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DIECI ANNI DE LAVOCE.INFO

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Le privatizzazioni e liberalizzazioni avvenute a partire dagli anni ’90 hanno avuto anche esiti positivi: si pensi al caso delle telecomunicazioni e dell’energia elettrica, settori dotati di autorità indipendenti, e che hanno subito un aumento di efficienza accompagnato da un abbassamento delle tariffe (si veda “L’enzima della concorrenza tra slogan e equivoci” di E. Barucci). Anche la liberalizzazione delle farmacie è un ottimo esempio di liberalizzazione, come recentemente affermato dal presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà.
In alcuni settori la concorrenza non si è sicuramente scatenata, questo anche perché mancano le norme necessarie ad una ulteriore spinta all’apertura dei mercati. Bisogna poi distinguere tra concorrenza per il mercato (gare per l’affidamento nella gestione del servizio) e concorrenza nel mercato. Che i monopoli privati siano peggio di quelli pubblici è assolutamente corretto, si badi però che uno degli esempi citati, Trenitalia, è in realtà di proprietà dello Stato al 100%.
I maggiori problemi di bilancio nel TPL si riscontrano soprattutto nelle grandi città, dove i mezzi pubblici non sono utilizzati in prevalenza dalle fasce svantaggiate. Inoltre, nel nostro articolo, si sottolineava la necessità di proteggere tali fasce con misure ad hoc.
Per quanto riguarda i dati sui biglietti, si rimanda allo studio “Le tariffe del trasporto pubblico locale in alcune città europee” di F. Bianchi per un confronto tra alcune città europee dei prezzi di biglietti ed abbonamenti in percentuale al reddito medio dei cittadini. È inoltre da sottolineare il fatto che le tariffe costituiscono il solo 30% dei ricavi totali del TPL, mentre la quasi totalità degli altri introiti provengono dalle regioni e dagli enti locali.
Il fatto che la percentuale dei costi variabili sui costi totali sia minima per il TPL è abbastanza opinabile, visto che il costo per il personale raggiunge quasi il 70% dei costi totali. Oltretutto, in relazione all’inefficienza sociale, sarebbe più efficiente tassare la modalità che genera il danno (pedaggi, parcheggi…), anziché sussidiare il servizio che aiuta a ridurlo.

FIAT TRA LE DUE SPONDE DELL’ATLANTICO

Negli ultimi mesi Fiat ha mostrato una sempre più netta differenza di risultati da una sponda all’altra dell’Atlantico. Da una parte c’è il promettente Nuovo Mondo: buon andamento in Sud America, Brasile e Argentina in particolare, e segni di ripresa nel Nord. Dall’altra, un mercato dell’auto sempre più in difficoltà nel Vecchio Continente, dal quale la casa torinese ancora dipende. Uno squilibrio che ha portato al downgrade da parte dell’agenzia MoodyÂ’s.

FS: NON PASSA LO STRANIERO. E NEMMENO IL CONCORRENTE

Fs va alle grandi manovre per non doversi cimentare con la concorrenza. Nei decreti economici d’estate è comparso un comma che obbliga le imprese concorrenti a rispettare il generoso contratto nazionale dei ferrovieri. Non appena si parla di autorità di regolazione per il settore, si invoca la necessità che sia europea, per rimandarla a un futuro lontano. Senza dimenticare il ruolo di Grandi Stazioni nella gestione dei servizi in stazione con possibili trattamenti discriminatori verso i nuovi entranti. O quello delle società miste Trenitalia-Regioni nella gestione delle ferrovie regionali.

QUANDO IL MERCATO GIUDICA CON LO SPREAD

Le notizie sulle manovre d’estate pubblicate dai quotidiani più autorevoli hanno finito per influenzare l’andamento dello spread sui titoli di Stato? Difficile stabilire una relazione di causa-effetto. Ma un’analisi statistica mostra come la differenza tra lo spread dei Btp italiani e dei titoli di stato spagnoli rispetto ai Bund tedeschi sia aumentata significativamente quante più notizie sulla manovra finanziaria hanno pubblicato i quotidiani italiani il giorno precedente. La differenza diminuisce quando sono molti gli articoli a proposito delle intercettazioni.

SE LA CRISI NON GIUSTIFICA LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI

Tra le possibili politiche per ridurre in modo strutturale il debito pubblico italiano è emersa anche l’ipotesi di privatizzare i servizi locali e di cedere partecipazioni. Le risorse degli enti territoriali si riversano soprattutto nei trasporti locali. Ovvero in un sistema di “sussidi incrociati”, dove si generano elevate rendite monopolistiche in alcuni ambiti e si sussidiano i trasporti pubblici. Una privatizzazione del settore così com’è avrebbe dunque scarso senso finanziario. Meglio puntare sul drastico ridimensionamento dei sussidi e sull’apertura alla concorrenza.

 

PER NON DIMENTICARE

LÂ’avevamo chiamata legge “ad aziendam”  e questa definizione è stata fatta propria dalla stampa. Ci riferivamo alla norma contenuta  nel decreto legge “incentivi” (n. 40/2010), che permetteva una  rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre dieci anni per le quali l’amministrazione finanziaria fosse risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. Il contribuente poteva estinguere la controversia che lo riguardava, pagando un importo pari al 5 per cento del suo valore (riferito alla sola imposta oggetto di contestazione in primo grado, senza tenere conto  degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni).
LÂ’avevamo chiamata “ad aziendam” perché le condizioni richieste per accedere alla sanatoria si attagliavano alla perfezione  a un importante contenzioso pendente in Cassazione che riguardava la Mondadori. LÂ’imposta dovuta dall’azienda editoriale era pari a 173 milioni. Se si aggiungono interessi, indennità di mora e sanzioni, si trattava, secondo la stampa,  di una somma di circa 350 milioni di euro. Grazie alla norma citata la controversia si è chiusa con il pagamento di 8,6 milioni.
Marina Berlusconi, Presidente di Mondadori ha rigettato l’interpretazione di una legge ad aziendam:  “Non legge ad aziendam, ma ad aziendas, perché è una norma che restituisce certezze a tutto il sistema delle imprese. Se le leggi, come in questo caso, sono sacrosante, che cosa si vorrebbe, che le nostre aziende non le utilizzassero solo perché fanno capo alla famiglia Berlusconi?”
Chi aveva ragione?
Il senatore del Pd Giuliano Barbolini ha provato ad avere dal ministero dell’Economia tutte le informazioni necessarie a capire quante siano state davvero e per che importi le imprese che di questa norma si sono avvalse. Ci sono volute tre diverse interrogazioni. 
La risposta del Ministero dell’Economia, per quanto limitata a solo  alcuni aspetti, sembra abbastanza interessante. Le aziende che hanno utilizzato la norma sono state 67. Il costo complessivo che si è rinunciato a introitare a bilancio pubblico, nel caso di soccombenza della controparte, viene valutata in circa 226 milioni.
Se ne deduce che, poiché di questi 226 milioni 173 milioni riguardano la Mondadori,  la vertenza Mondadori pesa per poco più del 75% del totale. Le altre 66 aziende, tutte insieme, contano per il restante 25%.
Si può o non si può parlare di legge “ad aziendam”?

LA GENERAZIONE CHE PAGA PER TUTTI

L’enorme debito pubblico che l’Italia ha accumulato tra il 1965 e il 1995 non è stato utilizzato a fini produttivi: i soldi che abbiamo preso in prestito sono andati in impiego pubblico e pensioni. Ne hanno beneficiato soprattutto i nati nel decennio 1940-1950. A pagare il conto saranno i loro figli. Con maggiori tasse, ma anche con minori servizi. I tagli alla spesa previsti dalle recenti manovre per istruzione, sanità e trasporti colpiscono infatti di più questa generazione. Anche perché in Parlamento i padri continuano a essere sovra-rappresentati.

LE TRE POVERTÀ DEGLI ITALIANI

La crisi economica rende sempre più attuale il tema delle condizioni di vita degli italiani. A definire la povertà sono tre concetti cruciali. La povertà relativa è essenzialmente una misura della disuguaglianza. La soglia di povertà assoluta, invece, è identificata dal valore di un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali nel contesto sociale di riferimento. In Italia è oggi essenzialmente un problema del Sud. Ma particolarmente interessante è guardare alla “vulnerabilità alla povertà”, che misura la povertà di domani. Nel nostro paese potrebbe avere dimensioni drammatiche.

SENZA ICI AUMENTA LA SPESA LOCALE

L’Ici è sempre stata ritenuta un’imposta particolarmente iniqua dalla maggioranza degli italiani. E nel 2008 il governo ha totalmente abolito quella sulla prima casa. Ma la sostituzione delle tasse locali con un trasferimento rende più difficile per i residenti la corretta valutazione del costo dei beni pubblici locali. L’analisi dei bilanci comunali permette di isolare la variazione di spesa associata alla cancellazione dell’imposta: tra il 2007 e il 2009 c’è stato un incremento medio dello 0,9 per cento. L’effetto è ancora maggiore nelle grandi città.

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