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IL PROBLEMA NON È CHI STAMPA GLI EURO

Ha fatto discutere la proposta dell’ex presidente del Consiglio di far stampare euro dalla Zecca italiana. Ma la Banca d’Italia già stampa le banconote, secondo le richieste delle banche e senza vincoli imposti dalla Bce. Quello che le regole politiche della moneta unica escludono è che la Bce possa accreditare euro a uno stato membro. Il problema allora è come raggiungere un accordo politico per risolvere tre nodi, pur in assenza di un governo dell’Unione Europea: il sistema dei pagamenti, la solvibilità dei governi nazionali e il rilancio della domanda e quindi della crescita.

TERREMOTO. E AUMENTA IL CARBURANTE

Per raccogliere i primi 500 milioni da destinare quest’anno alle aree terremotate dell’Emilia il governo ha deciso un incremento dell’accisa sui carburanti, il quinto dal 2000 a oggi. Una scelta adeguata? Intanto, i conti potrebbero non tornare perché i consumi di benzina e gasolio saranno presumibilmente inferiori a quelli dallÂ’anno passato. E forse andrebbe evitato un intervento che tocchi anche il trasporto merci, per non creare inflazione da costi. Parte del carico avrebbe potuto gravare su altri tributi, come quelli su sigarette o lotterie.

UNA GRANDE DEPRESSIONE ITALIANA

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LA VIRTÙ SANITARIA

In un recente articolo su lavoce.info, Francesco Daveri argomenta come, con lÂ’introduzione dellÂ’euro, la spesa sanitaria sia cresciuta in modo sostenuto in tutti i paesi europei ad eccezione della Germania, vista un poÂ’ come il benchmark del virtuosismo. La scelta della spesa sanitaria non è casuale. Siccome, sostiene lÂ’autore, la spesa per la salute non è influenzata dalla crisi, la sua crescita vigorosa nei paesi in difficoltà sta lì a indicare che è lÂ’eccesso di spesa ad aver generato i conseguenti problemi del debito sovrano e non viceversa. Ne segue – sembrerebbe lasciato implicito nellÂ’articolo – che lÂ’uscita dalla crisi richiede di tagliare la spesa pubblica nei paesi in difficoltà, a partire da quella sanitaria, per poter ridurre le imposte e rilanciare così, via stimolo allÂ’offerta, la crescita europea.

SANITÀ, PRESUNTA COLPEVOLE

È la scelta della componente spesa sanitaria come principale colpevole dei problemi italiani a lasciar perplessi. Intendiamoci, che la spesa sanitaria italiana (come quella della maggior parte dei paesi, inclusa la Germania) sia piagata da inefficienze e sprechi è fuor di dubbio, ed è stato spesso messo in luce anche su queste colonne. Ma è il confronto adottato dall’autore ad apparire non molto significativo.
Intanto, c’è un problema di livello della spesa dietro i tassi di crescita: Daveri si concentra principalmente sul confronto dei tassi di crescita nominale della spesa, lasciando in secondo piano il livello di partenza. Se invece a questo si guarda, le conclusioni presentate nell’articolo cambiano radicalmente. Nel 1995 (primo anno disponibile per questi confronti) la spesa pubblica pro-capite per la salute era di 1.855 dollari (a parità di potere d’acquisto) in Germania contro i 1.088 dollari in Italia (World Health Organization, luglio 2011); nel 2008 (ultimo dato disponibile) i livelli erano, rispettivamente, 2.837 dollari in Germania e 2.187 dollari in Italia. La spesa pro-capite pubblica per la sanità è dunque consistentemente più elevata in Germania che in Italia. Al massimo, i dati sulla crescita mostrano un qualche processo di convergenza, probabilmente un frutto della diffusione delle tecnologie mediche tra i diversi paesi. Dalla figura 1 si nota come i paesi a più bassi livelli di spesa all’inizio del periodo sono anche quelli la cui spesa cresce maggiormente.
Naturalmente il confronto sul livello pro-capite è criticabile. Tutti, compresi i più poveri tra i poveri paesi del terzo mondo, vorrebbero una sanità di alto livello; il problema è se se la possono permettere. E se i tedeschi sono più ricchi degli italiani, avranno ben il diritto di spendere di più. Per affrontare il problema, guardiamo allora alla spesa sanitaria in rapporto al Pil. E qui c’è una sorpresa: il settore pubblico italiano spende in realtà meno di quello tedesco (e francese) per tutelare della salute dei propri cittadini: 7 punti di Pil contro gli 8 dei tedeschi (figura 2). Non solo, ma nel decidere dove tagliare, uno dovrebbe anche porsi la domanda dell’efficienza relativa della spesa. E qui c’è una seconda sorpresa; secondo la World Health Organization, l’Italia fa in realtà meglio della Germania, spende meno ma offre servizi sanitari migliori. Infine, un confronto sulla spesa sanitaria non è sensato se non si considera anche la componente della spesa privata per la salute. Potrebbe essere che spendiamo poco e facciamo meglio, perché in realtà ci paghiamo da soli i servizi, mentre in Germania è il settore pubblico a fare tutto il lavoro. Ma anche qui, terza sorpresa, le cose vanno esattamente all’opposto. Come mostra la figura 3, in Germania la spesa privata è cresciuta di mezzo punto di Pil tra il 1995 e il 2008, mentre in Italia è rimasta sostanzialmente invariata (e più bassa rispetto alla quota tedesca).

UN COMPITO PER LA SPENDING REVIEW

Conclusioni. Ha ben ragione Francesco Daveri a dire che la spesa sanitaria sul Pil è cresciuta in Italia più che in Germania. Ma questo dipende tanto dall’evoluzione del denominatore che del numeratore, ed è la crescita più bassa del primo in Italia a generare i nostri problemi attuali. Se la domanda è, poi, se ci possiamo permettere una spesa sanitaria così elevata, va notato che in rapporto al Pil è da noi più bassa, e in media più efficiente di quella di paesi comparabili. Dai dati riportati, appare comunque difficile sostenere che sia la spesa sanitaria la principale causa dei nostri guai e dunque quella su cui si dovrebbe intervenire in prima battuta.
Post scriptum
. A scanso di equivoci, i dati riportati nell’articolo riguardano l’efficienza e la spesa “media” delle regioni italiane. Il grande problema della sanità italiana è l’enorme scarto esistente in termini sia di spesa sia di qualità dei servizi tra le Regioni italiane, con quelle del Centro-Nord che fanno meglio di quelle meridionali. È su questo che la spending review dovrebbe davvero intervenire. Buon lavoro, qui sì, commissario Bondi.

LA RISPOSTA A GILBERTO TURATI E AI COMMENTI

La Germania non è necessariamente il benchmark del virtuosismo fiscale. Ma è certamente il paese che con la sua reputazione di rigore e anti-inflazione ha consentito che, nel contesto di abbondanza di credito dellÂ’epoca, lÂ’euro portasse ad una riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico di tutti in Europa, anche di quello italiano. Dato questo punto di partenza, si può capire che i tedeschi siano attenti a come sia stato usato questo bonus dai vari paesi. AllÂ’inizio gli era stato raccontato che gli “altri” paesi – quelli che avevano vissuto di svalutazioni – con lÂ’euro avrebbero fatto “le riforme” per guadagnare competitività. Invece, gli “altri” si sono consumati il bonus dellÂ’euro senza fare le riforme, mentre in Germania il cancelliere Schroeder le riforme le ha fatte (e la signora Merkel ne ha beneficiato). Per questo la Germania oggi è un benchmark.
Turati e vari lettori parlano di spesa sanitaria pro-capite e di come i livelli della spesa pro-capite siano più alti in Germania che altrove. Non sta scritto da nessuna parte che tutti i paesi debbano avere lo stesso livello di spesa sanitaria pro-capite: dipende dai gusti, dalle istituzioni e anche dalle possibilità dei vari paesi. Peraltro per il bilancio pubblico conta disgraziatamente la spesa totale, non quella pro-capite. E in questo periodo di tempo, in Germania, la spesa pubblica totale è aumentata molto meno che negli altri paesi europei. Ho scritto un precedente articolo sull’argomento. Lo si può interpretare come si vuole, ma è un dato. E’ anche per questo dato che in Italia da mesi si parla della “spending review”. A me pare ovvio che questa spending review debba portare ad una riduzione della spesa pubblica, non a qualche pudico eufemismo come “riqualificazione”, “redistribuzione” e simili.
Ci sono poi alcune voci della spesa che sono aumentate più di altre e che sono anche quantitativamente più importanti di altre. I dati Eurostat dicono che, “con l’euro” (dal 2001 al 2010), la spesa totale a prezzi correnti è aumentata del 30,6 per cento in Italia. Guardando alle varie voci di spesa, si vede che la voce di spesa aumentata di più rispetto al 2001 è quella per la difesa (+ 55 per cento; da 14 a 22 miliardi). Poi viene la spesa sanitaria con +50,6 per cento (da 72 a 118 miliardi). Poi vengono le spese sociali (+46 per cento, da 208 a 317 miliardi) il cui andamento ha certamente risentito degli aumenti di spesa semi-automatici indotti dalla crisi. Tutte le altre voci di spesa pubblica sono aumentate molto meno dell’incremento medio del 30,6 per cento.
La spesa sanitaria è dunque una delle voci che è aumentata di più in Italia, il che motiva lÂ’attenzione dedicata al tema da me e – leggo – dal governo. Ci sono varie ragioni per questo, da me sinteticamente elencate nel mio pezzo. Non siamo il paese in cui la spesa sanitaria è aumentata di più, ma anche da noi è aumentata molto più che in Germania. Inoltre, guardare allÂ’andamento della spesa sanitaria è un test utile perché la spesa sanitaria non dipende dal ciclo ed è potenzialmente soggetta a shock simili tra paesi. Vuol dire che la spesa sanitaria dovrebbe andare in modo relativamente simile tra paesi demograficamente, socialmente e tecnologicamente simili come i paesi europei. E invece i dati di spesa indicano differenze molto grandi, il che deve farci riflettere, a mio avviso.
Infine, una volta stabilito questo punto, non ne consegue che si debbano fare tagli lineari (anzi!); del resto, non ho scritto ciò né in questo né in articoli precedenti (anzi!). Occorre guardare dentro alle varie voci di spesa, compresa quella spesa sanitaria, delle varie regioni e dei vari enti pubblici, stabilire da dove vengono gli sprechi e le ruberie che – leggendo i giornali ancora prima delle statistiche – pare abbondino, al Nord e al Sud, per ridurre la spesa pubblica complessiva.

A CHI CONVIENE BARARE AI TEST INVALSI? *

Le prove Invalsi su base universale servono in primo luogo a dare a tutte le singole scuole uno specchio sulla propria specifica situazione. Ecco perché chi “imbroglia” fa del male innanzitutto a se stesso. Quest’anno l’Istituto non restituirà le prove nelle situazioni dove i dati non risultino affidabili e cercherà di migliorare la conduzione e i controlli sull’espletamento delle prove. Ma più che in un’attività di repressione, l’Invalsi si impegnerà a favorire una maggiore informazione e un più trasparente dibattito sul contenuto e sulle finalità del test.

PROFUMOLEAKS

A leggere le bozze trapelate, le proposte del ministro Profumo non sembrano in grado di affrontare le malattie croniche della scuola secondaria italiana. Per rimuovere gli ostacoli economici alla prosecuzione degli studi per gli studenti “capaci e meritevoli” servirebbero borse di studio adeguate, riservate a giovani di umili origini sociali, attribuite meritocraticamente e indipendentemente dal tipo di scuola secondaria frequentata. E bisognerebbe avventurarsi con più coraggio sul terreno delle quote riservate. Cambia ancora il reclutamento dei docenti universitari.

PERCHÉ GLI EUROBOND NON SONO LA SOLUZIONE

Lungi dal risolvere la crisi, l’emissione di eurobond con gli attuali assetti politico-istituzionali europei comporterebbe più danni che benefici, sia dal punto di vista del rafforzamento delle democrazie europee, sia da quello strettamente economico. Darebbero il pessimo segnale di premiare governi che non seguono politiche fiscali rigorose, ponendo le basi per una spirale debitoria fuori controllo in tutta l’area. Per essere efficaci richiederebbero un cambiamento nell’architettura istituzionale europea. E dunque i tempi lunghi dell’approvazione di un Trattato.

Chi paga l’uscita della Grecia dall’Euro

Un’uscita dall’Eurozona non comporta necessariamente il default della Grecia. Il ritorno alla dracma, seppure pesantemente svalutata, farebbe crescere le esportazioni e in una decina di anni il Pil greco tornerebbe ai valori attuali, rendendo così possibile la restituzione del debito estero. Soprattutto se questo fosse ricontrattato su scadenze più lunghe e a un tasso dell’1,5 per cento. La Germania alla fine non registrerebbe alcuna perdita. Mentre i paesi più deboli dell’area subirebbero il doppio colpo dell’effetto contagio e dei più alti costi di rifinanziamento.

 

CALA ANCORA L’OCCUPAZIONE DIPENDENTE

I dati del primo trimestre 2012 rimandano un quadro molto negativo per l’occupazione. Il riacutizzarsi delle perdite di posti di lavoro iniziato nell’estate 2011 è proseguito anche nei mesi successivi. Le assunzioni sono scese del 3,2 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I licenziamenti collettivi rimangono sui livelli consueti, ma quelli individuali nelle piccole imprese tornano in forte crescita. In diminuzione del 4 per cento anche i contratti di lavoro parasubordinato. Forse è tempo di pensare a politiche del lavoro eccezionali.

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