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Perché aspettare fino al 2008?

Le simulazioni effettuate da  Tito Boeri e Agar Brugiavini indicano che una riforma delle pensioni più graduale, ma che partisse subito, sarebbe più equa e otterrebbe risparmi maggiori dell’ultima proposta governativa. Vincenzo Galasso si chiede perchè allora c’è questo rinvio: forse dipende dalla dislocazione territoriale delle pensioni di anzianità e del voto alla Lega, che si è battuta accanitamente per rinviare ogni intervento a dopo il 2008, e che sta chiedendo ulteriori ritocchi alla proposta forse per salvaguardare altre generazioni di lavoratori soprattutto in Lombardia.

Kyoto, l’importanza di guardare lontano

Nel dibattito sulle elezioni europee ci si deve occupare anche del rilancio della trattativa sul Protocollo di Kyoto dopo l’esito inferiore alle attese del Cop9. Su questi temi presentiamo un contributo di Marzio Galeotti e Alessandro Lanza e uno di Edoardo Croci.

Tonnellate, non soldi

Negli anni recenti, il tema dell’ambiente ci ha consegnato una serie di interrogativi spesso di non semplice risposta. A grandi linee, confluiscono in due nuclei principali: il primo è rappresentato da una riflessione generale su cosa sia, e da cosa dipenda, il nostro benessere. Il secondo concerne ciò che possiamo fare per vivere in un ambiente più sano. Possono essere visti come il polo positivo e il polo normativo della questione ambientale: l’essere e il dover essere.
Il primo tema, del quale qui ci occuperemo, suscita un riflessione critica sul concetto di prodotto interno lordo e, per tale ragione, potrebbe avere in futuro effetti notevoli sulle nostre vite.

Più Pil, più benessere?

Concepito quale strumento di misurazione della capacità produttiva del periodo bellico, il Pil è diventato negli anni una sorta di metro del benessere di una nazione: la sua crescita suscita plauso, la sua stagnazione genera preoccupazione. Ciò accade per diverse ragioni, anche condivisibili, tra le quali i riflessi sull’occupazione. Eppure, lo stesso Simon Kuznets, il suo principale ideatore, ha sottolineato più volte l’errore insito nella formula "più Pil = più benessere".

Poiché il Pil aumenta ogni volta che si verifica una transazione nell’economia, inevitabilmente la sua crescita tende a essere connessa a spese che, in alcuni casi, rappresentano un indizio di malessere più che di benessere, come quelle associate ad esempio, a disastri ecologici, alla lotta alla criminalità, ai divorzi. Spese sostenute per la bonifica di un oil spill, oppure per la cura di un tumore da inquinamento, pur facendo crescere il Pil, sono sintomi di un danno per l’ambiente e per l’uomo. Su questo fronte, anche per il più bravo degli avvocati difensori, è difficile soccorrere il Pil. Una crescita della spesa per il Prozac, pur stimolando il Pil, non implica una maggiore felicità.

L’impronta ecologica

Ora, a questa pars destruens si affianca una pars costruens, spesso trascurata dai detrattori del Pil. Esterna alla tradizione economica, abbiamo una classe di indicatori sintetici, di tipo fisico che, prescindendo dal Pil, cercano di misurare la qualità dell’ambiente o lo sforzo che a esso chiediamo.
Un esempio è rappresentato dal concetto di impronta ecologica ("ecological footprint") che misura l’incidenza esercitata da una certa popolazione sul territorio, in termini di ettari utilizzati per lo svolgimento delle sue attività.
L’impronta ecologica di un abitante medio degli Stati Uniti è di 10,3 ettari, mentre il territorio procapite disponibile è di 6,7 ettari, il che significa che la pressione sul territorio è eccessiva (+3.6). Analoghe situazioni riscontriamo in altri paesi: tra gli altri, Singapore (+7.1), Giappone (+3,4), Svizzera (+3,2), Germania (+3,4), Italia (+2,9).
Altro strumento interessante è il barometro della sostenibilità, che combina indicatori elementari in due dati sintetici: uno riferito agli esseri umani, un altro all’ecosistema.

Indici, ambiente e società

Una maggiore continuità caratterizza una classe di indicatori che, interna alla tradizione economica, cerca di superare il Pil a partire dal Pil. In termini generali, questi indicatori cercano di fornire informazioni, oltre che sulla sfera economica, anche su quella sociale e ambientale.
Nell’ambito dell’Unep (United Nations Development Program), ad esempio, troviamo un insieme di indicatori di grande interesse, il più noto dei quali è probabilmente l’indice di sviluppo umano (Human Development Index) che aggrega con peso identico, dopo opportuna elaborazione, tre variabili principali: il reddito pro-capite, la speranza di vita alla nascita, il tasso combinato di alfabetismo e scolarizzazione.
Ispirato dal Nobel Amartya Sen, l’Hdi ridimensiona il peso del Pil dando spazio ad altri elementi che influiscono sul benessere dell’uomo e che tentano di catturare, seppure sinteticamente, il ruolo svolto dalle libertà, così care a Sen. Nella sua visione, "lo sviluppo è libertà" di fare e di essere, e questo spiega l’inclusione della longevità e dell’istruzione nell’Hdi.

Un altro esempio è rappresentato dal Pil verde, che sottrae al prodotto interno lordo i danni ambientali.
Ma probabilmente, la formulazione più avanzata dello sforzo di superamento del Pil è il Genuine Progress Indicator (Gpi). Proposto da Redefining Progress, è un indice ottenuto attraverso alcune correzioni del Pil.

In particolare, il Gpi sottrae i costi sociali legati alla criminalità, ai divorzi, all’inquinamento e al deterioramento delle risorse naturali, e aggiunge al prodotto interno lordo il valore del lavoro svolto all’interno della famiglia e del volontariato. Inoltre, il Gpi prende in considerazione altri fattori, quali la distribuzione del reddito (maggiore l’equità, più alto è il Gpi), i servizi e i costi dei beni durevoli e delle infrastrutture, il capitale preso in prestito dall’estero, la disponibilità di tempo libero (maggiore il tempo libero, più alto è il Gpi).
Con tale procedimento, il Gpi si svincola dall’assunzione che a ogni transazione monetaria corrisponda un aumento del benessere. Un confronto tra Pil (Gdp) e Gpi procapite per gli Usa evidenzia una notevole distanza (vedi grafico).

 

 

È certamente auspicabile un superamento del Pil attraverso l’uso di un indicatore non esclusivamente incentrato sulle transazioni economiche, più democratico, che tenga conto di altri aspetti rilevanti nelle nostre vite.
Al di là dei notevoli problemi da superare, a cominciare dalla monetizzazione dei danni ambientali, rappresenterebbe una sorta di rivoluzione. La crescita del Pil sarebbe solo uno degli obiettivi a cui tendere e, nel farlo, occorrerebbe prestare attenzione anche all’ambito sociale e ambientale, e agli effetti che la crescita del Pil avrebbe sui di essi.
Le proposte sono numerose. Ora si tratta di compiere la seconda parte del cammino, dall’idea all’applicazione.
Ma questa, come noto, è la più ardua.

Per saperne di più

Sul Gpi, si veda il sito: http://www.rprogress.org/
Sen A., "Development as freedom", Anchor Books Editions, 2000.
Undp 2003, "Human Development Report 2003", scaricabile dal sito http://www.undp.org/hdr2003/
Wackernagel M. et al. 1997, "Ecological footprints of nations. How much nature do they use? How much nature do
they have?", in http://www.ecouncil.ac.cr/rio/focus/report/english/footprint/

Una strada ancora lunga

Il disegno di legge governativo sulla riforma delle autorità di vigilanza finanziaria è debole perché frutto di molte mediazioni tra posizioni diverse. Il principio della ripartizione per finalità è solo affermato, ma non realizzato fino in fondo. Sulla corporate governance non dice quasi nulla. Sanzioni e risarcimenti corrono sul filo del paradosso. Dovrà quindi essere il Parlamento a dare al provvedimento la necessaria razionalità e coerenza.

Un Pil a tonnellate

Meno ambiente vuol dire meno benessere. È utile modificare le statistiche sulla crescita in modo da comprendere gli effetti dei danni ambientali? E in ogni caso non sarebbe corretto sviluppare misure del benessere che tengano conto della qualità dell’ambiente? I contributi di Enzo Di Giulio e Giorgio Nebbia sul tema.

Molti rischi, poche tutele

Gli immigrati lavorano spesso in condizioni rischiose, insalubri e subtutelate. Anche perché l’Italia ha implicitamente adottato il modello dell’integrazione subalterna. La questione cruciale è l’accesso alla cittadinanza italiana. E passa anche attraverso il riconoscimento di una cittadinanza sociale, accanto a quella economica, ormai accettata almeno sotto forma di partecipazione ai livelli più bassi del mercato del lavoro. Opportunità di promozione devono essere garantite per chi ha titoli di studio e competenze professionali riconoscibili.

Anche Bush ha un piano

Un elaborato meccanismo per rendere regolari i lavoratori senza permesso di soggiorno già presenti negli Stati Uniti. E per assumere nuovi stranieri, contrastando allo stesso tempo l’immigrazione clandestina. Favorevoli gli imprenditori americani e la comunità ispanica, più cauti i sindacati. Non sono però chiari tempi e modi per un eventuale passaggio dal visto temporaneo alla green card. Anche perché la proposta è l’ennesimo tentativo di compromesso tra due estremi: nessuna frontiera, da una parte, nessun immigrato, dall’altra.

La grande Europa e l’immigrazione

Non è stato possibile trovare un accordo su politiche comuni sull’immigrazione da proporre ai nuovi paesi. Così a maggio non scatterà quella libera circolazione dei lavoratori che potrebbe garantire una crescita del Pil europeo. Gli studi empirici suggeriscono che i flussi saranno inferiori ai timori di molti. Per fugare molti di questi timori , sarebbe utile stabilire a livello di tutta la UE gli ingressi degli immigrati. Si eviterebbero così shock di offerta nei mercati del lavoro dei paesi di destinazione.

L’Italia tra il bastone e la carota

Se la cesura è la Legge Bossi-Fini, la continuità nella politica italiana verso l’immigrazione extracomunitaria è rappresentata dagli accordi di riammissione. Ma più che fermare i flussi di clandestini, gli accordi sembrano aver solo modificato le rotte. E la loro efficacia sarà messa ulteriormente alla prova dall’allargamento dell’Unione europea. Per contenere le pressioni migratorie dovute a crisi nei paesi d’origine è quindi preferibile ricorrere a piani di aiuti per stabilizzare quelle economie.

Dallo scalone alla scaletta

Per contribuire in modo costruttivo al dibattito sulla riforma previdenziale, abbiamo simulato gli effetti della riforma proposta del Governo. Si ottengono risparmi inferiori allo 0,7 per cento del Pil e rimane un forte inasprimento della normativa nel 2008. Non sarà più uno scalone, ma non è neanche uno scalino. Stravolta la filosofia responsabilizzante della riforma Dini: ci sarà molta meno libertà di scelta su quando andare in pensione.

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