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Quant’è avara la Finanziaria con il signor V.A.

Una Finanziaria non si limita a ridistribuire un reddito dato. Influenza la convenienza a produrne di nuovo, modificando gli incentivi a investire e a creare posti di lavoro: gli effetti davvero importanti per la crescita, il problema numero uno dell’Italia di oggi e di domani. La legge per il 2007 non incide sui nodi che un imprenditore affronta quotidianamente: costo dell’energia, risorse umane e difficoltà di sbocco sul mercato interno. Non c’è neanche la riduzione delle tasse sulle società. Eppure sono proprio le ragioni per cui nel nostro paese non si fa innovazione

Per chi e perché si taglia il cuneo: le imprese

E’ condivisibile la scelta di ridurre il cuneo fiscale per la parte che compete alle imprese attraverso un intervento sull’Irap. Che può essere letto non come una semplice agevolazione, ma come una norma di sistema. E la sua articolazione è funzionale agli obiettivi perseguiti. Gli elementi critici sono dettati dall’impellenza dei vincoli di gettito e riguardano l’esclusione di importanti settori dell’economia, oltre alla complessità dei meccanismi opzionali previsti, che rendono il disegno e i suoi effetti meno trasparenti.

Il bello e il brutto di “Industria 2015”

Il Ddl presentato dal ministro per lo Sviluppo economico riporta la capacità di competere dell’industria al centro dell’attenzione della politica economica italiana, riconosce la natura strutturale delle difficoltà dell’economia e predispone gli strumenti di supporto perché le imprese la affrontino. Ma, nella stesura attuale, coinvolge troppi soggetti ed elenca troppi obiettivi. Inoltre, privilegia gli incentivi, che hanno poca presa sulle piccole aziende, rispetto alla riduzione delle tasse sulle società.

Fragili capitalisti e politici senza “policy”

La vicenda Telecom ha reso ancora più evidenti le debolezze del nostro sistema politico ed economico. Ma offre qualche insegnamento per le necessarie future privatizzazioni e liberalizzazioni: dall’importanza di un’efficace regolamentazione all’alta probabilità di fallimento del mercato italiano degli assetti proprietari. Se la Cassa depositi e prestiti dovesse diventare proprietaria delle maggiori infrastrutture a rete, occorrerebbe ripensarne i compiti. Per ora, il governo non sembra aver definito un adeguato disegno di policy making.

Un passaggio stretto per le minoranze

Se per ipotesi il riassetto di Telecom non fosse nell’interesse della società, ma solo del gruppo di controllo, quali speranze avrebbe un azionista di minoranza di bloccare il piano o almeno di ottenere il risarcimento del danno? E’ tutto nelle mani degli amministratori e, in particolare, di quelli indipendenti. Se questi approvano la proposta, agli azionisti di minoranza restano solo due strade. Possono coalizzarsi in una maggioranza alternativa nella successiva assemblea. Oppure cercare una tutela in giudizio. Entrambe appaiono decisamente impervie.

Verso le nuove partecipazioni statali?

Una sommaria analisi della politica industriale del Governo mostra come ancora manchi una guida unitaria. Ma il rapporto con “il mercato” resta problematico e gli interventi effettuati non indicano che si voglia alleggerire la presenza pubblica nell’economia. Non è certo con proposte di nazionalizzazione e interferenze con l’operato di imprese private che si può caratterizzare una discontinuità col passato.

Aspetti tecnici della proposta sui nullafacenti della P.A.

Su invito della Redazione, in seguito alla richiesta di diversi lettori, Pietro Ichino fornisce i dettagli tecnici della sua proposta di una iniziativa straordinaria contro il fenomeno dei nullafacenti nell’amministrazione pubblica. Interventi di Francesco Daveri, Andrea Ichino, Eugenio Nunziata e Carla Pellegatta.

Considerazioni (quasi) conclusive su lavoro precario e stabilità

L’ampio dibattito ospitato da lavoce.info sulle tre proposte di riforma della fase di accesso al lavoro stabile regolare ha evidenziato come su alcuni punti decisivi manchino i dati necessari per individuare la soluzione migliore sulla base di evidenze univoche. La scelta tra riformare la materia o conservare la disciplina vigente non può dunque fondarsi su certezze scientifiche, né in un senso né nell’altro. Tuttavia, è ragionevole ritenere che una riforma indirizzata nel senso indicato possa produrre effetti positivi sia sul piano dell’equità, sia sul piano dell’efficienza complessiva di un sistema produttivo che arranca. Il discorso in proposito, lungi dal chiudersi, proprio da qui deve ripartire.

Variante italiana per la ricetta Zapatero

Come importare il meglio dell’accordo concluso in Spagna tra governo e parti sociali sulla lotta alla precarietà? Si può fare attraverso una strategia di riforma in due mosse, che prima sfoltisca la selva di contratti atipici e individui due sole tipologie di lavoro temporaneo. E poi incentivi la conversione dei contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato con costi di licenziamento ridotti. Ma che preveda anche quello che gli spagnoli hanno “dimenticato”: il monitoraggio degli strumenti adottati e l’estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori flessibili.

Elogio postumo dei co.co.co

Apparsi verso la metà degli anni Novanta, i co.co.co sono il prodotto di un progressivo adattamento alle normative esistenti e hanno risposto relativamente bene alle esigenze sia delle imprese che dei lavoratori. Hanno sopperito ai bisogni di flessibilità in entrata e in uscita del mercato del lavoro. Gli abusi della formula hanno interessato più la pubblica amministrazione che il settore privato. Non era necessario, quindi, farli scomparire. Anche perché le collaborazioni a progetto, previste dalla Legge Biagi, sono meno flessibili e più a rischio di contestazione.

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