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PESARE IL VALORE DELLA LAUREA

La laurea è necessaria per affrontare l’esame di Stato per le professioni superiori e per accedere a numerosi concorsi nel settore pubblico. Non è necessaria nell’impresa e nella gran parte dei lavori autonomi, dove vale solo come presunta attestazione di capacità che deve però trovare conferma nei fatti; e dove comunque la presunzione di capacità è già ora legata alla fama dell’ateneo che ha rilasciato il titolo. Il problema di abolire il valore legale della laurea (come si dice impropriamente, per significare che non sarebbe più requisito necessario) si pone quindi in un ambito occupazionale ristretto e tuttavia importante.

UNA LAUREA PER LA CARRIERA

Nelle professioni domina l’asimmetria informativa: il cliente tipico non sa nulla, e sarebbe socialmente costoso fargli fare prove ripetute sulla sua pelle per individuare il professionista competente. La laurea lo rassicura sulla preparazione di base del professionista , salvo poi cercare il più bravo. Ma non basta per questo l’esame di Stato? Attualmente, no. È configurato come complemento alla laurea e si concentra sulle applicazioni professionali. Se dovesse accertare anche la formazione di base, dovrebbe diventare molto più lungo, articolato, costoso. Non so se qualcuno abbia approfondito, a livello di congettura, il confronto tra il doppio filtro attuale e un ipotetico unico filtro rappresentato da un più corposo esame di Stato. Sono istintivamente per il doppio filtro, come forma di cautela. Perché, come esistono università e quindi lauree di diversa qualità, esistono anche esami di Stato di diversa qualità. Lo sa bene l’ex ministro Mariastella Gelmini, diventata avvocato in Calabria e non in Lombardia.
Attenzione anche per il settore pubblico, nei cui confronti è quasi unanime il coro abolizionista. Francesco Giavazzi l’ha detta brutalmente: basta con le schiere di impiegati pubblici che cercano la laurea facile, talora con lo sconto in forza di convenzioni, solo per fare un passo avanti nella carriera. Non è un quadro esaltante, d’accordo. Ma siamo sicuri che ci possiamo concedere il lusso di togliere qualsiasi riferimento esterno – una laurea facile implica pur sempre uno sforzo e un merito, oggettivamente accertati – per fare largo a promozioni per solo merito interno? Nell’impresa privata, è la disciplina del profitto che assicura, in termini ragionevoli, il premio al merito: il capoufficio che promuove sa che anche lui è soggetto a giudizio e sa che il suo lavoro e il suo compenso dipendono dagli utili dell’azienda. Ma l’esaminatore pubblico è spesso non premiabile e non punibile. Logico che sia tentato allora di usare la sua discrezionalità per premiare il candidato più amico o più raccomandato o più generoso, anziché il più bravo. Ricordiamoci sempre il problema del controllo sui controllori, perché l’Italia è messa male nella graduatoria internazionale dell’efficienza della pubblica amministrazione, ma è messa ancora peggio in quella della corruzione.

IL PESO DEL TITOLO

Ma la finzione di lauree di ugual valore quando sono in realtà ben diverse, non è un insulto alla correttezza e al merito e non è un danno per il paese? Certamente sì; e quindi bisogna cambiare. Ma nell’unico modo ragionevole,ossia: mantenere il valore legale e però pesare il titolo e la votazione di laurea in relazione all’ateneo di provenienza (meglio, in relazione alla qualità, comparata in ambito nazionale, del corso di laurea di provenienza, dato che essa non è uniforme per tutti i corsi del medesimo ateneo).
Il problema è: chi dà il peso? Valutazioni di mercato (Censis-Repubblica, Sole-24Ore, eccetera) già esistono, ma sono spesso divergenti. E le valutazioni pubbliche sulla didattica elaborate nel recente passato dal Cnvsu, Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, sono state accusate da più parti di penalizzare il rigore. Non convince neppure chi sostiene che non è necessaria una valutazione esterna, con i tempi e costi e sospetti che comporta, bastando sfruttare il fatto che l’ateneo facile è più generoso nei voti: basta pertanto correlare il peso del voto di laurea allo scarto che tale voto presenta rispetto alla media dei voti di laurea nel corso di studio di provenienza del candidato. Proposta interessante, in mancanza di meglio; ma anch’essa resa debole in prospettiva dalle reazioni opportunistiche dell’ateneo facile, che tenderà ad adottare la stessa distribuzione dei voti dell’ateneo difficile, abbassando però sistematicamente il livello quanti-qualitativo degli esami e quindi largheggiando in promozioni. (1)
In conclusione, appare inevitabile una nuova valutazione pubblica ufficiale e largamente condivisa. Non può che provenire dalla neonata Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca, che va messa in grado di operare presto e bene. D’accordo, quindi, sulla direzione di marcia, ma attenzione a non sbagliare per impazienza; anche perché l’equità impone che il sistema di pesi, oltre a non essere retroattivo, aspetti l’attuazione di un vasto programma di borse di studio potenziate ed erogate a livello nazionale, capace di consentire ai meritevoli di scegliere davvero l’ateneo preferito.

(1) Modello grossolano, giusto per chiarire: un insieme di studenti, disposti in ordine crescente di bravura, che si suddivide tra due atenei; la metà superiore va nell’ateneo difficile; la metà inferiore, che sarebbe bocciata nel primo, va nel secondo ateneo, dove passa con la stessa distribuzione di voti ravvisabile nel primo. Il metodo proposto non sarebbe in grado di premiare e punire.

LA CAPORETTO DELLA CRESCITA E I DUE MARIO SUL PIAVE

Le stime preliminari della crescita del Pil del quarto trimestre certificano che l’economia europea è probabilmente entrata in recessione nel quarto trimestre 2011. Di sicuro, lo sono già Italia, Spagna, Portogallo e Grecia insieme a Belgio e Olanda. Il governo Monti è intervenuto con dure misure che forse hanno in parte contribuito nel brevissimo termine a peggiorare la recessione, ma raddrizzano una situazione che avrebbe portato al default. Ed è più chiaro perché Mario Draghi abbia inondato di liquidità i mercati monetari e finanziari europei prima di Natale.

PIANO CASA 2, UN FLOP ANNUNCIATO

Per rilanciare l’economia, ecco un nuovo piano casa. Prevede la riduzione dei tempi del silenzio-assenso, l’estensione della segnalazione certificata di inizio attività e un premio di volumetria. Sarà probabilmente un fallimento come quello del 2009. Perché come allora si parte da un’errata valutazione delle difficoltà del mercato. Fermo non per le lungaggini burocratiche, ma perché il reddito delle famiglie è diminuito ed è più difficile ottenere crediti. Né basterà la capacità edificatoria gratuita a convincere un imprenditore a demolire e ricostruire un immobile.

UN TRENO PER L’AEROPORTO

La vicenda del “people mover” tra l’aeroporto e la stazione centrale di Bologna ha ormai assunto tratti paradossali. Si tratta infatti di un progetto destinato fin dall’inizio al fallimento. Non tiene conto del fatto che l’area di influenza di un aeroporto non è solo la città di riferimento. D’altra parte la società di gestione sembra più interessata ai parcheggi e ad eventuali centri commerciali. Per il piccolo aeroporto bolognese basterebbe una ferrovia, collegata alla linea Milano-Bologna, che entri all’interno dell’aerostazione.

PERCHÉ LA GRECIA È UNICA

La Grecia è davvero unica: per la lenta crescita pre-euro, per l’accelerazione drogata prima della crisi e per l’entità del declino post-crisi. Un’uscita dall’euro porterà nel migliore dei casi al ritorno alla crescita precedente al 1997. Se invece il paese intraprende le riforme a lungo rinviate potrà sperare in una vera modernizzazione dell’economia. A patto che l’Europa riconosca che, oltre al taglio dei salari, occorre anche migliorare le infrastrutture materiali e umane con il contributo fondamentale di aiuti europei e di una cancellazione parziale del debito.

LA RISPOSTA AL GRANDE FREDDO? LO STOCCAGGIO

L’emergenza gas ha riportato l’attenzione sulla cronica carenza di infrastrutture di approvvigionamento del nostro paese. In particolare, mancherebbero i rigassificatori. Ma parlare di offerta trascurando le cause determinati della domanda non è il migliore degli approcci. La sicurezza del sistema non dipende solo dalla certezza delle forniture. Un fattore cruciale è la capacità di stoccaggio. E infatti già da molto tempo, l’uomo ha imparato a dotarsi di scorte per far fronte a periodi difficili. Generalmente, l’inverno.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Sul ruolo dei patronati e dei medici di famiglia: entrambi erogano servizi fondamentali per conto dell’amministrazione e vanno sottolineati l’importanza e il valore di questi soggetti in funzione di tutela dei diritti. Ciononostante, in ragione della loro prossimità all’utenza che si “affaccia” alla procedura dell’invalidità e del ruolo specifico che rivestono nella fase iniziale (i patronati in realtà nell’intera procedura) c’è da chiedersi se la regolamentazione dei loro ruoli presenti incentivi/disincentivi nel conformare i rispettivi comportamenti. L’ipotesi che presento è che la regolamentazione e il finanziamento attuale spinga verso un surplus di domande.

Per fare questo ho utilizzato i numeri offerti da INPS, che attualmente consentono di analizzare esclusivamente il rapporto tra domande e benefici economici. Ha ragione Pancaldi a sottolineare che esistono anche benefici in kind connessi al riconoscimento dell’invalidità, ma in relazione a questi non è possibile disporre di dati che consentano una integrazione dell’analisi (mentre sarebbe molto utile disporne, non ne dubito).

Devo invece ribattere l’intervento firmato da luis che parla di affari torbidi. Si tratta di un giudizio e di una terminologia che non può essere utilizzata. L’attività dei patronati è regolarmente monitorata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in base allo stesso regolamento citato in nota nell’articolo e il loro finanziamento (complessivo) non ammonta certamente a miliardi. Nel 2011 l’aliquota del finanziamento è stata ridotta per un taglio totale di circa 87 milioni, mentre nell’anno precedente il finanziamento complessivo ammonta a circa 400 milioni.

Tornando ai dati, certamente sarebbe interessante poter disporre di informazioni più dettagliate sull’attività dei patronati e, a maggior ragione, di informazioni qualitativamente più complete sulle domande di prestazioni presentate all’INPS, sugli esiti degli accertamenti (tutti, non solo quelli che danno diritto ad un assegno) e sull’erogazione della stessa. Occorrerebbe, in altri termini, un passo nella direzione dell’open data. Il dibattito sul punto si allarga anche in Italia ma rimane troppa strada da compiere, come dimostra anche questo caso in discussione.

FIAT: ALLEATO CERCASI

Il mercato dell’auto in Europa continua a registrare risultati negativi e le prospettive per il 2012 non sono rosee. Per Fiat è prioritario riacquistare competitività nel Vecchio Continente che rappresenta ancora più del 27 per cento delle sue vendite, addirittura il 52 per cento se si esclude l’apporto di Chrysler. Alla casa torinese serve un partner le permetta di superare la soglia dei 6 milioni di veicoli prodotti. Psa e Suzuki sembrano corrispondere all’identikit dell’alleato ottimale. Con gli asiatici in vantaggio perché sui francesi pesano difficoltà di ordine politico.

Il salario minimo nella Grecia in crisi

La Grecia ha certamente un problema di competitività. Sindacati e partiti di centrosinistra dovrebbero perciò accettare una riduzione del salario minimo, ma inferiore al 22 per cento richiesto dalla troika. In cambio dovrebbero pretendere da governo e imprenditori l’impegno a introdurre ammortizzatori sociali per le famiglie di disoccupati e lavoratori poveri. Il ripristino della legalità ovunque, senza lavoratori in nero. La riduzione immediata dei prezzi da parte delle imprese. E un aumento graduale del salario minimo nel futuro prossimo, man mano che l’economia cresce.

QUEL DOPPIO TURNO CHE MIGLIORA LA VITA *

In tempo di governo dei tecnici, i partiti tornano a discutere di riforma del sistema elettorale, spesso mescolando considerazioni sulla bontà di ciascuna particolare formula con calcoli di convenienza. Un’analisi svolta di recente sui comuni italiani mostra però che il sistema a doppio turno comporta una serie di vantaggi rispetto al turno unico. Ad esempio, favorisce la partecipazione elettorale, la rappresentatività negli organismi elettivi, la qualità della compagine di governo, la qualità delle politiche poste in atto.

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