogna investire una quantità di risorse molto maggiore di quante ne siano necessarie per mantenersi nell’equilibrio “buono”. E perciò, se assumiamo di essere ancora vicini all’equilibrio “buono” nel Sud, una diminuzione delle risorse destinate alla giustizia rischia di farci cadere in un equilibrio “di Haiti”, da cui sarebbe estremamente difficile uscire.
Concludo tornando a Ferrotti. Come pensate sia finita la querelle? Magari con le scuse del ministro per una esternazione impetuosa, ma non indicativa di un vero convincimento? No, naturalmente. Il ministro tace. Invece, Ferrotti ha raccolto il sostegno dei suoi colleghi magistrati e, con senso dello Stato ma, immagino, una punta di umiliazione, ha scelto di ritirare le sue dimissioni: continuerà a servire lo Stato (e tutti noi) a Enna. Da solo.
 
 
(1) Una ricerca su Google al 14 dicembre 2009 dei termini "Ferrotti Alfano Enna" restituisce 1.400 hit.
(2)Il Sole 24Ore del 14 dicembre 2009 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/14-dicembre-2009/capi-solitari-procure-siciliane.shtml

PROCURE VUOTE A MEZZOGIORNO*

Enna sarà il primo ufficio di procura in Italia completamente privo di sostituti e con il solo procuratore capo. Dunque destinato a non essere più operativo. E’ il primo esempio di un progressivo svuotamento di tutte le procure del Sud. Dovuto principalmente a una norma del 2007 che vieta di destinare a quei posti i magistrati di prima nomina. Ma anche a un contesto di riforme annunciate e a un clima generale di continua delegittimazione della magistratura. Ecco perché se ne occupa lavoce.info. Mentre il ministro della Giustizia fa orecchie da mercante.

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