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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 70 di 86

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molti commenti si chiedono, giustamente, come il vincolo dei due mandati sia compatibile con la ricandidatura di alcuni Governatori. Senza la pretesa di esaurire il dibattito in poche righe, la questione ruota intorno all’interpretazione del dettame di legge come “direttamente applicabile” o come invece “principio generale che deve essere recepito dalla legge elettorale regionale”. Nel primo caso, i candidati che avessero già svolto due mandati con elezione diretta non potrebbero essere rieletti, benché, di principio, candidabili. Sotto questo punto di vista, non sono da escludere eventuali ricorsi nel caso in cui, per esempio, Formigoni venisse rieletto. Nel secondo caso, invece, la mancanza di una legge elettorale regionale che esplicitamente accetti i principi della legge nazionale sul vincolo di mandato rende tale vincolo inapplicabile. Si noti che il vincolo dei due mandati di per sé è poco incentivante per il politico che non può più essere rieletto. Per questo motivo, e per rimuovere una evidente disparità di trattamento nei confronti dei Sindaci, è utile che si ripensi all’opportunità di tale vincolo.
Per quanto riguarda la selezione della classe politica, non esiste evidentemente una legge elettorale ideale, vista l’influenza dei partiti a selezionare i candidati ex ante. In linea di principio, la possibilità di esprimere una preferenza rende i politici eletti più responsabili di fronte agli elettori, rispetto ai politici eletti tramite lista bloccata. Il sistema delle primarie potrebbe inoltre aprire maggiormente il processo di selezione all’influenza dell’elettorato, rendendo così ancora più democratico il procedimento elettorale

Per quanto riguarda il tediosamente caustico commento di Bruno Stucchi chiarisco che durante la prima seduta si verifica (e non decide) sul rispetto delle cause di ineleggibilità. Un ulteriore aspetto interessante dalla norma sul secondo mandato è che, pur riferendosi la legge espressamente all’"eleggibilità", la parallela previsione di elezione diretta del Presidente fa supporre ad alcuni che ciò implichi anche la sua "incandidabilità". Sono generalmente previste anche esplicite cause di "incandidabilità" oltre che di "ineleggibilità"; non è quindi vero che chiunque si possa candidare. Si pensi solo alla necessità di raccogliere le firme, per fare un esempio legato all’attualità. La questione non è banale come può sembrare; ciononostante, gli arguti autori immaginano i loro figli impegnati alle materne con ben altri e più affascinanti problemi.

L’INGEGNERIA ELETTORALE REGIONE PER REGIONE

Il 28 e 29 marzo si terranno le elezioni per il rinnovo di tredici consigli regionali. Elezioni importanti, che hanno una fortissima valenza politica. Ma con quale sistema elettorale si vota? Una legge costituzionale del 1999 dà alle Regioni la possibilità di disciplinare in maniera indipendente le norme elettorali. E il quadro delle regole sul voto è oggi molto variegato. Non mancano neanche i conflitti con lo Stato, che ha fissato i principi generali a cui le Regioni dovrebbero attenersi. Il caso più eclatante è sul vincolo al numero dei mandati del presidente.

LA SANITÀ IN ROSSO SI CURA COL FALLIMENTO POLITICO

La Regione è stata costretta a presentare un piano di rientro per i reiterati disavanzi sanitari e peraltro non brilla per la qualità dei servizi offerti, ma la giunta riconosce incrementi di stipendio ai dirigenti delle Asl. Una vicenda che mostra tutti i limiti degli attuali meccanismi di controllo sui sistemi sanitari regionali, basati sul presidente-commissario. Ma anche il voto dei cittadini non è un controllo sufficientemente forte. Ecco perché serve il fallimento politico. Magari associandolo con sanzioni finanziarie per i partiti che esprimono la giunta regionale.

UNA SMENTITA DELLA REGIONE CALABRIA E LA REPLICA DEGLI AUTORI

E’ completamente destituita di fondamento e già smentita nei giorni scorsi, quando è stata diffusa dal signor Pippo Callipo candidato alla presidenza della Regione che parlava addirittura di "premi", con il comunicato che segue:
CATANZARO, 17 FEB – “Callipo ha preso un abbaglio. Non c’è alcuna delibera della giunta, né quella citata né altre, che elargisce premi ai direttori generali della aziende sanitarie e ospedaliere”. Lo ha detto Pantaleone Sergi, portavoce del presidente della Regione Calabria Agazio Loiero. “Si tratta, quindi – ha aggiunto Sergi – di una polemica chiaramente strumentale per reiterare accuse contro la Giunta e i dipendenti regionali da parte di chi appare a corto di argomenti propositivi”.
“C’è invece – ha detto ancora Sergi – una delibera che fissa criteri generali e astratti, come impone la legge, per valutare l’attività e i risultati dei direttori generali, per verificare, insomma, se hanno raggiunto gli obiettivi assegnati o non li hanno raggiunti. Tutto qua”.
“Nella pubblica amministrazione, che è altra cosa rispetto al governo di un’azienda privata (sebbene lo stesso Callipo, in verità, ha distribuito premi ai propri dipendenti per i risultati positivi conseguiti dalla sua azienda), la legge – ha concluso Sergi – impone di effettuare valutazioni in base a griglie prestabilite. E, ripeto per evitare equivoci, nessun direttore generale ha avuto assegnato alcun premio, tanto meno con delibera di giunta”.
Nessun premio, dunque, e nessun aumento. Ma una smaccata provocazione elettorale.

Pantaleone Sergi – Portavoce del Presidente della Regione Calabria

 

Il testo della newsletter e de "Il Punto" in home page rappresenta una sintesi giornalistica degli articoli pubblicati, i cui argomenti sono ovviamente meglio precisati nel testo integrale. Qui di seguito gli autori replicano alla smentita del Portavoce del Presidente della Regione Calabria.

Ringraziamo il portavoce del Presidente Loiero per la segnalazione. Ma sinceramente non capiamo che cosa la smentita smentisca. Preghiamo il dottor Sergi di leggere con maggior attenzione il nostro articolo. Nell’articolo diciamo che il 28 gennaio 2010 la giunta calabrese ha riconosciuto un incremento fino al 20 per cento dello stipendio dei direttori generali delle aziende sanitarie, condizionato al raggiungimento di determinati obiettivi. E’ esattamente quello che è scritto nella delibera riportata in calce all’articolo. Certo che è previsto dal contratto di lavoro dei dirigenti generali delle ASL che parte della loro remunerazione possa dipendere dal raggiungimento degli obiettivi prefissati; è quello che si fa in tutte le Regioni. Solo che generalmente questi obiettivi sono ben specificati nelle delibere regionali; sono viceversa molto vaghi nella delibera della Regione Calabra, il che induce a qualche dubbio sulla capacità della giunta di verificare ex post, sulla base delle relazioni che i dirigenti generali devono presentare, l’effettivo raggiungimento degli obiettivi assegnati. Per sua informazione e per informazione dei lettori, alleghiamo a titolo di esempio una recente delibera della Regione Piemonte e una della Regione Sardegna, con allegata specificazione degli obiettivi per i dirigenti delle Asl. Un confronto con quello della Regione Calabria dovrebbe essere sufficiente a chiarire il nostro punto.Detto ciò, resta il punto politico di aver voluto riconoscere lo spazio per una retribuzione di risultato ai Dirigenti Sanitari, in una situazione che, come documentiamo nell’articolo, di buoni risultati sia sul piano finanziario che di qualità dei servizi offerti ai cittadini ne offre ben pochi. Come minimo, questi obiettivi avrebbero dovuto essere definiti in modo assai più stringente, e il Ministero dell’Economia avrebbe dovuto controllare che così fossero. Questo è il punto del nostro articolo.

Massimo Bordignon e Gilberto Turati

UN’ALTRA PRECISAZIONE DELLA REGIONE CALABRIA

Ho smentito e smentisco quanto da voi scritto, e cioè che "la Regione Calabria – testuale – ha aumentato del 20 per cento gli stipendi dei direttori generali delle sue aziende sanitarie" e spero che questa volta sia chiaro quel che affermo. Con la delibera da voi citata del 28 gennaio 2010 la giunta calabrese non ha riconosciuto alcun incremento fino al 20 per cento dello stipendio dei direttori generali delle aziende sanitarie come da voi ancora sostenuto, bensì ha fissato criteri generali e astratti, così come vuole la legge, prevedendo premialità per chi avrà raggiunto obiettivi prefissati. Tutto qua. Niente aumenti generalizzati, come si potrebbe intendere leggendo il testo della vostra newsletter e de "Il Punto" in home page. Anzi niente aumenti.
Prendo atto, tuttavia, delle vostre informazioni su quanto è stato fatto in altre Regioni e mi premurerò di far avere ai responsabili anche le vostre valutazioni critiche (che immagino siano il frutto di una comparazione della delibera della giunta calabrese, che non vedo però sul vostro sito, con quella di altre regioni e non di informazioni giornalistiche) e i vostri suggerimenti, che in quanto tali possono anche essere opinabili.
Vorrei approfittare della vostra ospitalità per alcune spiegazioni aggiuntive. E’ vero che la Sanità calabrese ha mille guai. Sono la conseguenza di gestioni fallimentari a cui la Giunta guidata da Agazio Loiero ha messo mano cercando, con difficoltà, di porre riparo. Intanto con la quantificazione di un debito enorme che per l’80 per cento è stato prodotto dalla giunta di centrodestra che ha governato la Calabria dal 2000 al 2005 (sono cifre accertate dall’advisor Kpmg inviato dal governo Berlusconi) e poi concordando con il governo un Piano di rientro ovviamente rigoroso, che non permette spese inutili. Nello stesso tempo ci si è preoccupati di migliorare la qualità dell’assistenza investendo sia fondi per centinaia di milioni che il Governo centrale ha tenuto bloccati per anni, sia con un programma straordinario che prevede la chiusura di dieci piccoli e inutili ospedali, spesso “strumenti di morte” più che di salute, e la contemporanea costruzione di 4 nuovi presidi moderni nelle strutture e nelle tecnologie (queste ultime migliorate anche negli altri nosocomi). E’ in atto, insomma, un grande sforzo di miglioramento della rete assistenziale in tutta la regione che prevede, tra l’altro, la costruzione di numerose “Case della Salute” con fondi europei già disponibili. Ci vorrà ancora del tempo ma l’obiettivo prioritario è quello di assicurare Livelli essenziali di assistenza a tutti i calabresi. Ci sono le risorse e ci sono le professionalità per farlo. Questo è il punto. Se in questo sforzo di miglioramento, come è auspicabile, ci saranno direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere, capaci, in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati, è doveroso, non solo perché lo prevede la legge, che siano adeguatamente trattati anche dal punto di vista economico. O no?
Grazie per l’attenzione.

Pantaleone Sergi – Portavoce del Presidente della Regione Calabria

 

Ringraziamo nuovamente il dott. Sergi per le sue precisazioni. Come già osservato, il punto e la newsletter, a cura della redazione, rappresentano una semplificazione giornalistica dei contenuti di un pezzo e come tale possono essere talvolta imprecise. Per quello che ci concerne come autori, ci limitiamo a due sole osservazioni. Primo, non abbiamo dubbi che i problemi della sanità calabra vengano da lontano e che gestirla sia molto difficile. Ma sinceramente nei dati che abbiamo raccolto e che abbiamo riportato nell’articolo, tutta questa evidenza di miglioramenti durante la gestione Loeiro non l’abbiamo trovata. Secondo, si possono sicuramente pagare di più le persone che si impegnano di più, a partire dai direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere. Il problema è che per premiare qualcuno perché ha fatto qualcosa, bisogna prima definire che cosa deve fare. Nella delibera della regione Calabria (già pubblicata nel nostro articolo originario), a differenza di quello che normalmente succede nelle altre regioni (come dimostrato dal campione di delibere accluse alla nostra precedente risposta), di una chiara definizione degli obiettivi assegnati ai direttori generali non c’è traccia.
Cordialmente

Massimo Bordignon e Gilberto Turati

 

SE IL PICCOLO COMUNE HA TROPPI CONSIGLIERI

La Finanziaria per il 2010 aveva previsto una sensibile riduzione del numero di assessori e di consiglieri comunali. Poi il provvedimento è stato ritirato. Ma qual è l’effetto di tanti politici locali sulla finanza pubblica e lo sviluppo territoriale? Al crescere del numero di assessori e consiglieri si ha una ricomposizione delle spese correnti a favore di quelle per il personale, una minore autonomia impositiva e una qualità inferiore dell’offerta di beni pubblici, approssimata in base alle scelte di residenza degli individui.

QUEI CITTADINI CHE VOTANO MA NON PAGANO TASSE

Torna agli onori della cronaca la Circoscrizione estero. Per facilitare l’esercizio di un diritto dei connazionali che risiedono in altri paesi sarebbe bastato il voto per corrispondenza. Invece la legge sul voto degli italiani all’estero finisce per garantire una rappresentanza senza tassazione: cittadini che non pagano tasse in Italia e non usufruiscono dei servizi influenzano con il loro voto le tasse che gli italiani residenti pagano e i servizi che ricevono. Viceversa, gli immigrati regolari nel nostro paese sono soggetti a una tassazione senza rappresentanza.

MENO PARLAMENTARI PER MENO CORRUZIONE

Il fatto stesso che si debba varare una legge per vietare ai politici coinvolti in episodi di corruzione di presentarsi alle elezioni la dice lunga su come non funziona la selezione della classe politica in Italia. Per migliorarne la qualità servirebbe una maggiore competizione elettorale e una migliore legge elettorale. Ma anche cittadini più attenti e un’informazione più concentrata sui fatti e meno sui retroscena. Un cambiamento che richiede tempo. Tuttavia qualcosa si può fare subito: ridurre il numero di parlamentari e di amministratori a livello locale. E bisogna farlo finché è forte nell’opinione pubblica l’indignazione per i ripetuti episodi di corruzione. Altrimenti i politici troveranno sempre un modo per mantenere (se non aumentare) poltrone e spesa pubblica.

 

FEDERALISMO DEMANIALE À LA CARTE

Uno schema di decreto legislativo fissa i principi generali e le procedure per regolare il trasferimento di parti del patrimonio immobiliare dello Stato a favore degli enti territoriali. Proprio il procedimento lascia perplessi. Il risultato non sarebbe una devoluzione del patrimonio statale tra diversi livelli di governo sulla base di criteri economici di pertinenza dei beni alle funzioni attribuite agli enti decentrati, ma un’allocazione basata su puri criteri di profittabilità, che lascerebbe allo Stato i beni di minor valore commerciale.

IL NUMERO PERFETTO DEI POLITICI LOCALI

La Finanziaria 2010 taglia del 20 per cento i consiglieri comunali ed elimina i consigli di quartiere. Una larga rappresentanza locale è espressione e strumento di partecipazione alla vita comunitaria, soprattutto se è a basso costo. Altrettanto evidenti sono però gli svantaggi e le degenerazioni. E allora può essere giustificato anche lo sfoltimento forzato. Ma una soluzione uniforme e imposta dal centro è contraria allo spirito federalista. Tanto più che la legge sul federalismo fiscale già prevede un costo standard della rappresentanza politica. Basterebbe evidenziarlo.

IL COMMENTO DI GOLDSTEIN E BONAGLIA ALL’ARTICOLO DI PERSICO E PUEBLITA – TECHNOCRACY IN GRECIA*

In un recente contributo su questo sito (1), Nicola Persico e José Carlos Pueblita hanno mostrato come in Messico la maggioranza dei ministri economici siano “cervelli” con PhD in materie economiche conseguito negli Stati Uniti e che non hanno mai partecipato a una elezione. Gli autori notano la particolarità del caso del Messico – una repubblica presidenziale dove il capo dell’esecutivo ha la possibilità di nominare direttamente i membri del governo senza sottoporsi allo stillicidio dei veti incrociati di correnti e correntine. Alcuni lettori hanno obbiettato che la tecnocrazia è anti-democratica, visto che permette a tecnici non eletti di esercitare grande potere politico senza la sanzione delle urne. Si potrebbe aggiungere che la tequila technocracy si è consolidata in un periodo in cui si sono succeduti governi di centro-destra, in particolare quelli panistas di Fox e Calderón.
Le recentissimi elezioni in Grecia offrono, con le dovute cautele, il materiale per testare questi argomenti. Dalle urne è uscito vincitore il PASOK, il partito socialista, e George Papandreou ha nominato in posizioni chiave dei tecnocrati che hanno passato all’estero periodi estesi di formazione e lavoro. Per essere più precisi, su 18 ministri otto hanno un dottorato e altri otto un Master. L’età media è bassa – poco più di 51 anni, 50 se si esclude il vice Primo Ministro Theodore Pangalos). Ad avere un dottorato sono i Ministri delle Finanze e dell’Economia – rispettivamente George Papaconsatinou e Louka Katseli – ma anche il titolare di un dicastero più politico come la Difesa. Anche i Vice-Ministri degli Esteri sono giovani tecnocrati: un 41enne ex-professore di diritto europeo all’Università di Vienna ed un 45enne con un M.Sc. in Environmental Economics dell’Università di Reading. Il nuovo Primo Ministro ha fortemente puntato su questi profili anche in campagna elettorale, definendoli “i migliori”, “coloro che non hanno interessi acquisiti” e che quindi possono fare avanzare le riforme necessarie alla modernizzazione del paese.
Se il nuovo è un governo molto tecnocratico, non è il primo nella recente storia greca. Nel 1989 per esempio, a seguito del risultato inconclusivo delle elezioni ed in un contesto di crisi economica, i tre maggiori partiti nominarono Primo Ministro Xenophon Zolotas, ottantacinquenne ex-governatore della Banca di Grecia e autore di un importante libro di economia del benessere (2). Ma soprattutto, i Primi Ministri che si sono succeduti al potere dal 1993 hanno impressionanti credenziali accademiche. Andreas Papandreou aveva un Ph.D. ad Harvard e insegnò lì ed in altre prestigiose università americane prima di tornare in Grecia; Costas Simitis ha studiato diritto a Marburgo ed economia alla London School of Economics; e Kostas Karamanlis ha un PhD. alla Fletcher School of Law and Diplomacy di Tufts.
Come si arriva allora ad affidare il potere a un gruppo di persone con competenze nel campo economico? Nel caso messicano, il potere era saldamente nelle mano del PRI e la cooptazione era semplice – il termine dedazo indicava la pratica con cui il presidente “additava” il suo successore. In Grecia invece ci sono vere e proprie dinastie politiche. L’attuale Primo Ministro è figlio di Andreas Papandreu che a sua volta era figlio di un Georgios Papandreu tre volte a capo del governo tra il 1944 e il 1965; il suo predecessore è nipote di Konstantinos Karamanlis, già Primo Ministro e Presidente; Konstantinos Mitsotakis, a capo del governo nel 1990-93, il cui padre e nonno erano parlamentari, aveva come zio Eleftherios Venizelos, una delle figure maggiori della politica greca del XX secolo. Non a caso in tutte queste famiglie così importanti i figli erano inviati a studiare all’estero – Spiros, il fratello di Simitis, è per esempio professore alla Goethe di Francoforte ed uno dei maggiori esperti europei di diritto di privacy and security.
Persico e Pueblita identificano altri fattori che hanno contribuito ad alimentare la rivoluzione tecnocratica in Messico. Alcuni, ma non tutti, sembrano importanti anche in Grecia. I tre membri del consiglio della Banca di Grecia, in particolare, hanno tutti ricevuto un dottorato all’estero, sono tornati per insegnare all’Università di Atene e poi hanno integrato la banca centrale. Molto simile il profilo dei due precedenti governatori (Lucas Papademos e Nicholas C. Garganas). Come in Messico, anche in Grecia le assunzioni nel settore pubblico – almeno nel passato recente – incoraggiano i concorrenti esterni e quindi solleticano l’interesse dei numerosi economisti greci sparsi in Nord America ed Europa. Dopo aver passato otto anni all’OCSE, George Papaconstantinou tornò in patria nel 1998 come consigliere del Primo Ministro per la società dell’informazione.
Un altro fattore importante nel caso messicano è la possibilità per i burocrati di usare l’impiego nell’amministrazione come trampolino di lancio per lucrosi impieghi privati. Abbiamo guardato ad un piccolo campione – i 70 amministratori di cinque delle sei principali società greche (3) – trovando che soltanto quattro corrispondono alla definizione di tecnocrate. Per esempio Michalis G. Sallas, Chairman di Piraeus Bank, che ha un PhD ad Heidelberg ed è stato professore di econometria all’Università Panteion, Segretario Generale del Ministero del Commercio e Chairman del primo comitato per la modernizzazione del settore bancario; oppure Panagis Vourloumis, Managing Director di OTE, che ha studiato alla London School of Economics ed ha diretto la divisione Southeast Asia dell’International Finance Corporation. Né possiamo dire che la rapida progressione di carriera sia una sicurezza per un tecnocrate ellenico. Un’altra differenza è che mentre i ministri messicani sono veri e propri tecnocrati, che raramente sono stati eletti e hanno seduto in Parlamento, i loro colleghi greci hanno spesso una considerevole esperienza politica, ad Atene oppure a Strasburgo e Bruxelles.
Per concludere, i motivi che portano i tecnocrati al potere sono molti e diversi. Al di là della criticità dei problemi – ma, del resto, quale paese non ne ha! – non sono moltissimi gli elementi in comune tra Grecia e Messico, eppure ambedue i paesi si contraddistinguono per il rilievo delle posizioni di responsabilità coperte da individui con elevato grado di educazione ricevuta all’estero in materie socio-economiche. C’è cioè in ambedue i paesi la consapevolezza che un certo grado di conoscenza formale è utile per esercitare il potere. Ovviamente la tecnocrazia non è garanzia di risultati brillanti – pochi detentori di obbligazioni argentine si sentirebbero di sottoscrivere l’affermazione che “Domingo Cavallo merits our admiration for his great achievements to date and for his indomitable courage” (4) – ma quello che abbiamo cercato di dimostrare è che essa è compatibile con differenti orientamenti politici e strutture istituzionali. Poi ovviamente rendere conto dell’operato agli elettori rimane la miglior garanzia per il buon funzionamento della democrazia.

(1) “Là dove tornano i cervelli”, 1 settembre 2009.
(2) Economic growth and declining social welfare (New York: New York University Press, 1981).
(3) cioè National Bank of Greece, Alpha Bank, OTE, Piraeus Bank e Coca-Cola (Hellenic Bottling). I dati prosopografici dei membri del consiglio d’amministrazione di Eurobank EFG non sono disponibili sul sito della società.
(4) Arnold C Harberger, “Secrets of Success: A Handful of Heroes”, American Economic Review, 1993, vol. 83, issue 2, pages 343-50.

* Le posizioni espresse nell’articolo sono attribuibili esclusivamente agli autori e non coinvolgono in nessun modo gli Enti per cui lavorano.

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