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L’EGOISMO DEI POLITICI

I politici italiani sono riusciti ancora una volta a evitare una riduzione di stipendio, pur nel momento in cui approvavano una manovra con pesanti effetti sui cittadini. Non è che l’ultimo esempio della scarsa qualità della nostra classe politica. In un paese a democrazia matura, gli stessi elettori dovrebbero automaticamente punire i comportamenti devianti, costringendo così i partiti a selezionare con maggiore attenzione i candidati. In Italia è soprattutto la legge elettorale che lo impedisce.

IL BUON ESEMPIO DELLA CONCILIAZIONE *

L’Italia è ferma all’ottantesimo posto nella classifica Doing Business, punto di riferimento degli investitori internazionali. Colpa soprattutto dei tempi lunghissimi nel recupero dei crediti per via giudiziale. Per migliorare la competitività del sistema paese e guadagnare posizioni occorrono riforme dagli effetti immediati. Come la conciliazione, che punta a ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, a costo zero per lo Stato. I risultati nei primi tre mesi di mediazione obbligatoria sono molto incoraggianti.

CHI PAGA IL TAGLIO DELLE AGEVOLAZIONI FISCALI

La nuova versione della manovra correttiva dei conti pubblici prevede che numerosi regimi di esclusione, esenzione e favore fiscale siano automaticamente ridotti del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento complessivo nel 2014 se il governo non riuscirà a recuperare almeno 4 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014 dal riordino della spesa sociale e dalla riforma del fisco. Le simulazioni mostrano che l’impatto complessivo sarebbe chiaramente regressivo sia per quanto riguarda l’Irpef sia per l’Iva. Pesano in particolare le minori detrazioni dell’imposta sul reddito.

PENSIONI E CRESCITA

Il governo pensa di congelare l’indicizzazione delle pensioni al di sopra di un certo importo. Sarebbe più equo indicizzare quelle pensioni alla crescita economica, così come avviene in Svezia. Un intervento che permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica. Ma ancor più importante determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita.

L’ORDINE NON SI TOCCA

Il testo originale della manovra finanziaria prevedeva alcuni interventi di liberalizzazione delle professioni. Ma ventidue senatori-avvocati della maggioranza hanno minacciato di non votare l’intero provvedimento se quelle norme non fossero state cancellate. E sono stati subito accontentati. Insomma, anche in un momento drammatico sembrano aver prevalso gli interessi di lobby. Eppure, questa era l’occasione giusta per avviare una riforma che, insieme ad altre, potrebbe incoraggiare la crescita economica dell’Italia.


È LA DEBOLEZZA DELLA POLITICA CHE MINACCIA L’EURO

Quella a cui stiamo assistendo da venerdì scorso sui mercati finanziari è una crisi di fiducia nella governance politica dell’Italia, ma anche dell’Europa. Il vertice dell’Eurogruppo di lunedì non ha raggiunto alcun vero risultato. Il coinvolgimento del settore privato pesa come un macigno sulla trattativa relativa al piano di assistenza finanziaria alla Grecia. Con proposte di soluzione diverse tra il piano tedesco, quello francese e l’ipotesi del buyback. E così l’euro rischia sempre di più.

 

QUELL’INFORMAZIONE COMPRATA CON LA PUBBLICITÀ

Avere informazioni credibili e obiettive costituisce un modo con cui i cittadini possono osservare e controllare le decisioni politiche ed economiche. Se la pubblicità può influenzare i contenuti editoriali, si produce un cortocircuito pericoloso dove assumono importanza le informazioni riservate. Una ricerca mostra che i quotidiani pubblicano più articoli sulle società quotate che fanno più pubblicità sulla loro testata.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo per i numerosi e stimolanti commenti. Si tratta di un tema ovviamente sentito e rilevante per il paese. Rispondiamo accorpando alcuni punti che ricorrono in vari commenti.

Perché dovrebbero pagare i pensionati per la crescita? E i diritti acquisiti?

Occorre rendersi conto che i lavoratori dipendenti pubblici hanno già le carriere bloccate dal blocco degli scatti di anzianità, i dipendenti privati (i cui salari sono al palo da anni) hanno rischiato e rischiano il licenziamento o la CIG, i giovani precari vedono sempre più ridotte le possibilità di trovare lavoro. La spesa pensionistica conta per più di un terzo della spesa corrente. In questo quadro generale non si può non chiedere anche ai pensionati di fare la loro parte. Allora sembra più corretto – sia per equità sia per rendere tutti i cittadini partecipi del problema della crescita (seguendo quindi un criterio economico) – legare la crescita delle pensioni nel tempo (attenzione: non il livello della prima prestazione!) allÂ’andamento dellÂ’economia. Viceversa interventi ad hoc sullÂ’indicizzazione prestano il fianco a manipolazioni che dipendono dai problemi di cassa e di chi vorrà avvantaggiare il governo di turno.
Il sistema svedese di indicizzazione è un sistema che introduce un meccanismo “automatico” proprio nello spirito della riforma Dini, che una volta introdotto non si può più ritoccare nel suo meccanismo di fondo.
Quindi chi pensa che la nostra proposta è lesiva dei diritti acquisiti, dovrebbe considerare che tutte le volte che ci sarà nel futuro un aggiustamento al meccanismo di indicizzazione si toccheranno i diritti di qualcuno a vantaggio di altri. Noi vogliamo ridurre questo arbitrio dei politici di turno.

Non si toccano mai quelli che evadono. In questo modo si favorisce lÂ’evasione.

E’ chiaro che l’evasione è un tema a monte (e di questo ci siamo più volte occupati nel sito lavoce), ma, come diciamo sopra, anche modifiche ad hoc dell’indicizzazione possono ridurre l’incentivo a contribuire. Il vantaggio della nostra proposta è che se tutti si paga qualcosa nei periodi negativi, tutti si beneficia nei periodi di crescita.

Retributivo. Preservare chi ha veramente pagato per 30-40 anni. Le baby-pensioni.

Siamo pienamente d’accordo sull’idea che occorre mantenere il più possibile l’equità attuariale, ma proprio per questo un meccanismo “automatico” definisce ex ante le regole del gioco.  Proteggere le pensioni più basse garantisce che questi pensionati non cadano sotto la soglia di povertà.
Il fatto che le pensioni in essere sono per lo più retributive rafforza la nostra argomentazione perché le pensioni retributive hanno in larga parte beneficiato di tassi di rendimento interno molto elevati – certamente più elevati di quelli che godranno i pensionati di domani.
Proprio su questo sito abbiamo più volte argomentato di accelerare la riforma Dini o introdurre o correttivi attuariali proprio per ridurre alcune iniquità del sistema precedente che ha permesso a molti baby- pensionati di uscire da lavoro con una pensione piena.

Gli svedesi

In realtà nel caso della riforma pensionistica sono gli svedesi che hanno “copiato” la riforma italiana del 1995. Però in Svezia è stata applicata in tempi molto rapidi e introducendo da subito le regole automatiche di aggiustamento (quella dell’indicizzazione, ma anche le revisioni dovute all’aumento della speranza di vita)

Scala Mobile

Non capiamo francamente cosa la nostra proposta abbia a che vedere con la scala mobile

LA SCOMPARSA DI FERDINANDO TARGETTI

Ferdinando Targetti è stato un’economista di razza, capace di spaziare su vari temi, con un filo rosso costituito dalla crescita e dalle trasformazioni strutturali del capitalismo. Non ha mai disgiunto i suoi studi dalla passione per la politica, coltivata però con un approccio laico nei confronti della teoria che l’ha portato ad approfondire i più diversi filoni del pensiero economico per coglierne il significato e la valenza interpretativa.

AIUTARE I GIOVANI A GUARDARE LONTANO

I paesi in cui si dà più spazio e importanza all’innovazione sono anche quelli in cui i giovani hanno maggiori incentivi a essere autonomi, pienamente attivi e protagonisti nel mercato del lavoro. E sono anche i paesi che crescono di più. L’Italia non è tra questi. Non stupiamoci allora se più di quattro giovani italiani su dieci sono pronti ad andarsene all’estero alla prima occasione.

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