Contro i rincari la prima reazione deve essere dei consumatori, chiamati a modificare i loro comportamenti di consumo. Altrimenti, chi vende continuerà ad aumentare i prezzi. Nel settore alimentare, ciò è stato possibile, come dimostra il calo dei prezzi dell’ultimo anno, perché la competizione è alta. Più difficile seguire questa strada nei settori dove la concorrenza è limitata, come nei servizi. Infatti, nonostante le ristrutturazioni e le fusioni che hanno caratterizzato le attività finanziarie e assicurative negli ultimi anni, i prezzi non sono scesi.
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L’università italiana sta fallendo non perché manchino i fondi, ma perché chi vi opera non ha la responsabilità delle proprie azioni: non vi sono disincentivi per chi la usa per scopi clientelari, né incentivi per chi tenta di far ricerca ad alto livello. Nonostante alcune buone idee, la riforma proposta dal ministro Moratti non apporta su questo punto innovazioni di rilievo, come si vede dallÂ’analisi delle principali novità . Fallirà , dunque. Ma non perché avrà cambiato troppo, come sostengono i suoi critici. Bensì per non aver osato abbastanza.
A cinque anni dall’apertura del mercato, in Gran Bretagna le tariffe dell’elettricità e del gas per le famiglie a più basso reddito crescono più lentamente delle altre. Questi consumatori restano comunque più vulnerabili agli aumenti nei livelli generali dei prezzi dell’energia perché a questa voce di spesa destinano quote più alte di reddito. Ma a preoccupare è soprattutto il permanere del forte potere di mercato degli ex monopolisti. Un controllo sulle posizioni dominanti produrrebbe benefici per tutti i consumatori, ma in particolare per i più poveri.
E’ giusto chiedersi se la liberalizzazione delle telecomunicazioni abbia arrecato effettivi benefici ai consumatori finali. Andrea Gavosto contribuisce alla discussione aperta da Carlo Cambini rilevando che i dati sulle tariffe telefoniche apparsi su lavoce.info non tengono conto dei cosiddetti “pacchetti tariffari”. Nella sua controreplica, l’autore ricorda che lÂ’analisi si proponeva di valutare lÂ’impatto del processo di liberalizzazione e non delle strategie tariffarie dei singoli operatori.
Il nuovo codice sulla proprietà intellettuale mantiene il cosiddetto privilegio accademico: la titolarità delle invenzioni realizzate nell’ambito dell’attività di ricerca è di docenti universitari e ricercatori pubblici e non dell’istituzione. E’ una scelta che tradisce una sistematica distanza del legislatore dalla realtà economica attuale. Infatti questo istituto impedisce proprio la valorizzazione industriale della ricerca pubblica che, a parole, si vorrebbe favorire. Per esempio, complica la stesura dei contratti con le imprese private.
LUNEDI’ 13 DICEMBRE 2004
UNIVERSITA’ BOCCONI, via Sarfatti 25, Milano
AULA N12 (edificio “Velodromo”)
ORE 11.00
Incontro dibattito organizzato da lavoce.info dal titolo
IMPOVERIMENTO: DATI, PERCEZIONI E INFORMAZIONE
con la partecipazione di:
LUIGI BIGGERI (Presidente Istat)
TITO BOERI (Università Bocconi e lavoce.info)
ILVO DIAMANTI (sociologo, editorialista di Repubblica)
DARIO DI VICO (vice-direttore del Corriere della Sera *)
*Autore del
libro “Profondo Italia” insieme ad Emiliano Fittipaldi
Si può ragionevolmente misurare la presenza di alcune qualità e caratteristiche personali negli aspiranti magistrati, ma puntare tutto sulla sola selezione iniziale dà risultati limitati. Perché i gravemente inadatti sarebbero pochissimi, tali da non giustificare un investimento costoso e socialmente delicato. E perché le capacità e le conoscenze cambiano nel tempo. Molto più utile garantire momenti di valutazione lungo tutta la carriera, che permettano alle persone di comprendere e migliorare i propri punti di forza e di debolezza.
E’ illusorio pensare che le coperture della riforma fiscale possano derivare da sforamenti del Patto di stabilità . Se così accadesse, l’Italia si troverebbe a pagare un alto costo politico, oltre che economico. Difficile anche un allentamento condiviso dei vincoli nella direzione voluta dal nostro Governo. E per il sostegno alla competitività delle imprese, più che maggiore spesa pubblica in ricerca e infrastrutture, servirebbero misure per migliorare il contesto competitivo. Come una seria legge fallimentare o l’apertura del mercato bancario.
La riforma fiscale appena varata imporrà ulteriori problemi alle esauste finanze pubbliche, mentre per sostenere l’economia sarebbero serviti altri provvedimenti. Ma il ritorno elettorale di un euro di Ire in meno è un multiplo di qualunque altro intervento agevolativo di pari misura. Tuttavia, la base imponibile dellÂ’Ire è per lÂ’80 per cento composta da redditi da lavoro dipendente. Va dunque affrontato il problema di una distribuzione più equa del carico tributario. Senza concentrarsi esclusivamente sulla questione della progressività dellÂ’imposta dei redditi.
Il nuovo sistema di deduzioni linearmente decrescenti, previsto dalla riforma dell’Ire, aumenta il numero delle aliquote e degli scaglioni di reddito oltre i quattro nominalmente previsti. Aggrava le distorsioni sull’offerta di lavoro e determina una “personalizzazione” delle aliquote e dei confini degli scaglioni in funzione del tipo di reddito e dei carichi famigliari. Ha però il pregio di evitare bruschi incrementi di imposta per effetto di piccoli incrementi di reddito, come invece accadeva con le precedenti detrazioni decrescenti “a scalini”.