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Salario minimo e decentramento della contrattazione

In Italia sono aumentati negli ultimi anni i working poor, persone che, pur lavorando, hanno redditi al di sotto della linea di povertà. Si tratta di lavoratori che sfuggono alle maglie della contrattazione collettiva, la quale continua a determinare i minimi contrattuali con riferimento alle condizioni del mercato del lavoro e al costo della vita nelle regioni centro-settentrionali. Ci vuole al contempo protezione per questi lavoratori non coperti e più decentramento della contrattazione per impedire che l’occupazione cresca solo nelle regioni più ricche del Paese. Ecco una proposta operativa.

Italia-Germania nella partita della competitività

Dal 2000 a oggi l’Italia ha perso nei confronti della Germania circa il 15 per cento della propria competitività, calcolata come costo del lavoro per unità di prodotto. La spiegazione è solo in parte nella diversa specializzazione dei due paesi. L’incremento della produttività è stato più alto in Germania, mentre i salari nominali tedeschi sono cresciuti meno di quelli italiani. Perché da noi è stata più alta l’inflazione. Eppure, nei prezzi alla produzione la differenza è minima. E dunque il problema è nei margini di profitto della distribuzione e nei prezzi dei servizi.

Buone notizie in momenti difficili

L’inchiesta sulle forze lavoro relativa al primo semestre 2005 segnala un aumento di 84mila posti di lavoro rispetto al quarto trimestre del 2004, pari allo 0,4 per cento. Come si spiega questo andamento se si considera la riduzione del Pil degli ultimi due trimestri? L’aumento occupazionale è legato al processo di riforme del mercato del lavoro. Ma anche alla rilevazione di lavoratori sommersi. Nel complesso, la crescita dell’occupazione rimane un fatto totalmente settentrionale, con il Centro e il Mezzogiorno addirittura in leggero calo.

Un lavoro poco condiviso

Il modello di condivisione delle responsabilità familiari cambia molto lentamente. Le donne continuano a essere sovraccariche di lavoro familiare. Tra gli uomini, aumenta di qualche punto percentuale il numero di coloro che “aiutano”, ma di molto poco. Le donne che lavorano e hanno bambini piccoli sono un particolare segmento dai bisogni non soddisfatti: ancora non sufficientemente sostenute dal proprio partner e dalle strutture pubbliche, ricorrono al supporto informale e del privato.

Parasubordinati senza sorprese

Il rapporto Istat sui collaboratori coordinati e continuativi contiene molte conferme. Per esempio, i veri parasubordinati sono circa 400mila, un numero sostanzialmente stabile dal 1999. Ma i dati disponibili non permettono di rispondere alla domanda cruciale se la condizione di parasubordinato sia temporanea o permanente. Ancora una volta in Italia le misure di politica del lavoro vengono varate, riformate, abrogate e reintrodotte senza prevedere un sistema di monitoraggio che ne renda possibile la valutazione in termini scientifici.

L’Aran “usa e getta”

Doveva essere la Confindustria dei datori di lavoro pubblici. Invece l’Aran è stata relegata a un ruolo solo esecutivo. Perché per il pubblico impiego la responsabilità di fatto del negoziato si è spostata sul Governo che è diventato il vero interlocutore negoziale su tutto il contratto e non solo sulle risorse complessive da destinare alla contrattazione. Anche i sindacati sono in difficoltà. Il sistema disegnato nel 1993 appare indebolito. Serve ora maggiore chiarezza sui diversi ruoli istituzionali. E meccanismi idonei per indurre a rispettarli. Guido Fantoni, attuale Presidente ARAN, risponde all’articolo.

Il nodo del lavoro pubblico

Nel settore pubblico continuano operare logiche diverse e distorsive rispetto al lavoro privato. Per rimediare a tali deficienze è necessaria una drastica riforma che immetta nel sistema pressanti incentivi di mercato o di quasi mercato e opportuni meccanismi di controllo che spingano le pubbliche amministrazioni ad agire come veri datori di lavoro. Nella situazione attuale, predomina la politica sull’amministrazione e la ricerca del consenso a qualsiasi prezzo sull’interesse pubblico e degli utenti dei servizi.

Cresce il lavoro, ma si è perso il Mezzogiorno

Una discreta performance aggregata della crescita dei posti di lavoro, ma con una differenziazione regionale Se al Centro gli occupati salgono del 2,5 per cento, nel Mezzogiorno si riducono dello 0,4 per cento. Un divario impressionante e insostenibile, la cui soluzione deve necessariamente passare attraverso un decentramento della contrattazione. Il tasso di occupazione ha smesso di crescere, ma il fenomeno riflette un aumento della popolazione in età lavorativa, principalmente dovuto all’immigrazione. Come testimonia la distribuzione settoriale della crescita dell’occupazione.

L’arduo incontro tra donne e lavoro

La diminuzione dell’offerta di lavoro e della disoccupazione evidenziata dai dati sulle tendenze del mercato del lavoro è pressoché tutta dovuta al calo del tasso di attività, in particolare delle donne e in particolare nel Mezzogiorno. Continua così a indebolirsi il fattore che dal 1998 aveva maggiormente contribuito all’innalzamento del tasso di occupazione. In generale, aumenta di poco e con differenze territoriali l’occupazione maschile a tempo pieno e indeterminato. L’occupazione femminile, là dove non diminuisce, rimane più facilmente in contratti temporanei o a tempo parziale.

Per un’impresa “responsabile”

La responsabilità sociale d’impresa non è la bacchetta magica che spengerà tutti i conflitti. Né può aspirare a prendere il posto, almeno nell’immediato, delle tecniche tradizionali di regolazione. Ma sarebbe un grave errore sottovalutarne il potenziale innovativo. E’ un segnale positivo lanciato da un capitalismo capace di farsi “riflessivo”. Ed è importante che si sia tornati a predicare una convivenza pacifica e fruttuosa di tutti gli stakeholder, alla ricerca di un’equità sociale economicamente sostenibile.

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