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Il decreto “cresci Italia” doveva essere rafforzato nel passaggio parlamentare, estendendo e approfondendo le liberalizzazioni in modo da irrobustire gli effetti di sinergia tra le varie misure e dare così un contributo sostanziale alla crescita dell’Italia. Stabilendo tempi brevi per la separazione fra Eni e Snam, cambiando la governance degli ordini professionali (separando il sindacato degli iscritti dalla tutela dei consumatori), intervenendo con più decisione su ferrovie, porti e aeroporti, nonché sulle banche e le assicurazioni con stimoli alla concorrenza anziché interventi dirigistici (come il divieto della discriminazione di prezzo o i conti correnti gratuiti per i pensionati). Ancora, bisognava togliere l’esclusiva alle farmacie nella vendita dei farmaci tipo C e abolire del tutto i vincoli al numero di farmacie e di notai. Ma forse era difficile aspettarsi che un parlamento con 341 fra avvocati, medici, ingegneri, commercialisti, architetti, notai, giornalisti e farmacisti (più di un terzo del numero totale di deputati e senatori) avrebbe liberalizzato di più del decreto.
C’è stata invece la diluizione del provvedimento: a leggere il testo del Maxi-emendamento presentato ieri e su cui il governo chiederà la fiducia al Senato, la X Commissione ha imposto alcune marce indietro significative. Il fatto più grave è la data fissata per la separazione fra Eni e Snam: settembre 2013, quando questo Governo non ci sarà più. Sappiamo bene che i provvedimenti lasciati a metà fra due legislature finiscono quasi sempre nel nulla. Perché non fissare allora come data limite il marzo 2013 che avrebbe comunque dato tempo sufficiente per completare l’operazione? Le altre diluizioni sono meno gravi. È stato varato l’incremento nel numero di farmacie ma in misura minore di quanto previsto dal decreto originario del governo, tolto l’obbligo di preventivo per gli avvocati e lasciato che siano i Comuni a decidere sul numero di licenze di taxi (previo parere, non vincolante, della nuova Autorità dei trasporti).  Sulle banche si rafforza ancora di più il dirigismo, abolendo qualsiasi commissione per la pratica del credito. La ratio è che, dato che ci sono tetti sui tassi di interesse, si vuole evitare che le banche per rifarsi aumentino le commissioni. Ma in questo modo si rischia solo di restringere ancora di più l’accesso al credito in un momento in cui il credit squeeze è marcato. Siamo all’antitesi delle liberalizzazioni. Di questo passo dovremmo tornare alle Bin, banche di interesse nazionale. La vera novità positiva è la decisione di istituire subito l’Autorità sui Trasporti (non rinviando a un futuro disegno di legge) e anzi di renderla operativa in breve tempo. Da essa ci si attende una regolazione più razionale e nuova propulsione alla concorrenza in un settore che ne ha molto bisogno.
Nonostante le buone intenzioni, l’introduzione di una Tobin Tax a livello europeo secondo la proposta avanzata dalla Commissione Europea non è auspicabile, sia per i suoi obiettivi sia per i problemi economici e legali che comporterebbe. La soluzione finale potrebbe essere un compromesso politico con l’introduzione di un’imposta di bollo aggiuntiva su azioni e obbligazioni in alcune nazioni come Francia, Germania e Italia. Certo, è un’ipotesi che finirebbe per non accontentare né i fautori né i detrattori della tassa sulle transazioni finanziarie.
Si sapeva che il decreto privatizzazioni avrebbe portato tensioni con le parti in causa. Era da mettere in conto che le categorie più protette, dai tassisti ai farmacisti passando per gli avvocati avrebbero protestato, anche in forme molto aspre. Ma che lÂ’’Associazione bancaria italiana arrivasse al gesto plateale delle dimissioni in massa dellÂ’’organo di vertice per protesta contro le misure prese da un governo che comprende colui che è stato fino ad ieri amministratore delegato della più grande banca italiana, sfiora il sublime del surreale, degno delle migliori commedie di Ionesco. Il problema non è tanto lÂ’’oggetto del contendere, quello delle misure in materia di commissioni bancarie, quanto nella guerra di religione che è stata scatenata. In gioco ci sarebbe la libertà di impresa, il posto di lavoro di 300 mila bancari (apprendiamo che tutti si occupano solo di commissioni) e  via elencando in un mulinare di draghinasse. Il fatto è che questa presidenza dell’Â’Abi, in netta discontinuità con tutte quelle precedenti, ha scelto fin da subito la linea dello scontro frontale. Nei mesi passati, la parte del cattivo è stata assegnata alle autorità di vigilanza che chiedevano alle banche di aumentare il capitale e poiché con la Banca d’Â’Italia non ci si può mettere in urto, non è sembrato vero sferrare attacchi feroci contro quella europea, l’Â’Eba, colpevole di aver seguito le indicazioni del Consiglio europeo e di aver condotto un nuovo stress test che ha messo in evidenza un deficit di capitale per 119 miliardi complessivi. Si badi che solo due mesi prima il Fondo monetario internazionale aveva detto che il fabbisogno di capitale delle banche europee era di 200 miliardi. Ma la tesi secondo cui le banche stanno benissimo, sprizzano dalla voglia di concedere prestiti alle imprese, ma non possono farlo solo per lÂ’’ottusità di un regolatore europeo, era troppo facile da cavalcare ed è stata anche amorevolmente assecondata da una parte non piccola della stampa.
Una strategia, al di là di ogni giudizio sullo stile, che non porta lontano, anche perché lÂ’’ultima clamorosa decisione mette in evidenza un dilemma drammatico. Delle due l’Â’una: o le banche si rifiutano di fare la loro parte, nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti. Oppure sono in condizioni così fragili che non si possono permettere il lusso di un ritocco, piccolo o grande che sia, ai loro ricavi. In ogni caso, sarà bene che qualcuno si affretti ad accettare le dimissioni.
Il 1º settembre 2010, l’Unione Europea ha introdotto la regolamentazione sulle agenzie di rating, contenente una serie di disposizioni per disciplinare l’integrità e la trasparenza del processo di rating, e attribuito allÂ’Emsa ampi poteri di ispezione delle agenzie registrate e di comminazione di pesanti sanzioni in caso di violazione.
Tuttavia, alcune delle nuove proposte della Commissione recentemente presentate non solo sortirebbero l’effetto opposto allÂ’obiettivo dichiarato di trasparenza, integrità e maggiore concorrenza, ma avrebbero anche conseguenze deleterie per gli investitori e i mercati dei capitali europei.
Si tratta infatti di proposte non in linea con la regolamentazione sul rating in vigore fuori dall’Unione Europea, che rischiano di danneggiare il processo di valutazione, di pricing e di allocazione del capitale di debito degli emittenti europei. La conseguenza ultima sarebbe un isolamento di fatto del mercato dei capitali europeo, e dunque una forte penalizzazione delle società dellÂ’area.
GLI EFFETTI INDESIDERATI
In particolare, quattro delle misure proposte generano effetti controproducenti:
Rotazione obbligatoria delle agenzie di rating: ogni tre anni gli emittenti societari (sono esclusi i paesi sovrani) dovranno sostituire le agenzie di rating in base a una regola di rotazione. Gli emittenti frequenti dovranno provvedere in tal senso ogni dodici mesi. Laddove un emittente abbia due o più rating, dovrà rinunciare a uno di essi dopo tre anni e potrà quindi affidare l’incarico a un’altra agenzia per un ulteriore triennio. LÂ’obbligo di rotazione comprometterebbe la qualità dei rating, dato che ogni agenzia dovrebbe solo aspettare che arrivi il suo turno, e soprattutto la stabilità dei rating, che cambierebbero ogni qual volta cambia lÂ’agenzia per effetto dellÂ’applicazione di criteri differenti. Tutto ciò con ovvie conseguenze sulla capacità per le società europee di accedere ai mercati globali dei capitali.
Nuova norma discriminatoria in materia di responsabilità civile: l’istituzione di tale norma per le agenzie di rating registrate in Europa, le incoraggerebbe a evitare di assegnare rating a emittenti relativamente rischiosi (ad esempio, società più piccole) e le renderebbe una “polizza di assicurazione” per gli investitori, incentivati a fare un affidamento eccessivo sugli stessi rating. Questo sarebbe in aperta contrapposizione con l’obiettivo, dichiarato dalla Commissione, di incoraggiare gli investitori a condurre una propria analisi e a far minor affidamento sul rating.
Intervento regolamentare sui rating: lÂ’approvazione regolamentare delle modifiche proposte ai criteri o metodologie e la standardizzazione delle scale e definizioni di rating danneggerebbero l’indipendenza e la qualità dei rating europei. Le metodologie e i criteri adottati da ogni singola agenzia riflettono infatti una visione e un’esperienza esclusiva sulle modalità di valutazione del merito di credito .
Restrizioni in materia di azionariato: il divieto per le agenzie, che hanno in comune azionisti con il 5 per cento o più del capitale, di svolgere attività di rating, può causare importanti interruzioni nella copertura di rating ed esacerbare l’incertezza del mercato. Molte agenzie di rating sono partecipate da entità quotate e non possono decidere chi acquista o vende il relativo capitale. I loro portafogli di investimento, inoltre, possono variare da un giorno all’altro in misura significativa, in un modo impossibile da prevedere e senza che le agenzie di rating ne siano a conoscenza.
COSA FARE
DÂ’altra parte, una serie di altre misure proposte dalla Commissione e alle quali siamo favorevoli, potrebbero contribuire a stabilizzare i mercati dei capitali europei. Tra tali misure figurano:
Riduzione dell’eccessiva dipendenza e dell’automatismo dei rating, eliminando dalle regolamentazioni UE – come Basilea 2 e 3 – l’obbligo di utilizzare i rating (ove tale obbligo potrebbe indurre a riporre sui rating un affidamento di tipo meccanico) e imponendo agli investitori di procedere a una propria analisi del rischio di credito piuttosto che basarsi esclusivamente sui rating.
Rafforzamento della trasparenza: comunicazione di tutti i rating pubblici, ivi compresi gli outlook, su base non selettiva e obbligo per le agenzie di rating di fornire informazioni pubbliche sulle metodologie, i modelli e le principali ipotesi utilizzate.
Rafforzamento dell’integrità : ulteriori garanzie a tutela dell’indipendenza dei rating, come il disallineamento tra retribuzione degli analisti e fatturato derivante dalle attività di rating di cui gli stessi si occupano.
Valorizzazione della performance: maggiore diffusione pubblica della performance dei rating attraverso un registro centrale, gestito dall’Esma, contenente i dati relativi all’incidenza delle insolvenze e alle modifiche dei rating a vari livelli di rating.
Le conseguenze indesiderate di alcune proposte della Commissione per gli emittenti, gli investitori e l’intera economia europea sono potenzialmente gravi. Prima di attuarle, è importante valutarne compiutamente il probabile impatto ed esaminare l’attuale sistema di supervisione in essere nell’Unione Europea, che si occupa direttamente di indicare alle agenzie di rating registrate le modalità da utilizzare per migliorare l’indipendenza, la qualità e la trasparenza dei relativi rating.
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* Maria Pierdicchi è managing director, responsabile Sud-Europa, di Standard and Poor’s
Il 29 febbraio la Bce presta 530 miliardi per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita in dicembre. Soldi che serviranno a finanziare le imprese e le famiglie? L’esperienza del prestito precedente fa pensare di no. Quell’operazione è servita a sostenere la domanda di titoli di Stato. Se la Bce assumesse il ruolo di prestatore di ultima istanza, favorirebbe la ripresa della raccolta bancaria tramite i canali normali. Ora, al contrario, l’economia continua a subire una pesante stretta del credito, che finirà per aggravare la recessione in atto.
La selezione dei ricercatori e degli scienziati più capaci ed eccellenti rappresenta uno dei meccanismi più importanti per far progredire la ricerca scientifica. In Italia i concorsi universitari sono stati frequentemente oggetto di forti critiche sia per le modalità di selezione delle commissioni che per non aver scelto candidati eccellenti con  criteri di merito condivisi dalla comunità scientifica.
Esiste a nostro avviso un altro aspetto, sconosciuto a gran parte del pubblico, ma estremamente rilevante nel determinare se un concorso va a buon fine o meno: il  funzionamento delle “procedure concorsuali”.
Il comune di Torino ha iniziato l’iter per la cessione del 40 per cento di alcune delle sue aziende partecipate, con un possibile incasso futuro stimato attorno ai 200 milioni di euro. È un’operazione che coinvolge più attori: fondazioni bancarie locali, altri potenziali acquirenti e utenti, che non sono solo i torinesi. Il boccone più ambito è Trm, la società per il trattamento dei rifiuti. In futuro, dunque, il comune di Torino sposterà una parte del proprio ruolo virtuale di regolatore a una holding. Ed è a questa e alla qualità del suo apparato che i cittadini dovranno guardare.
I limiti della regolamentazione finanziaria emersi nella crisi globale hanno riacceso il dibattito su quale sia il modo più efficace per regolamentare le banche. Ma è ragionevole continuare con un’architettura proporzionata ai rischi assunti dalle banche? Bisogna concentrarsi su quattro aspetti: tenere distinto il rischio di credito da quello di liquidità ; non sottovalutare la dimensione temporale degli eventi; considerare il ruolo dell’arbitraggio regolamentare e il valore informativo della regolamentazione. Oltre alla capacità di imporne il rispetto.
Il giudizio più importante sull’operato del governo Monti nei suoi primi cento giorni è quello dei mercati. E ci dice che lo spread tra Italia e Germania sui titoli decennali è sceso del 30 per cento mentre si è dimezzato quello fra Italia e Spagna. Ora l’azione deve passare dalla gestione dell’emergenza alle scelte davvero importanti che rilancino la crescita economica del nostro paese. A partire dai due terreni sin qui prescelti: mercato del lavoro e liberalizzazioni. Con riforme che eliminino la dualità del primo ed estendano le seconde ad altri comparti, come banche e assicurazioni.
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