Quale influenza hanno le televisioni sulle scelte di voto? Gli studi in proposito non danno risultati univoci. Ma se il telespettatore medio della Bbc corrisponde alle caratteristiche dell’elettore medio, i dati italiani mostrano invece una correlazione molto robusta fra scelte televisive e scelte di voto. E ciascuna fonte di notizie appare poco credibile a una parte non trascurabile dell’elettorato, che perciò non si espone a opinioni contrastanti. Al di là delle implicazioni elettorali, l’anomalia mediatica italiana sembra impoverire il confronto democratico.
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La legge sulla par condicio ribadisce un principio di pari opportunità, secondo cui tutti i soggetti politici debbono avere le stesse possibilità di comunicare le proprie posizioni e programmi indipendentemente dal loro peso elettorale. In modo da garantire all’elettore le informazioni rilevanti per compiere una scelta consapevole. Modificare la legge non è auspicabile. Perché in un sistema bipolare l’esecutivo avrà meno incentivi a rispettare il mandato ricevuto se ritiene di poter compensare una cattiva azione di governo con una adeguata raffica di spot.
In entrambi i paesi sono vietati gli spot a pagamento. Le norme britanniche riflettono la tradizione di autoregolamentazione: i giornalisti rispettano parametri di correttezza e oggettività nella copertura della campagna e i canali generalisti, privati e pubblici, sono obbligati a fornire un’informazione imparziale, che non lasci trasparire le posizioni dell’emittente. In Francia, si chiede alle televisioni di garantire ai candidati un equo trattamento nell’accesso ai programmi. Previsto lo stesso tempo di comunicazione autogestita per governo e opposizione.
Molti commentatori ritengono che George Bush abbia vinto le elezioni presidenziali del 2004 sul campo dei valori morali e che i cittadini statunitensi siano sempre più polarizzati su argomenti come l’aborto e il matrimonio tra omosessuali. Le preferenze economiche, invece, conterebbero ormai poco nello spiegare le loro scelte di voto. Una teoria direttamente applicabile anche all’Italia e all’Europa, secondo alcuni politici. Ma un recente studio statistico mostra quanto l’analisi sia lontana dal vero.
Paolo Sylos Labini è stato un ostinato economista quantitativo. Più di trent’anni fa produsse uno dei primi modelli econometrici dell’economia italiana. L’accademia ufficiale gli frappose pesanti barriere perché era considerato non omogeneo col sistema. Non sopportava l’opportunismo perbenista ed era ragionato nemico di monopolisti protetti e di piccoli e grandi percettori di rendite private garantite dal potere pubblico. Da “onesto riformista”, come si definiva, passò tanto tempo a cercare problemi specifici a cui proporre specifiche soluzioni.
Nella legge elettorale italiana c’è una grave anomalia tecnica nel meccanismo di assegnazione dei seggi per la parte proporzionale. Per alcuni esiti delle votazioni, la procedura può dare un risultato contraddittorio. Può infatti attribuire a una lista più (o meno) seggi di quelli che la lista ottiene per effetto di altre disposizioni della stessa legge. La riforma proposta dalla maggioranza non risolve il problema. Anzi, le probabilità di errore aumentano. E le “correzioni” ipotizzate, ammesso che siano efficaci, non bastano a garantire il requisito di proporzionalità.
E’ difficile valutare la partecipazione alle primarie nazionali. Tuttavia, si può provare a calcolare quale percentuale del proprio elettorato potenziale i diversi candidati siano riusciti a chiamare alle urne. Si scopre così che Prodi, nonostante il successo indiscusso in termini di preferenze ricevute, ha mobilitato solo il 24,16 per cento dei suoi elettori potenziali. Meglio di lui ha fatto lo “sconfitto” Bertinotti, con quasi il 34 per cento. Se poi i calcoli si fanno sugli elettori delle Europee, il vero trionfatore è Mastella, con oltre il 45 per cento.
La nuova legge elettorale proporzionale prevede liste bloccate: gli elettori votano per un partito, senza la possibilità di indicare preferenze. I candidati non hanno così incentivi a svolgere campagna elettorale. Il sistema danneggia i partiti più radicati nel territorio e accresce invece il potere di quelli di livello nazionale, privi di una base. Il primo effetto sarà uno “spostamento” della campagna elettorale. Si svolgerà sempre meno nelle piazze delle città e sempre più sui grandi mezzi di comunicazione nazionali. Ovvero, soprattutto in televisione.
Con la riforma della legge elettorale non ci sarà nessun passo avanti verso una maggiore stabilità e governabilità. Sarà un sistema con tutti i difetti del proporzionale, ma senza i suoi pregi. Avremo un bipolarismo più debole, con le stesse coalizioni “acchiappattutto” di oggi, altrettanto frammentate ed eterogenee, ma senza il forte vincolo rappresentato dal collegio uninominale. Aumenterà il potere di ricatto dei partiti più piccoli. Mentre il Senato potrebbe avere una maggioranza diversa da quella della Camera. Con prospettive neo-centriste contrarie all’interesse del paese.
Le primarie del 16 ottobre sono state un evento di assoluto rilievo, in grado di generare una molteplicità di effetti sul sistema politico. L’analisi dei fattori che possono aver determinato questo risultato segnala che Prodi va decisamente bene nelle province nelle quali la partecipazione politica è solitamente forte, la società civile vivace e le persone prestano più facilmente il proprio tempo per cause pubbliche. Minori i consensi dove prevale una relazione di tipo individualistico-strumentale tra elettori e politica. E’ un punto di forza o di debolezza?