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LA RISPOSTA DEGLI AUTORI A ” MA TRIESTE NON È BOLZANO

Il nostro intervento “Quelle Regioni ancora più speciali” ha suscitato non poche reazioni da parte dei lettori de lavoce.info, a conferma che il tema è attuale e rilevante, anche se non sempre riceve la dovuta attenzione da parte della politica e dei mass media.

Oltre a ringraziare per i molti commenti postivi, tentiamo di rispondere alle poche (ma autorevoli) critiche che abbiamo ricevuto.
Nella conclusione del loro intervento “Ma Trieste non è Bolzano”, Clara Busana e Antonio Salera affermano testualmente che “L’atteggiamento conservatore della Regione Fvg nei confronti della riforma del federalismo fiscale ci sembra quindi motivato (anche se probabilmente non giustificato) non tanto dal timore di vedersi valutare, quanto di vedersi “trascinare” in un sistema complessivamente meno efficace ed efficiente”.
Siamo perfettamente d’accordo. La nostra tesi è appunto che la riforma del federalismo fiscale avrebbe potuto essere l’occasione per rendere quel “sistema” più efficace ed efficiente, così da poterlo estendere progressivamente anche alle RSS in modo tale da eliminare (o almeno attenuare) situazioni di “privilegio” dai più considerate come anacronistiche e che ingenerano veri e propri fenomeni di concorrenza sleale a danno delle RSO (da questo punto di vista, i tentativi, finora in gran parte falliti, di migrazione di Comuni da queste ultime alle Rss sono emblematici).
Non condivisibile ci pare invece l’affermazione secondo cui “la bilateralità degli accordi è di per sé uno strumento corretto proprio perché le Rss sono tra di loro molto diverse sia nel grado di autonomia fiscale originariamente concesso, sia ovviamente nella loro traiettoria di sviluppo”.

In generale, procedere mediante accordi one to one rischia di segmentare ulteriormente la platea degli enti sub-statali, senza sostanziali guadagni in termini di efficacia ed efficienza per il “sistema” nel suo complesso. Nel nostro intervento non ci sono affatto “specifiche attribuzioni di responsabilità attribuite alla Regione Friuli Venezia Giulia”, ma è un fatto (confermato dalle stesse fonti citate da Busana e Salieri) che il FVG sia più ricco della media nazionale e soprattutto delle Rss del Sud, che è esattamente quanto noi abbiamo affermato.
Nello specifico, parlare di “autonomia fiscale” con riferimento a regimi che si reggono su meccanismi di compartecipazione ci pare improprio.
Non crediamo, pertanto che la soluzione corretta sia quella (suggerita da Magotti e ripresa da altri lettori) di parificare le Rso alle Rss, perché le attuali regole di finanziamento di queste ultime non sono del tutto coerenti con quel principio di responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche che dovrebbe ispirare qualsiasi modello federale in ossequio al principio no taxation without representation.
Del resto, è universalmente riconosciuto che la generalizzazione del modello finanziario delle Rss sarebbe finanziariamente insostenibile per lo Stato centrale, che perderebbe il controllo di gran parte delle proprie attuali entrate tributarie. In un simile scenario, come minimo, si dovrebbe aprire una discussione su come ripartire fra i diversi territori lo stock di debito pubblico attualmente in capo allo Stato.
Forse è vero che “attribuire alle Rss forme di egoismo à la Scrooge non aiuta ad individuare un percorso di convergenza” con le RSO, ma è un fatto che il disegno federalista è stato costruito a compartimenti stagni anche su pressione dei rappresentanti della lobby delle autonomie speciali.

Per questo non possiamo che concordare con Busana e Salera sul fatto che “lasciar fuori le Rss dalla riforma sia una pessima idea” ed “un grave segnale di debolezza da parte del governo”.
In questi giorni si stanno valutando interventi correttivi ai provvedimenti attuativi della legge n. 42/2009. Sarebbe una bella notizia apprendere che fra i punti all’ordine del giorno vi sia anche quello di una maggiore, progressiva armonizzazione fra Rss e Rso.
Ciò gioverebbe anche alle stesse Rss, che potrebbe contribuire alla razionalizzazione di un “sistema” (giuridico ed economico) di cui, volenti o nolenti, fanno e continueranno a fare parte.

NON TUTTI I DEFAULT SONO UGUALI

È sbagliato mettere sullo stesso piano i rischi di una crisi del debito per l’Italia e il probabile sforamento del tetto del debito pubblico negli Stati Uniti. La nostra è una crisi reale, quello americano è un problema legal-contabile, risolvibile con escamotage temporanei. E infatti il tasso d’interesse a cui una banca americana può chiedere soldi in prestito non è aumentato negli ultimi giorni. Se ne parla tanto perché la spesa pubblica sarà un tema cruciale delle prossime elezioni presidenziali Usa.

UN TICKET CHE PORTA ALLA SANITÀ PRIVATA

Il ticket di 10 euro previsto dalla manovra altera i prezzi relativi fra strutture sanitarie pubbliche e strutture private: per un gran numero di accertamenti a basso costo il ricorso al servizio pubblico si rivela più costoso. Difficile dunque raggiungere l’obiettivo di aumento delle entrate, sul quale punta la manovra. Intanto, però, si consegna al privato una parte della specialistica ambulatoriale sulla quale si concentrano molte delle aspettative dei produttori del settore e dei gestori di fondi integrativi. 

MA TRIESTE NON È BOLZANO

L’attuazione del federalismo fiscale comporta nuovi accordi bilaterali tra le Regioni a statuto speciale e lo Stato in materia finanziaria. Si tratta di uno strumento corretto perché le Rss sono tra di loro molto diverse per ricchezza e sviluppo, ma anche nel grado di autonomia fiscale originariamente concesso. Ad esempio, l’atteggiamento conservatore della Regione Friuli Venezia Giulia nei confronti della riforma sembra motivato più che dal timore di una valutazione, da quello di vedersi trascinare in un sistema complessivamente meno efficace ed efficiente.

NEL PARLAMENTO ITALIANO I PIÙ PAGATI D’EUROPA

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I NUOVI NUMERI DELLA MANOVRA

La manovra è stata potenziata sul piano numerico, non su quello dell’efficacia. A regime gli aumenti delle tasse contano per il 60 per cento dell’aggiustamento e sono regressivi. Questo potrebbe accentuare gli effetti recessivi della manovra riducendone l’impatto sui conti pubblici. Legittimo interrogarsi sulla fattibilità politica di questi inasprimenti fiscali che andranno a colpire soprattutto i ceti più deboli mentre i parlamentari si sono concessi un nuovo sconto nei tagli ai loro compensi. Le stesse coperture dei tagli a Regioni ed Enti Locali sono discutibili. Continuano a non esserci misure per lo sviluppo.

L’EGOISMO DEI POLITICI

I politici italiani sono riusciti ancora una volta a evitare una riduzione di stipendio, pur nel momento in cui approvavano una manovra con pesanti effetti sui cittadini. Non è che l’ultimo esempio della scarsa qualità della nostra classe politica. In un paese a democrazia matura, gli stessi elettori dovrebbero automaticamente punire i comportamenti devianti, costringendo così i partiti a selezionare con maggiore attenzione i candidati. In Italia è soprattutto la legge elettorale che lo impedisce.

L’ORDINE NON SI TOCCA

Il testo originale della manovra finanziaria prevedeva alcuni interventi di liberalizzazione delle professioni. Ma ventidue senatori-avvocati della maggioranza hanno minacciato di non votare l’intero provvedimento se quelle norme non fossero state cancellate. E sono stati subito accontentati. Insomma, anche in un momento drammatico sembrano aver prevalso gli interessi di lobby. Eppure, questa era l’occasione giusta per avviare una riforma che, insieme ad altre, potrebbe incoraggiare la crescita economica dell’Italia.


CHI PAGA IL TAGLIO DELLE AGEVOLAZIONI FISCALI

La nuova versione della manovra correttiva dei conti pubblici prevede che numerosi regimi di esclusione, esenzione e favore fiscale siano automaticamente ridotti del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento complessivo nel 2014 se il governo non riuscirà a recuperare almeno 4 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014 dal riordino della spesa sociale e dalla riforma del fisco. Le simulazioni mostrano che l’impatto complessivo sarebbe chiaramente regressivo sia per quanto riguarda l’Irpef sia per l’Iva. Pesano in particolare le minori detrazioni dell’imposta sul reddito.

PENSIONI E CRESCITA

Il governo pensa di congelare l’indicizzazione delle pensioni al di sopra di un certo importo. Sarebbe più equo indicizzare quelle pensioni alla crescita economica, così come avviene in Svezia. Un intervento che permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica. Ma ancor più importante determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita.

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