Lavoce.info

Categoria: Moneta e inflazione Pagina 32 di 34

Una politica per l’euro

L’euro continua ad apprezzarsi nei confronti del dollaro, sia a causa di fattori ciclici, che di fattori strutturali. Poco senso ha la proposta di Sarkozy di chiedere alla Bce una politica di indebolimento del tasso di cambio. Sarebbe piuttosto utile che la Cina accettasse di abbandonare il suo legame “esclusivo” con il dollaro e altrettanto utile rafforzare la sorveglianza multilaterale sui tassi di cambio per evitare un’eccessiva svalutazione della valuta americana. Nel frattempo un rappresentante unico dell’eurozona nelle istituzioni internazionali sarebbe un buon primo passo per raggiungere questi obiettivi…

Casa con vista sull’inflazione*

Gli indici dei prezzi al consumo servono a svariati usi. Per esempio, a stabilire programmi statali di tasse e spesa. O a offrire una guida per l’aggiustamento di stipendi e salari. Per questo è importante capire come sono composti. E in particolare come sono considerati gli immobili abitati dai proprietari. Perché diversi sistemi danno ben diversi risultati in termini di inflazione. Tutto sommato, il metodo migliore è quello Usa, con la categoria dei proprietari affitto-equivalenti. Migliore anche rispetto alle scelte della Bce.

Come essere una colomba agendo da falco

Il recente rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea è stato molto criticato, soprattutto dai politici. Ma l’aspetto cruciale è capire come la banca centrale gestisce le aspettative di inflazione. Se la Bce avesse affrontato lo shock petrolifero annunciando già nel dicembre 2005 che da lì in poi si sarebbero rialzati i tassi per un certo periodo di tempo, i vantaggi sotto questo profilo sarebbero stati significativi. E non avrebbe finito per danneggiare di fatto le prospettive di crescita. Il confronto con la Fed.

I due Bernanke

Si dice che il nuovo governatore della Fed, Bernanke, abbia difetti di comunicazione e che sia poco sensibile all’ inflazione. Ma ad ogni cambio di regime di politica monetaria la reattività dei mercati aumenta fisiologicamente. Le reali “ambiguità” di Bernanke sono altre: La Fed transiterà ad un regime di inflation targeting? E come gestirà la Fed la fase critica di rallentamento del mercato immobiliare americano?

Qualche verità sul cambio lira-euro

1.   Chi predica che il prezzo di 1 Euro avrebbe dovuto essere fissato a 1500 lire dimentica che ciò avrebbe comportato una rivalutazione della lira di proporzioni insostenibili. Pur assumendo che partners commerciali importanti come Germania e Francia avessero fissato lo stesso cambio ora in vigore, le nostre esportazioni verso quei mercati sarebbero crollate in modo vertiginoso. E’ quasi superfluo aggiungere che cosa questo avrebbe comportato per la già comunque asfittica dinamica del Pil italiano.

2.       Si aggiunga, che dopo la svalutazione della Lira del 1992, e l’uscita dallo SME, entrare nella moneta unica era già stato un mezzo miracolo per l’Italia. Si dimentica spesso che uno dei requisiti per l’ingresso nell’Euro era che il cambio della valuta (rispetto al paniere di riferimento europeo denominato Ecu) fosse rimasto, negli ultimi due anni precedenti l’ingresso, stabile entro le bande di fluttuazione previste dallo SME (e riviste dopo il reingresso della lira per riflettere la svalutazione del 1992). Perciò la lira arrivava alla prova di Maastricht con una parità di riferimento sancita dai mercati, ed è questa che è valsa per la fissazione della parità con l’euro. Fissare una parità largamente diversa avrebbe comportato una fortissima pressione all’ apprezzamento delle nostre ragioni di scambio verso i partners commerciali.

3.       In generale, però, sfugge quale sia il legame tra parità iniziale euro-lira e dinamica dell’inflazione in Italia nella fase post-euro. La confusione del dibattito corrente dimentica una serie di fatti sull’inflazione italiana. Vale la pena chiarirli:

(i)  Tipicamente si tende a confondere aumenti una tantum del livello dei prezzi con aumenti generalizzati dell’inflazione, cioè del loro tasso di crescita. Per chiarire, supponiamo che il livello dei prezzi sia stabile e pari a 100 prima dell’euro. In tal caso l’inflazione è zero. Se a cavallo del changeover il livello dei prezzi sale a 102 e poi rimane stabile, l’inflazione ha solo una fiammata temporanea del due per cento, e poi torna a zero, come prima. Non a caso, in Italia, l’Istat ha più volte ripetuto che l’inflazione è rimasta abbastanza stabile dopo il Gennaio 2002.

(ii) Analizzando meglio le statistiche si scopre che l’aumento dei prezzi in Italia si è osservato soprattutto in alcuni settori (i servizi) e molto poco in altri (computer e software, per esempio, in cui i prezzi sono persino diminuiti). Tra i piccoli servizi spiccano i ristoranti, per i quali certamente la percezione della gente non sbaglia. In Italia, rincari si sono avuti anche in servizi di tipo più tradizionale, come le lavanderie e i piccoli alimentari, e soprattutto nelle aree geografiche con meno concorrenza.

(iii) Tutto ciò si spiega solo per la volontà speculativa di molti commercianti? In realtà le spiegazioni esistono. Le attività sopra citate si distinguono per tre caratteristiche. Primo, hanno cosiddetti menu costs. Cambiare la denominazione dei prezzi nei menu dei ristoranti è un costo fisso. Se un ristorante pensava già da qualche mese prima del Gennaio 2002 di aumentare i prezzi, avrà probabilmente atteso la data del changeover per farlo. Secondo, lavanderie e ristoranti usano molto di più il denaro liquido rispetto ad altri esercizi. Perciò, con il passaggio all’Euro, hanno fronteggiato costi di transazione più alti rispetto a settori che usano principalmente le transazioni elettroniche. Terzo, lavanderie e ristoranti basano molto la loro attività su relazioni personali e stabili con la clientela. Perciò, variazioni troppo frequenti dei prezzi sono mal percepite e soprattutto facilmente individuate dalla clientela affezionata. Il passaggio all’Euro ha funzionato così da "scusa" per giustificare gli aumenti agli occhi dei clienti più frequenti. Ma si tratta di aumenti che probabilmente volevano essere introdotti da tempo. Per chiarirci, la stessa cosa sarebbe avvenuta se si fosse chiesto a tutte le lavanderie in Italia di riportare il nome di ogni capo in inglese invece che in italiano. In quel caso avremmo dovuto considerare l’ "Inglese" responsabile del maggior costo della vita?

I rialzi dei prezzi si sono quindi osservati principalmente in alcuni servizi poco (o per nulla) esposti alla concorrenza internazionale e legati ad un contatto diretto e quotidiano con la clientela. Prendiamo una lavanderia: se il cambio euro lira fosse stato fissato a 1500 lire, e quindi il costo in euro di importare dalla Germania fosse stato più basso, quanto di questo avrebbe inciso sulla dinamica dei costi della lavanderia stessa? Presumo molto poco.

Bolla o non bolla?

Negli ultimi cinque anni il boom dell’immobiliare ha caratterizzato quasi tutti i paesi industrializzati, Italia compresa. La dinamica dei prezzi riflette un cambiamento strutturale o si tratta di una “bolla”? La composizione della ricchezza delle famiglie potrebbe essersi modificata per le preoccupazioni sulla tenuta dei sistemi pensionistici e la scarsa fiducia nelle borse. D’altra parte, le bolle sono associate a una forte crescita degli investimenti in costruzioni, cui segue una caduta nella fase di contrazione dei prezzi. E non si è mai costruito tanto come adesso.

Prezzi alti, concorrenza scarsa

La lettura dei dati di contabilità conferma che molti settori della nostra economia stanno soffrendo, presentando risultati quanto meno allarmanti, con la necessità da parte delle imprese di contrarre i margini per preservare i volumi di vendita. Ma ve ne sono altri che godono di ottima salute, con miglioramenti marcati della redditività delle imprese. Peccato però che in diversi casi si tratti di uno stato di salute non conquistato sul campo, con la capacità di competere e di innovare, quanto l’esito dell’esercizio di potere di mercato a scapito degli acquirenti finali.

Lo spread Btp-Bund in tempo di euro

Con la scomparsa del rischio di cambio per l’Italia relativamente alla Germania dopo l’entrata nell’euro, anche il rischio di default si è drasticamente ridotto e i differenziali di interesse tra i due paesi si sono quasi allineati. Ora, però, sembrano tornare ad aprirsi. Un motivo di preoccupazione? L’evidenza empirica ci dice che il recente rialzo dello spread Btp-Bund può essere spiegato interamente da fattori totalmente indipendenti dall’andamento dei fondamentali fiscali italiani. Questo fatto sottolinea il fondamentale ruolo dell’EURO per il contenimento del costo del finanziamento del debito pubblico italiano, in un ambito di aspettative di stabilizzazione dei nostri fondamentali fiscali.

L’Italia senza l’euro

Che cosa sarebbe accaduto se l’Italia non fosse entrata nell’euro? E’ difficile dare una risposta scientifica. E complesso analizzare quali benefici avrebbero potuto replicarsi anche senza una nostra partecipazione alla moneta unica. Possiamo però vedere l’influenza positiva dell’euro sul volume di scambi internazionali. Per il nostro paese, l’effetto euro e la crescita del commercio con i paesi dell’Unione monetaria hanno rappresentato un argine importante al deterioramento della capacità competitiva e delle quote di commercio globale.

Molta retorica per l’anatocismo

L’anatocismo non è da guardare a priori con ostilità. In un conto corrente bancario è indissolubilmente legato alla presenza dell’interesse. E se si regolano le frequenze di capitalizzazione ci si devono attendere nuovi equilibri nei quali i tassi di interesse debitori a capitalizzazione trimestrale vengono soppiantati da equivalenti e più elevati tassi a capitalizzazione annuale. La regolamentazione dell’anatocismo non si giustifica dunque per una questione di prezzo del denaro, bensì per ragioni di trasparenza e di controllo. Costanza Torricelli commenta l’articolo; la controreplica degli autori.

Pagina 32 di 34

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén