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NEANCHE LE COOPERATVE SOCIALI SONO PERFETTE

Le cooperative sociali italiane sono una realtà che coinvolge migliaia di organizzazioni e lavoratori. E’ un settore in costante crescita, ma non mancano le ombre. A partire dal basso livello degli stipendi, dovuto in parte alle aste al massimo ribasso indette dalle amministrazioni pubbliche per minimizzare il costo per l’erogazione dei servizi sociali. Poi ci sono percorsi di carriera piuttosto appiattiti, che non premiano l’istruzione e penalizzano le donne. E la scarsa trasparenza di alcuni enti rischia di danneggiare la reputazione di tutti.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per gli utili commenti. Alcuni ci chiedono più dettagli sulle tutele progressive. Nel testo del ddl è specificato in modo molto dettagliato che le tutele progressive ammontano a 5 giorni di salario al mese. Ciò significa 6 mesi di salario in 3 anni di lavoro. Altri ci chiedono se il contratto è a tempo indeterminato. Certamente, è a tempo indeterminato, nel senso che non ha alcuna scadenza. La proposta del Contratto Unico di Inserimento va in parte nella direzione suggerita da altri lettori, nel senso che secondo il ddl i contratti meno stabili sono possibili solo per i salari più elevati.
Infine, ci preme notare che l’ulteriore peggioramento del mercato del lavoro, reso evidente dai dati Forze lavoro e CIG, che segnalano un ulteriore incremento della disoccupazione e della CIG, rende questa riforma sempre più’ urgente.

CDS, UN FARO NELLA CRISI

I Cds danno molte informazioni sulla natura di una crisi, su come la percepisce il mercato e sul costo degli interventi per contrastarla. Anche nel caso della Grecia. Da dicembre del 2008 le ragioni di lungo periodo della crisi non si sono modificate e la probabilità annua di default è fissa intorno al 4 per cento. Per abbatterla, servono finanziamenti a lungo termine con un piano che consenta di sfruttare la riduzione dello spread prevista nei prossimi anni. Un insegnamento per il Portogallo.

LETTERA APERTA ALL’AVVOCATO BENESSIA

Caro Avvocato Benessia,
grazie ai verbali del Comitato di gestione della Compagnia di San Paolo del 14 aprile pubblicati ieri dal Corriere della Sera, sappiamo finalmente quale deve essere il profilo ideale del candidato Presidente del consiglio di gestione di Intesa-Sanpaolo. Si deve trattare di persona “… espressione della cultura torinese, torinese per nascita e famiglia, diplomato alla maturità presso il liceo Massimo D’Azeglio e laureato all’Ateneo torinese”. Oppure di persona “…nata a Torino, che ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel locale Ateneo ed è stato vincitore, primo in graduatoria della borsa di studio Luciano Jona dell’Istituto Bancario San Paolo di Torino”.
Insomma lo abbiamo capito: per essere dei bravi banchieri bisogna essere torinesi dentro. Ammettiamo, tre torinesità non sono facili da trovare riunite nella stessa persona. Siamo perciò più che mai partecipi, caro avvocato, delle sue ambasce ora che, dopo la rinuncia di Domenico Siniscalco, lei si trova una casella vuota che sarà difficile riempire. Ma non si disperi. I numeri sono dalla sua parte. A Torino risiedono 126.075 dazegliani con entrambi i genitori nati a Torino. L’89,2 per cento di questi adora i gianduiotti, il 73,2 ingurgita la bagna càuda almeno tre volte al mese (e utilizza 600 mg di citrosodina a testa). Un buon 60 per cento (per l’esattezza il 61,3 per cento) mangia due volte al dì i grissini torinesi. C’è un 22,4 per cento di accaniti bevitori di “birre torinesi doc”. Un 4,2 per cento ha gustato le palle di toro fritte servite da Luciana Lettizzetto a un selezionato pubblico sotto la Mole e l’1,2 per cento partecipa al coordinamento “Torino Pride”. Dimenticavamo: se proprio faticasse a trovare tra questi qualcuno disposto a fare il banchiere, ci sono i turisti svedesi di nome Tore, i visitatori della Chiesa di San Salvatore a Torino di Sangro e i sostenitori del boss Salvatore Torino. Insomma, avvocato, non si disperi: di persone con la stoffa del banchiere ce n’è. Le suggeriamo anche un test per valutare le loro competenze, sempre che a queste lei sia interessato: chieda loro di verificare i numeri di cui sopra.  

LA SETTIMANA LUNGA DEI PREZZI*

Un tetto settimanale imposto ai prezzi dei carburanti può rivelarsi inutile e addirittura controproducente, come mostra l’esperienza di altre tariffe predeterminate per periodi più o meno lunghi. Infatti il meccanismo può indurre gestori e compagnie a fissare cautelativamente prezzi artificiosamente alti. Una campagna informativa e una rimodulazione delle imposte sarebbero probabilmente molto più efficaci per scoraggiare i rincari.

ULTIMA NOTIZIA: I GIORNALI HANNO LE RUOTE

Arriva la prevista separazione tra Fiat Auto e Fiat Industrial, che dovrebbe raccogliere tutte le attività diverse dalle automobili. Eccezion fatta per i giornali. Perché questa scelta? Può nascere il sospetto che le partecipazioni nei media siano considerate strategiche per la capacità di influenzare l’opinione pubblica. L’auspicio è invece che la nuova Fiat faccia una scelta coraggiosa e si dedichi in maniera esclusiva alle solide auto. Lasciando svolazzare altrove i quotidiani.

SE LA CRISI DI ATENE ENTRA IN BANCA

Lungi dall’essere risolta, la crisi greca ha messo a nudo tutte le debolezze della costruzione monetaria europea. Una volta messo in moto, il processo di integrazione comporta una serie di costi, oltre che di importanti benefici. Ma tornare indietro sarebbe molto rischioso e costoso. Meglio dunque andare avanti fino a quando l’Europa sarà un vero stato federale. Solo allora si potrà considerare la Grecia alla stregua di Los Angeles, che non ha banche né depositanti da salvare, ma solo un bilancio da sanare.

SALVIAMO LA GRECIA. DA SE STESSA

Il governo greco ha chiesto all’Unione Europea e all’Fmi di attivare i 45 miliardi di aiuti concordati. Ma è ancora possibile salvare a Grecia? E quanto costerebbe? Lasciato a se stesso, il paese è condannato al ripudio del debito pubblico. Eppure, la crescita del debito è in larga misura dovuta alla spesa per gli interessi e l’apertura di linee di credito internazionali potrebbero migliorare le cose. E non costerebbe neanche molto. Dopo il primo anno di aiuti, però, si dovrebbe lasciare la Grecia al proprio destino, preparando una ristrutturazione ordinata del debito.

DUE ANNI DI GOVERNO: GIUSTIZIA

Leggi tarate sui processi di Silvio Berlusconi aprono e chiudono i primi due anni della legislatura. La legge Alfano, immunità temporanea per le alte cariche, poi bocciata dalla Corte costituzionale, è la prima a essere approvata – in soli 25 giorni – nel 2008, due mesi dopo le elezioni. Ad aprile 2010 i giudici dei processi Mills e diritti tv Mediaset spediranno poi alla Corte costituzionale anche la legge che delinea il nuovo “legittimo impedimento” (solo del premier e dei suoi ministri) come continuativo e autocertificato da Palazzo Chigi.
In mezzo, il rifiuto teorizzato in Parlamento di misure davvero strutturali come la revisione della geografia degli uffici giudiziari risalente all’Unità d’Italia. E, invece, una miriade di microinterventi privi di un disegno organico: un vestito d’Arlecchino cucito da interessi contingenti e asserite emergenze, nel quale tuttavia trova posto qualche misura positiva. È il caso, nel penale, dell’abolizione del patteggiamento in appello; del maggior ricorso al processo immediato e al rito direttissimo; del nuovo reato di atti persecutori (stalking»; delle regole, pur controverse al Csm, per tamponare l’assenza di pm nelle cosiddette “sedi disagiate” al Sud; della messa a regime di una buona idea ideata ma non concretizzata dal dicastero Mastella, il Fondo unico giustizia per la gestione dei soldi in sequestro, che chiuderà il primo consuntivo con circa 1 miliardo e mezzo di euro intestati al Fug e (di essi) 54 milioni definitivamente devolvibili (a metà) ai ministeri della Giustizia e dell’Interno, meglio di niente anche se lontani dal poter bilanciare i tagli di ben altre dimensioni a risorse e personale; e, soprattutto, delle norme che nel “pacchetto sicurezza” n. 94 del 15 luglio 2009 hanno allargato gli strumenti giuridici utilizzabili per aggredire i patrimoni mafiosi e applicare le misure di prevenzione. Così come, tra le modifiche alla giustizia civile, accanto alle perplessità sull’introduzione della testimonianza scritta e su alcuni aspetti della mediazione finalizzata alla conciliazione, sarà invece certamente interessante sperimentare l’esito dell’introduzione di un filtro ai ricorsi in Cassazione e della nuova disciplina delle spese processuali volta a sanzionare le parti che abusino del processo; mentre sulla digitalizzazione dei procedimenti, che fa passi avanti sul piano delle normative, resta l’incognita dei soldi per reti, personale e assistenza.
La rincorsa all’emergenza di turno, fosse uno stupro a Capodanno o una brutale rapina in villa, ha invece dettato nei vari pacchetti-sicurezza un’orgia di nuove aggravanti, di inasprimenti di pena o di introduzioni di nuovi reati (come quello di immigrazione clandestina, franato già nei primi mesi di complicata applicazione davanti ai giudici di pace), spesso entrati in corto circuito con altre non considerate norme contenute nei codici.
Solo nel gennaio del 2010, dopo un anno e mezzo di ripetuti annunci e con ormai 67mila detenuti rinchiusi in 43mila posti regolamentari, il governo ha prospettato un piano-carceri che però, salvo il dichiarato “stato di emergenza” e la proclamata disponibilità di 600 milioni di euro sul fabbisogno di 1.590 inizialmente stimato, vede ancora solo sulla carta gli obiettivi di 21.700 nuovi posti entro il 2012, allorché (ammesso nel frattempo siano stati davvero creati) all’attuale tasso mensile i detenuti saranno diventati 90mila: non a caso il ministro evoca proprio in questi giorni la possibilità di un decreto legge che, facendo scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena, alleggerisca di colpo i penitenziari di 9mila posti. Ancora atteso è il varo dell’annunciato disegno di legge anti-corruzione, deludente peraltro nei contenuti al ribasso. Mentre la maggioranza, dopo averli già votati in uno dei rami del Parlamento, punta infine ad approvare definitivamente due testi (ai quali aggiungere poi il Ddl sul processo penale con lo sganciamento della polizia giudiziaria dai pm): la legge che limiterebbe non solo leintercettazioni ma anche la pubblicabilità degli atti giudiziari, e quella che alla prescrizione del reato aggiungerebbe una inedita prescrizione del processo breve a partire dalla data di rinvio a giudizio.

DUE ANNI DI GOVERNO: ISTITUZIONI

L’unica riforma istituzionale sin qui iniziata è la legge delega sul federalismo fiscale, che in realtà è l’attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione modificato, nel 2001, dentro la riforma del Titolo V. Dico solo iniziata perché è una legge delega, i cui frutti matureranno negli anni, via via che si faranno i decreti legislativi attuativi. Il Pdl e la Lega avevano esordito con uno schema molto radicale, basato sull’idea che larga parte delle risorse restassero là dove si producono. Il Pd ha contrapposto un proprio schema organico alternativo. Il risultato complessivo ne è stato influenzato in modo significativo, tanto che il Pd si è astenuto nel voto finale sulla legge. Oltre al cambiamento dei criteri è stata decisa l’istituzione di una commissione bicamerale che seguirà da vicino l’elaborazione dei decreti e che ha avviato i suoi lavori in questi giorni. Le altre forze di opposizione hanno in larga parte condiviso questo lavoro, ma poi hanno voluto distinguersi dal Pd nel voto: l’Udc ha votato “no” e a quel punto, paradossalmente, l’Idv si è posizionata sull’unica casella rimasta vuota, il “sì” insieme alla maggioranza.
Tutto il resto rimane in un limbo, a cominciare dalla legge elettorale, dopo il fallimento del referendum del 2009. A seconda di come viene curvata la legge elettorale cambia anche il senso di tutte le altre riforme costituzionali. In realtà oltre all’interesse di Berlusconi a non cambiarla, ci sono anche incertezze del Pd. La legge attuale garantisce un obiettivo importante, quello della scelta diretta del governo, ma ne nega un altro, il rapporto tra l’elettore e il suo rappresentante. Per questo servirebbe il collegio uninominale, che garantirebbe al tempo stesso il rapporto tra rappresentanti e rappresentati e, in modo più naturale, la scelta diretta del governo da parte dei cittadini. Invece il sistema proporzionale alla tedesca recupererebbe il rapporto coi rappresentanti, ma ci farebbe regredire rispetto alla scelta diretta dei governi.
Questo è lo stato – non esaltante – dell’arte.

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