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NUOVE AUTO DA TERMINI IMERESE

La decisione di Fiat di interrompere la produzione di autovetture nello stabilimento di Termini Imerese pone un’importante questione: quale sarà il destino del polo industriale siciliano? Non tutto è perduto per i lavoratori: esistono tre concrete alternative che prevedono la prosecuzione della produzione di automobili. Una ipotesi è in continuità con l’attività Fiat, una seconda punta su una luxury car e la terza è decisamente innovativa, con la realizzazione di auto elettriche. Ma è prioritario risolvere le inefficienze che hanno portato all’abbandono del gruppo torinese.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ho preferito porre dapprima il tema a livello mondiale ed europeo, dove si parla della possibile uscita dal nucleare; solo sapendo se si tratta di un’industria in via di rapida estinzione, o di un bilanciamento del mix delle fonti che sarà indispensabile ancora per molto, si può discutere seriamente della scelta di entrare o non entrare da parte dell’Italia.
Qualcuno dice che se le centrali ci sono nel mondo, non è questo un buon motivo per mettercene una vicino a casa. Capisco, ma se il rischio è veramente eccessivo mi rifiuto di avallare un’eventuale scelta nazionale di promuovere un investimento che presenti quel rischio, che sia destinato al consumo italiano, purché sia in un altro paese (Albania, nel caso).
È giusto considerare le condizioni particolari del nostro Paese: geologiche, geografiche e anche organizzative, una difficoltà in più da mettere nel conto. Ma se dovessi dare per scontato che l’Italia non sa gestire neanche il ciclo dei rifiuti dovrei concludere per la chiusura del ciclo dell’indipendenza al 150esimo compleanno e invocare un protettorato. No, i rifiuti di Napoli sono una malattia gravissima ma curabile come l’esercito clandestino basco, i 25 suicidi in France Telecom, i 12 mesi del Belgio senza governo, i disastri ambientali mal gestiti in Florida e in Alaska. La pausa nucleare di un anno dovrebbe essere impiegata anche per dare una svolta alla lotta contro la criminalità, a dimostrazione della capacità del Paese di gestire i rischi. E almeno su questo dovremmo essere tutti d’accordo.
L’affermazione che il nucleare è costoso e quindi non conveniente è vera o falsa a seconda del prezzo futuro del gas che si prende a confronto; ma la convenienza è più probabile, semplicemente come fattore di riduzione del rischio economico, in un sistema come quello elettrico italiano che dipende dagli idrocarburi per i due terzi. La prima questione allora è come ridurre in altro modo la dipendenza, ovvero a quale velocità possiamo prevedere e programmare (non sognare) lo sviluppo delle rinnovabili e la riduzione dei consumi. Il ragionamento va fatto sui numeri, non in queste poche righe di replica ma va fatto.
Corretto anche notare che il costo sarebbe più alto in un paese lento nelle autorizzazioni e ad oggi privo dell’apparato di controllo. La seconda questione è quindi come poter far conto su di un mix delle fonti equilibrato in Europa anche se non in Italia, cioè come portare a compimento il mercato europeo che fornirebbe implicita ma certa solidarietà in caso di crisi.
Queste due ultime questioni sono anche, a mio avviso, i principali obiettivi della politica energetica italiana. Concordo anche con l’invito a investire di più nelle reti.
Che poi un’attività industriale sia un business non è una scoperta. Un business è più o meno accettabile a seconda del quadro di norme e controlli, di concorrenza e bilanciamenti di potere: ma qualcuno ha da offrire alternative all’economia di mercato?

CHI HA PAURA DELLE POLIZZE ROSA?

Una sentenza della Corte di giustizia europea impone anche in Italia il divieto di discriminazione tra uomini e donne nelle assicurazioni. Ne consegue un aumento dei premi delle guidatrici, che pure provocano meno incidenti degli uomini. Ma le variabili di classificazione per differenziare gli assicurati sono particolarmente importanti nel mercato assicurativo. L’impossibilità di utilizzare quelle di genere potrebbe avere effetti negativi sul suo funzionamento: le compagnie potrebbero ricorrere a strategie di marketing pur di accaparrarsi le virtuose donne al volante.

PEREQUAZIONE: CHI L’HA VISTA?

La riforma del federalismo fiscale è arrivata finalmente alle questioni di peso con l’approvazione del decreto sulla finanza regionale, dopo quello sulla finanza comunale. Colpisce quello che i due decreti mancano di affrontare. Il nodo centrale ancora aperto riguarda la perequazione: come redistribuire tra regioni ricche e regioni povere, e tra enti locali ricchi e poveri, le risorse fiscali loro attribuite mediante le imposte decentrate. Le decisioni su elementi solo apparentemente tecnici sono ancora rimandate a interventi successivi.

CHI PIANGE SUL LATTE DI PARMALAT

Nei caldi anni Settanta qualcuno aveva scritto sui muri di Mirafiori: "passo qui dentro otto ore al giorno e pretendete anche che lavori?" Oggi gli imprenditori italiani, di fronte alla scalata francese su Parmalat dovrebbero dire: "mi spacco la schiena a fare affari e volete che ci metta anche dei soldi?" Li vediamo oggi su tutti i giornali rilasciare, con facce compunte, dichiarazioni pensose che alternano l’indignazione per la prepotenza straniera al dolore per "filiera alimentare" la cui italianità viene violata, forse per sempre. E via elencando in un’orgia di luoghi comuni per piangere, è il caso di dire, sul latte versato.
Ma dove erano questi baldi capitani d’industria, i loro banchieri e i loro referenti politici quando Tanzi affossava la società con acquisizioni spericolate usando solo i soldi dei risparmiatori e mettendosi in tasca 2,3 miliardi di euro? "Distrazioni" le chiamano pudicamente i rapporti ufficiali, perché è noto che Calisto, ormai avanti con gli anni, si metteva in tasca i soldi di tutti solo perché dimenticava di prendere le pillole per la memoria.
E dove erano i nostri baldi imprenditori quando Bondi risanava la società, ne faceva più che raddoppiare il valore in borsa e riempiva le casse aziendali di liquidità anziché impiegarla in pinacoteche clandestine? Perché non hanno mostrato nessun interesse per il "gioiellino"? Semplice: perché avrebbero dovuto tirare fuori i soldi. Ma scherziamo? Non sono queste le regole del gioco del capitalismo italiano.
E adesso gli imprenditori italiani devono pure mostrare di essere sensibili all’appello del Governo, ma per carità, purché "in cordata" perchè bisogna sempre replicare i vizi del nostro sistema imprenditoriale: tutti insieme, in una ragnatela di scambi di favori, sostegni e ammiccamenti, in cui alla fine gli interessi veri delle aziende finiscono dietro quelli dei baldi alpinisti. Coprirsi, innanzitutto: questa è la parola d’ordine. Se si formerà, i componenti della cordata italiana si presenteranno intabarrati come Totò e Peppino alla Stazione centrale di Milano. E grazie ai tre mesi di tempo generosamente concessi dal Governo potranno mandare a memoria la battuta da dire a muso duro ai francesi: "Noio volevàn savuàr.."

SOCIAL CARD: VOGLIAMO FARLA SERIAMENTE?

Il Milleproroghe prevede la sperimentazione per un anno di una nuova social card. Perché sia proficuo l’esperimento deve far parte di un progetto organico di rafforzamento del nostro welfare. E va condotto in modo da comprendere quali siano le modalità più appropriate di fornitura della carta e delle misure di accompagnamento, oltre a quali siano le implicazioni finanziarie e organizzative per la sua estensione a tutte le famiglie in povertà assoluta. Insomma, una sperimentazione da prendere sul serio.

LA SCORCIATOIA DELL’ITALIANITÀ

I dati di una recente indagine su sette paesi europei indicano che la quota di imprese a controllo estero è sensibilmente più bassa in Italia rispetto a Francia e Germania. Il capitale estero può rappresentare un’opportunità importante di crescita. Più che la natura del controllante, conta la capacità del sistema di offrire un ambiente favorevole per fare impresa. Con la scusa di difendere l’italianità si proteggono gli interessi costituiti di una classe dirigente autoreferenziale.

FINANZIAMENTI PRIVATI PER UNIVERSITÀ PUBBLICHE

La riforma prevede la presenza obbligatoria di un numero minimo di rappresentanti esterni nei consigli di amministrazione delle università. I portatori di interessi dovrebbero assicurare un vero impegno attraverso adeguati investimenti. Che naturalmente dovrebbero inserirsi in un quadro regolamentare che ne preveda una specifica finalizzazione. Perché inutile illudersi: non si può fare affidamento sulle sole risorse statali. Meglio allora chiamare gli stakeholder realmente interessati all’istruzione superiore ad assumersi fino in fondo le loro responsabilità.

QUELLO STRANO DIBATTITO INTORNO ALL’ATOMO

Perché abbiamo paura di volare quando statisticamente gli incidenti aerei sono di gran lunga meno di quelli stradali? Perché il nucleare ci fa paura quando le perdite umane associate all’intero ciclo del carbone sono assai superiori? Vi è una significativa differenza tra probabilità oggettiva d’incidente e probabilità soggettiva. E ciò ha importanti riflessi sulla decisione di rientrare nel nucleare. Curiosamente, però, dopo Fukushima il dibattito riguarda più i motivi per non uscire dal nucleare laddove già c’è e molto meno i motivi per entrarvi dove, come in Italia, non c’è.

IL NUCLEARE DOPO LA CATASTROFE GIAPPONESE

L’uscita immediata dal nucleare è una decisione di tale importanza da non doversi adottare né sulla spinta dell’emozione della tragedia giapponese né sotto la pressione degli interessi. Necessari una revisione generale degli impianti in funzione e un rafforzamento degli standard di sicurezza, in una strategia di prevenzione rafforzata simile a quella adottata contro il terrorismo. Altrimenti rischiamo comportamenti assurdamente divergenti. L’esito sarebbe insufficiente a scongiurare il rischio nucleare, ma sufficiente a far crescere di molto il rischio clima.

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