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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 67 di 86

La politica degli slogan sui dipendenti pubblici

La manovra economica dell’estate 2010 rivela ancora una volta le incoerenze del legislatore nel tentativo di riorganizzare e dare efficienza all’amministrazione pubblica. Almeno tre aspetti della manovra sono in evidente contrasto con la riforma Brunetta, entrata in vigore nemmeno un anno fa. Rimborsi negati a chi utilizza la propria auto per ragioni di servizio, dimezzamento degli investimenti in formazione e rinuncia agli incentivi economici mostrano come la ricerca di maggiore produttività, così come la meritocrazia, non siano altro che slogan.

La risposta ai commenti

Sono piacevolmente sorpresa dell’’interesse suscitato da un pezzo che riporta il dettaglio degli studi scientifici sugli effetti dell’’inquinamento dell’’aria sulla salute umana.
Naturalmente, l’’interesse maggiore è centrato sulle possibili soluzioni da adottare per contenere questo fenomeno. Mi sembra interessante ed estremamente attuale quanto osservato da Giuseppe Caffo, che sottolinea la necessità di scelte importanti quando la difesa della salute sembra essere in contraddizione con gli interessi del settore produttivo, a meno di rilevanti innovazioni.
Dello stesso tenore è il commento di Marco Spampinato, che richiama l’’attenzione sulla necessità di valutare l’’efficacia degli interventi mirati a migliorare la qualità dell’’aria. Approfitto del suo commento per ricordare che la valutazione di efficacia di questi interventi è attualmente orientata, a livello internazionale (Health Effect Institute), su cinque tematiche che vanno dal bando del carbone come combustibile, ad interventi complessi di lungo termine e di largo raggio che riguardano più di un paese (1) . La riduzione del traffico è inclusa tra le tematiche ma, fino ad ora, le tante soluzioni adottate, non sempre confrontabili tra loro, hanno prodotto risultati non univoci, come nell’’ultima esperienza londinese, nota come “London Congestion Charge” (2).
Il commento di Bruno Stucchi, anche se improntato ad una intolleranza direi antigalileiana, mi dà l’’opportunità di fare qualche considerazione sui criteri di causalità (originariamente fissati da Bradford-Hill) che si utilizzano anche negli studi epidemiologici. L’’ultimo di questi criteri, e forse il più intrigante, dice che, rimossa la causa di una patologia, la sua frequenza dovrebbe ridursi. Anche nel nostro caso, come suggerisce anche Fabrizio Balda, il risultato atteso, quando si riduca la concentrazione del particolato (PM10), è un miglioramento dello stato di salute della popolazione. Allo stesso principio si ispirano le direttive della Comunità Europea nell’’adottare limiti sempre più ridotti per la concentrazione degli inquinanti atmosferici.
Per questa ragione lo stesso gruppo di ricercatori ha proposto un secondo progetto (EPIAIR2), che è stato approvato dal Ministero della Salute ed è appena iniziato. L’’obiettivo è quello di misurare, nelle stesse aree, l’’effetto degli inquinanti atmosferici nel periodo 2006-2009, durante il quale si è registrata una riduzione del particolato. Il progetto, che sarà coordinato da ARPA Piemonte, presenta tre novità importanti: 1) include altre città rispetto alle 10 originarie, in modo da ottenere una migliore rappresentatività a livello nazionale; 2) stima gli effetti della frazione fine del particolato (PM2.5), di cui non erano disponibili a dati per il 2001-2005 e che rappresenta la frazione più attiva rispetto agli effetti sulla salute; 3) utilizza anche dati di caratterizzazione chimica del particolato. Questa scelta si ispira ai risultati dei più recenti studi internazionali che hanno evidenziato la possibilità di effetti sanitari importanti anche dopo riduzione della concentrazione del particolato. L’’ipotesi di diversi ricercatori sia in USA che in Europa è che la composizione chimica del particolato possa spiegare questo andamento.
Da lettrice appassionata della Domenica quiz (spero non me ne vogliano i lettori della Settimana enigmistica per questa storica rivalità) devo spezzare una lancia a favore delle riviste di enigmistica. Non vi troverete i risultati dei più recenti studi scientifici, e neanche del nostro EPIAIR, ma i giochi che propongono irrobustiscono la capacità logica che molto contribuisce ad un approccio scientifico ai problemi.

(1) Annemoon M. M. van Erp, Robert O’Keefe, Aaron J. Cohen, and Jane Warren. Evaluating the Effectiveness of Air Quality Interventions. Journal of Toxicology and Environmental Health, Part A, 2008; 71: 583–587.
(2) C Tonne, S Beevers, B Armstrong, F Kelly, P Wilkinson. Air pollution and mortality benefits of the London Congestion Charge: spatial and socioeconomic inequalities. Occupational and Environmental Medicine 2008; 65:620-627

Il mantra dell’ente virtuoso

Il premio agli enti locali virtuosi è ormai una sorta di mantra della finanza pubblica italiana. Il problema è che le definizioni di “virtuoso” sono troppe e si basano su parametri spesso diversi e a volte contraddittori. Accade così che talvolta rientrino nella categoria anche comuni che sulla base di altri criteri erano stati giudicati vicini al dissesto finanziario. Per ogni tipologia di ente servirebbe invece una regola univoca, stabile e soprattutto non soggetta a continue eccezioni.

Dietro al “federalismo solidale”

Il federalismo solidale proposto da Fini a Mirabello sembra implicare costi standard più alti al Sud o addirittura definiti ai livelli delle Regioni meno efficienti. Così, il federalismo avrà costi molto elevati per le casse dello Stato. Non solo. Il nuovo partito si candida a essere un sindacato del territorio, con base nel Mezzogiorno. E le elezioni politiche potrebbero sancire una cesura territoriale delle rappresentanze politiche senza precedenti.

Effetto cedolare

Dal 2011 scatta la possibilità di scegliere una cedolare secca del 20 per cento sugli affitti in sostituzione di quanto pagato finora per Irpef, addizionale regionale e comunale, imposta di registro. Con quali effetti? Le stime indicano che l’intervento porterà a una diminuzione del gettito fiscale dello 0,74 per cento. Che dovrà essere compensato da una massiccia, e ardua da realizzare, emersione dal “nero”: si dovranno trovare tre evasori ogni quattro contribuenti. Aumentano poi le disuguaglianze perché la cedolare avvantaggia di più le famiglie con reddito più elevato.

La risposta ai commenti

L’’imposizione sull’’abitazione di residenza è la norma negli altri paesi. Il valore dell’’immobile di residenza è un ottimo indicatore di capacità contributiva, fortemente correlato con reddito e ricchezza.
L’esenzione da imposte sulla “prima casa” determina dunque iniquità orizzontale. Tale esenzione non si giustifica con il fatto che si tratta di un bene primario: molti altri beni primari (il cibo, il vestiario) sono tassati.
D’altra parte, l’’imposizione sulla casa di residenza non esclude la possibilità di applicare deduzioni o detrazioni in grado di modulare l’’onere impositivo tra le diverse famiglie (molto meglio che distinguere soltanto tra abitazioni di lusso e non di lusso).
Va anche detto che l’investimento immobiliare ha nel nostro sistema un trattamento di favore, visto che la rendita catastale sottostima fortemente la redditività effettiva dell’immobile. Ciò discrimina rispetto a investimenti alternativi ad esempio in attività produttive.
Non si dimentichi inoltre che l’’imposta sugli immobili rappresenta uno dei pochi esempi di tributo effettivamente locale, in quanto caratterizzata da una base imponibile sufficientemente uniforme e stabile sul territorio nazionale e che ben si collega ai benefici che i cittadini ricevono dall’’attività pubblica. Anche da questo punto di vista, è chiaro che l’’esenzione delle abitazioni principali non consente di ottenere un federalismo pienamente responsabile. Il punto sollevato nell’’articolo riguardava proprio questo aspetto: chi prende le decisioni deve essere anche chi sopporta i costi di queste decisioni; dunque non si possono escludere i residenti nel disegno dell’autonomia tributaria.

Prove di federalismo municipale

Più ombre che luci nella riforma della fiscalità comunale. Nascono dubbi sul fatto che possa garantire la certezza di risorse alla base di ogni seria prospettiva di responsabilizzazione degli enti territoriali. Nella seconda fase, l’Imup si profila come una super-patrimoniale sulle seconde case.

Imup, imposta dal futuro incerto

La seconda fase della riforma della fiscalità comunale scatterà dal 2014. A partire da quell’’anno, i comuni che decideranno di farlo potranno istituire una nuova imposta, denominata Imposta municipale propria (d’’ora in poi Imup), regolata dalla normativa statale ma con il riconoscimento ai comuni di margini di autonomia. Se istituita, l’’Imup cancellerà le imposte statali immobiliari devolute nella prima fase (con l’’eccezione della cedolare secca sulle locazioni) e l’’Ici.

DUE COMPONENTI PER UN’IMPOSTA

Dell’’Imup, il decreto fissa alcuni elementi fondamentali ma su altri rimanda la decisione al futuro. Sarà un’’imposta “doppia”, con due differenti componenti: la prima basata sul possesso dell’’immobile, come l’’Ici attuale, la seconda sul suo trasferimento, come oggi l’’imposta di registro e quella ipo-catastale. E sarà un’imposta patrimoniale, visto che la base imponibile resta il valore catastale, gravante prevalentemente sulle seconde case (a disposizione e locate) e sugli immobili non residenziali, con netta conferma dell’’esenzione totale dell’’abitazione principale per la “componente possesso”. Le aliquote base saranno fissate dallo Stato, ma si riconosce ai comuni la possibilità di manovrarle in aumento o in diminuzione entro limiti prefissati, addirittura fino al 3 per mille sulla “componente possesso”. Sulla stessa componente è poi previsto un regime fortemente agevolativo, addirittura metà dell’’imposta ordinaria, nel caso di immobili locati e in quello di immobili utilizzati nell’’esercizio dell’’attività di impresa, arti e professioni ovvero posseduti da enti non commerciali.
La nuova Imup sarà in realtà un tributo composito, basato su presupposti differenti (il possesso, il trasferimento di immobili), una collezione di tributi oggi esistenti che, sotto una etichetta unica, manterranno in gran parte i loro caratteri distintivi. Insomma, una forzatura dettata dall’’obiettivo di attribuire tutta la tassazione immobiliare ai comuni (con margini differenziati di manovrabilità) e di “semplificare” a tutti i costi, senza però cambiare nulla in sostanza, senza cogliere l’’occasione per mettere mano a una riforma concreta della tassazione immobiliare.

UNA SUPER-PATRIMONIALE SULLE SECONDE CASE

Valutare l’’Imup è esercizio arduo in quanto il decreto manca di fissare un elemento fondamentale del nuovo tributo: l’’aliquota base della sua componente principale, quella collegata al possesso dell’’immobile. Qualche considerazione di larga massima è comunque possibile.
Sotto il vincolo della “neutralità finanziaria”, data la riconferma della piena esenzione della prima abitazione, data la necessità di recuperare la perdita di gettito derivante dalla cedolare secca al 20 per cento rispetto all’’Irpef attuale e dati infine i regimi fortemente agevolativi previsti nella nuova imposta, il risultato non può che essere un pesante spostamento del prelievo fiscale a danno, in particolare, delle seconde case.
Le prime simulazioni indicano che per garantire parità di gettito, l’’aliquota base dovrebbe essere fissata nell’’intervallo tra l’’11 e il 14 per mille, ossia circa il doppio dell’’aliquota Ici attuale. Il risultato sarebbe pertanto una super-patrimoniale sulle seconde case. Questa prospettiva avrebbe qualche vantaggio in termini redistributivi, ma penalizzerebbe fortemente l’’investimento immobiliare diverso da quello finalizzato all’’acquisizione della prima abitazione. La possibilità di fissare l’’aliquota base a un livello un po’’ più basso dipende criticamente dall’’effettivo recupero di evasione nella tassazione sugli immobili che dovrebbe derivare dagli incentivi all’’emersione generati dall’’abbattimento dell’’aliquota previsto con la cedolare secca e dal maggiore coinvolgimento dei comuni nell’’attività di accertamento. Ma su entrambi i fronti, i margini di incertezza sono forti.
Anche per la seconda fase rimangono i problemi evidenziati sul piano perequativo, in quanto la nuova Imup concorre al finanziamento del fondo di perequazione. Un punto di ambiguità che permane nel testo del decreto è poi quello che riguarda il carattere facoltativo del passaggio dalla prima alla seconda fase. La Relazione sul federalismo fiscale del 30 giugno affidava l’’istituzione dell’’Imup “a una verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni”. Si tratta di una previsione alquanto singolare poiché nel caso in cui solo alcuni comuni decidano di passare alla nuova imposta, si avrebbero seri problemi di funzionalità per il sistema perequativo municipale. E ciò perché il meccanismo perequativo dipende dalla determinazione della capacità fiscale, la quale deve necessariamente riferirsi a tributi di applicazione generale in tutti i comuni. Il testo del decreto sembra allontanare questo scenario, ma non risolve tutte le ambiguità.
Da ultimo, la riforma va valutata sul piano dell’’obiettivo della semplificazione della tassazione immobiliare rispetto al quadro attuale. Il combinato dei differenti trattamenti differenziali previsti per le diverse tipologie di proprietari e di immobili porta a un sistema di tassazione di redditi e patrimoni immobiliari (vedi tabella 1) che sembra francamente coraggioso definire più semplice e più neutrale rispetto a quello attuale.

Scelte locali per la conciliazione famiglia-lavoro

La conferenza Stato-Regioni ha finalmente dato il via libera alla nuova formulazione dell’articolo 9 della legge 53/2000 che prevede contributi a favore delle imprese per misure a sostegno della flessibilità e conciliazione famiglia-lavoro. Nei dieci anni passati dalla prima approvazione della norma i progetti presentati sono stati ben pochi. Non per questo è stata necessariamente un fallimento. Sarebbe meglio però lasciare alle autonomie locali le decisioni sullo sviluppo delle politiche di genere e per la famiglia. E su quali siano gli interventi più adeguati.

Una mezza riforma per la finanza comunale

Positiva l’enfasi data alla fiscalità immobiliare nella finanza comunale, ma attenzione agli abbellimenti lessicali spacciati per riforme. Soprattutto è bene non dimenticare che rimane aperto il vulnus dell’abolizione dell’Ici sulla prima casa che deresponsabilizza molti cittadini di fronte alla spesa pubblica del comune. Esistono inoltre problemi di equità legati all’Imposta municipale unica e di semplificazione relativi all’applicazione della cedolare secca.

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