Dal salario minimo all’unificazione e riorganizzazione degli Ispettorati del lavoro, dall’Anpal al sistema di monitoraggio capillare della formazione: sono molte le misure importanti previste dalla riforma del governo Renzi rimaste del tutto inattuate.
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La riforma del governo Renzi ha aumentato l’efficienza produttiva delle imprese. I maggiori benefici sono andati ai datori di lavoro, ma anche i lavoratori ne hanno tratto vantaggi: salari più alti, creazione di nuovi posti e contratti più stabili.
I salari sono tornati a crescere nel nostro paese, trainati dai rinnovi contrattuali del 2024 e dei primi mesi del 2025. Finora, però, nessun contratto ha previsto aumenti che permettano un pieno recupero dell’inflazione. Le previsioni del Wage Tracker.
I dati mostrano che gli immigrati di seconda generazione tendono a essere più giovani e meno istruiti rispetto alle prime generazioni e ai figli di genitori nativi. È un elemento che spiega perché svolgano lavori peggiori, ma non perché siano meno occupati.
I Lep hanno reso uniformi i servizi pubblici per l’impiego, ma ne hanno anche eroso l’utilità. Perché la standardizzazione ha limitato la discrezionalità indispensabile nel processo di inserimento lavorativo. Vanno rimesse al centro le persone.
Seguendo la Corte di giustizia, il “Collegato lavoro” ha stabilito che le missioni di lavoratori interinali presso un’impresa terza non possono durare più di 24 mesi. Una circolare del ministero del Lavoro rischia però di generare confusione e contenziosi.
Un’efficace politica di gestione dell’età dei lavoratori può migliorare la produttività, ridurre l’assenteismo e favorire il benessere dei dipendenti. È un approccio necessario dato l’invecchiamento dei lavoratori. Così la Pa l’ha inserito nel nuovo Ccnl.
Il monitoraggio sul Piano di potenziamento dei centri per l’impiego permette di tracciare un nuovo identikit della figura dell’operatore Cpi. Emerge la necessità di percorsi di formazione adeguati e di una definizione del ruolo all’interno del Ccnl.
Il senso comune suggerisce una larga diffusione del fenomeno, ma sui tirocini non retribuiti attivi in Italia non disponiamo di numeri precisi. Utilizzando i dati Istat possiamo però adottare una metodologia che permette di coglierne l’ordine di grandezza.