L’articolo pubblicato solleva riserve sull’approvazione per legge, con la conversione del D.L. 59/2008 "Salva-infrazioni", della Convenzione Unica di Autostrade per l’Italia (ASPI) firmata con ANAS in applicazione della legge 286/06.
Ritengo opportuno intervenire direttamente sull’argomento, in considerazione degli obblighi di trasparenza che avverto nei confronti di tutti gli "stakeholders", precisando quanto segue.
La genesi dell’approvazione per legge della Convenzione Unica di ASPI
Il lungo contenzioso con il Governo italiano sulla legittimità della legge 286/06 ha portato la Commissione Europea (C.E.) a chiedere, per l’archiviazione della relativa procedura di infrazione, l’abolizione della legge e la conferma della vigenza dei contratti precedentemente in essere oppure l’entrata in vigore (senza possibilità di modifiche unilaterali fino alla loro scadenza) dei nuovi contratti di concessione liberamente sottoscritti tra ANAS e i Concessionari.
Il Governo uscente ha mantenuto la legge 286/06 ed ha cercato di dare efficacia alle nuove Convenzioni ritenendole migliori delle precedenti. Il nuovo Governo ha semplicemente confermato, per legge, la volontà del precedente Governo e gli impegni assunti da questo di fronte alla C.E., per non rischiare che un articolato iter approvativo amministrativo di durata incerta potesse mettere a serio rischio di infrazione lo Stato italiano.
L’approvazione per legge delle Convenzioni Uniche può sollevare perplessità , ma nessuno sollevò obiezioni quando con la legge 286/06 si cancellarono le convenzioni precedenti, due delle quali (ASPI e Strada dei Parchi) oggetto di privatizzazioni.
Forse il motivo di questa "asimmetria" è racchiuso nel terzo capoverso della introduzione dell’articolo, dove si imputa al D.L. 59/2008 di aver "cancellato in un colpo solo anni di dibattito e di faticosi tentativi di dotare il Paese di una moderna regolamentazione delle tariffe autostradali".
Per chi ha investito al momento della privatizzazione il contratto non poteva che essere il prodotto ultimo del pensiero regolatorio al momento. Tutti i "faticosi tentativi" di modificare il quadro regolatorio possono incidere sul futuro, non sui contratti già stipulati. Ciò fu sancito in occasione della revisione della Direttiva CIPE n. 1/07, ora n. 39/2007, che chiariva che le nuove regole tariffarie non si sarebbero applicate alle Concessioni in essere (salvo eccezioni ben definite). Restava però "per legge" la necessità di stipulare una nuova Convenzione Unica sulla base di un quadro complessivo che, nel frattempo, come da parere NARS presentava "particolari profili di complessità , in considerazione sia della molteplicità e stratificazione delle normative di riferimento nel settore autostradale, sia della concomitante applicazione di differenti parametri di regolazione rinvenibili nelle norme".
La Convenzione Unica di ASPI è stato il tentativo di dare una soluzione negoziata alla sopracitata stratificazione generatasi successivamente alla privatizzazione.
Il contratto oggetto di privatizzazione
Non corrisponde alla realtà dei fatti che il vecchio contratto di Concessione del 1997 oggetto di privatizzazione fosse un price cap addomesticato ad un meccanismo di Rate of Return.
Il contratto stabiliva che il tasso di miglioramento del costo operativo per km delle concessionarie del settore (circa 0.5%-1.0% all’anno) si sarebbe trasferito nel quinquennio successivo come obiettivo recupero produttività e che solo per causa accertata di forza maggiore (e non quindi per scostamenti su traffico e ritardi negli investimenti) sarebbe stato possibile il riequilibrio del Piano Finanziario. In tal caso però si sarebbe rideterminato il livello delle tariffe a quello necessario a garantire una remunerazione del capitale investito pari al rendimento consuntivato nell’ultimo quinquennio, perpetuando nel futuro tale sovra-rendimento. Ne consegue che lo Stato vendette con procedura competitiva una "rendita monopolistica", che poteva eccedere la congrua remunerazione del capitale investito di libro.
Sarebbe stato altrimenti impensabile un prezzo di collocamento sul mercato di Autostrade nel 1999 ad un valore (8 miliardi di euro) di 4.5 volte superiore al valore di libro, quando le società sottoposte al vincolo del congruo ritorno del capitale investito vengono valutate al massimo con un premio del 30%.
Il caso della Pennsylvania Turnpike (PT)
Nell’articolo a dimostrazione, per via induttiva, di una supposta modifica radicale della natura del contratto di ASPI, si prende a riferimento la PT, che con regole tariffarie analoghe a quelle di ASPI è stata privatizzata per 13 miliardi di dollari, circa 35 volte l’EBITDA 2007.
Si ipotizza che qualora Autostrade fosse stata privatizzata nel 1999 con le regole attuali avrebbe generato un ricavo per lo Stato molto superiore rispetto a quanto pagato allora (circa 15 volte l’EBITDA inclusi gli impegni di investimento).
Ma la PT opera in condizioni molto diverse, con una durata doppia della concessione e beneficiando di maggiori tariffe, minori impegni di investimento, tax rate più favorevole.
Un’altra veritÃ
Se fosse vera la tesi riportata nell’articolo, bisognerebbe chiedersi allora:
– Perché, se il vecchio Contratto consentiva già la possibilità di riallineare le tariffe al Rate of Return sul capitale netto di libro, sarebbe stato necessario intervenire con la legge 286/06 per "forzare" nei contratti tale modifica alla regola tariffaria?
– Perché ASPI avrebbe dovuto difendere in tutte le sedi l’intangibilità del precedente contratto battendosi contro tale legge?
– E perché il precedente Governo, constatata l’impossibilità di modificare forzosamente le regole tariffarie inserite nei contratti, non ha deciso di abrogare la legge n. 286/06 ripristinando la vecchia Convenzione?
La spiegazione più semplice è un’altra.
Ovvero che le novità introdotte nella Convenzione Unica garantiscono l’equilibrio delle esigenze della collettività (penali e sanzioni in caso di ritardi sugli investimenti, tariffe più basse del 6% nei primi 6 anni, nuovi investimenti in nuove opere per circa 7 miliardi di euro, trasferimento integrale di tutti i rischi al concessionario, inclusi extracosti della Variante di Valico) e quelle dell’investitore privato (chiara regola tariffaria fino alla fine della concessione), in linea con i migliori standard europei.
L’andamento di Borsa, stabile da tre anni, ne è una ulteriore conferma.
Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 45 di 58
I commenti dei lettori appuntano la loro attenzione sui tre principali ordini di questioni che la crisi dell’Alitalia solleva: i dati che questa crisi caratterizzano, le circostanze che ad essa hanno portato, e gli sbocchi verso i quali essa può (convenientemente o di necessità ) dirigersi.
I primi due ordini di questioni sono tali da poter trovare, almeno sul piano dei lineamenti generali, risposte pronte e agevolmente argomentabili. In breve e sommariamente: la crisi dell’Alitalia è drammatica, e lo dicono gli andamenti delle grandezze economiche e finanziarie rilevanti; a determinare questa crisi è stata una situazione di political economy che ha prodotto, persistentemente, influenze, decisioni e comportamenti distorti ad opera dei vari interessi e organismi coinvolti – governo e parlamento, enti locali, amministrazione pubblica, management aziendale, sindacati dei lavoratori.
Il terzo ordine di questioni tocca invece una materia (molto più) controversa: del tutto naturalmente, dato che sono presenti sfaccettature numerose, e, soprattutto, sono richieste valutazioni tali da chiamare in causa, spesso, trade-offs sfumati e criteri soggettivi. Nell’opinione degli scriventi: è possibile (probabile) che la crisi dell’Alitalia finisca per sboccare nella liquidazione, ma a questo punto non sembra esservi ragione per forzare – nel percorso e nei tempi – quello sbocco. È in corso un tentativo di privatizzazione che, se è poco promettente, è anche di molto prossima risoluzione; data la rapidità del processo di erosione delle disponibilità liquide, è anche molto prossima l’insolvenza dell’azienda (che è la premessa all’avviamento di una procedura concorsuale); e, infine, l’onere sostenuto dallo stato (dai contribuenti) per il mantenimento in attività dell’Alitalia può essere considerato, agli effetti pratici, non più ricuperabile. Dunque, da questi punti di vista, l’attesa non sarà lunga, e potrà produrre soltanto danni limitati; nel frattempo, però, potrebbero essere presi con vantaggio i provvedimenti utili a facilitare le evoluzioni successive: non solo, o non tanto, quelli, dei quali si discute adesso, di modificazione dei termini delle leggi Prodi bis e Marzano, quanto quelli di riorganizzazione dell’azienda, via efficientamenti, chiusure e cessioni di rami di attività , nella prospettiva dell’amministrazione straordinaria (più probabile e del resto più coerente con quanto già fatto), o, eventualmente, della liquidazione.
La Commissione europea ha aperto una procedura di indagine formale per aiuti di Stato per il finanziamento pubblico di 300 milioni concesso di recente all’Alitalia. Non poteva fare altrimenti. Ma la decisione non blocca, per il momento, l’operatività della misura. Di conseguenza, la compagnia può proseguire nella sua normale attività , mentre il governo avvia un nuovo tentativo di privatizzazione. Meglio sarebbe stato però condizionare l’intervento a una riorganizzazione della società lungo linee simili a quelle dell’amministrazione straordinaria.
Da quando venne presa la decisione di cedere a privati la quota pubblica di Alitalia sono passati oltre 18 mesi. Ma la vendita non si è conclusa e anzi sembra ancora in alto mare e la situazione economica e finanziaria di Alitalia si sta deteriorando. Sarebbe stato meglio arrivare subito a un’amministrazione straordinaria capace di avviare un’operazione “lacrime e sangue”. E ora c’è anche il rischio di un advisor che può diventare parte in causa.
Il sistema regolatorio del settore autostradale consegnatoci dal decreto 59 segna la fine di ogni aspirazione a un sistema incentivante ed è un insieme caotico di diversi regimi. Andrebbe rivisto dalle fondamenta. Serve un sistema di regole certe e trasparenti, che siano di garanzia per lo Stato e i consumatori, oggi la parte più debole, e per gli investitori. Serve una cultura istituzionale che le metta al riparo dagli attacchi a colpi di decreto, secondo le pressioni del momento. E serve un organismo indipendente che le applichi e vigili sulla loro osservanza.
Si dice spesso che gli investimenti in infrastrutture di trasporto stimolino lo sviluppo economico e la competitività di un territorio. Ma la connessione è molto più problematica e incerta di quanto si pensi. Anche per la rilevanza dei fondi richiesti alla realizzazione delle opere. Per questo va ben valutato quali siano quelle da privilegiare. Soprattutto, gli investimenti devono essere coerenti tra di loro e con l’insieme delle politiche di trasporto adottate. E vanno esplicitati gli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di distribuzione modale.
Forse qualcuno dovrebbe ricordare ai tanti protagonisti sulla scena che nella travagliata vicenda Alitalia i destini della compagnia di bandiera non possono sottrarsi ad un severo scrutinio degli effetti sull’assetto competitivo dei mercati. A questo compito verrà chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quando eventualmente si materializzerà il famoso compratore. Senza volersi sostituire alla disamina che il Presidente Catricalà dovrà effettuare, balza agli occhi la impraticabilità di una soluzione che vedesse Airone di Carlo Toto, il secondo vettore per quote di mercato sulle rotte cruciali del mercato italiano, tra cui il Roma-Milano, tra i protagonisti della vicenda. Non sorprende nemmeno che sia stata invocata da British Airways e da Ryanair la normativa europea sugli aiuti di stato, altro caposaldo delle politiche della concorrenza, in merito al prestito di 300 milioni che ha ridato una boccata di ossigeno ad Alitalia e ha appesantito di altrettanto le tasche dei contribuenti. Senza volersi in questo caso sostituire al Commissario alla Concorrenza Kroes, balza altrettanto agli occhi la pretestuosità con cui si vuole presentare come motivato da ragioni di mercato un prestito ponte di cui è noto il pilone di partenza, l’attuale disastrosa situazione di Alitalia, ma è nascosto nella nebbia quello di arrivo, il famoso compratore. Insomma, dovunque la si guardi la vicenda Alitalia inciampa pericolosamente nei paletti che le normative sulla concorrenza pongono. Questo forse ci aiuta a comprendere come tutti gli spasmi e le contorsioni che si susseguono hanno dietro interessi forti e rendite arcignamente difese, ma non tengono in minimo conto gli interessi di noi consumatori, di noi semplici passeggeri e di noi contribuenti. Non dubitiamo che le autorità preposte alla concorrenza sapranno al momento buono far sentire la propria voce. L’unica perplessità nasce dal fatto che il momento buono è già giunto da tempo senza che la voce dei custodi della concorrenza si facesse sinora sentire alta e netta.
L’opportunità di stabilire le priorità di intervento in infrastrutture, sulla base di valutazioni di standard internazionale, è ampiamente riconosciuta. Tanto più in una situazione di risorse scarse. Per esempio, una valutazione della linea alta velocità Roma-Napoli evidenzia una clamorosa perdita di benessere collettivo, per il grandissimo squilibrio tra costi e benefici sociali che emerge dai calcoli. Quanto ai benefici ambientali, la gran parte dipende da quanto traffico sarà sottratto al trasporto stradale. Che non potrà essere molto.
Alitalia continua a perdere soldi. Tanto che senza il prestito ponte forse non sarebbe riuscita a pagare gli stipendi di maggio. Eppure, se si confrontano i costi del primo trimestre 2008 con quelli del primo trimestre 2007 si vede che, dopo dodici mesi di allarmi ed emergenza, su questo fronte non è stato ottenuto nessun risultato. Il problema di Alitalia non è un problema finanziario, ma di piano industriale. Per il quale serve un solido partner industriale. Ma non vorremmo che aspettare il socio significhi rinviare all’infinito il tentativo di raddrizzare i conti.
LÂ’’ultima, geniale trovata: far assorbire Alitalia dalle Ferrovie dello Stato. Peccato non si possa. Questa operazione richiederebbe il vaglio dellÂ’Autorità antitrust nazionale e della Commissione europea, le quali non potrebbero che osservare quanto segue.