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RISPOSTA AD ANDREA ICHINO: UN’ITALIA PIÙ POVERA SENZA ASILI NIDO

Nel suo intervento Andrea Ichino, in commento ad un nostro recente articolo, mette in dubbio l’utilità degli asili nido. Cogliamo l’occasione per chiarire meglio la nostra posizione a favore dei servizi per l’infanzia come importante strumento di conciliazione nella fase delicata in cui è più difficile lavorare e occuparsi dei piccoli (secondo i dati Istat, oltre una donna occupata su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio (1)).

AI:“Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi (…). Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera”.

DB e AR: Concordiamo. Non abbiamo certo scritto che, di per sé, l’offerta di nidi sia in grado di realizzare l’uguaglianza delle opportunità di lavoro e di salario tra uomini e donne.  Nessuno, a quanto ci risulta, ha mai azzardato un’ipotesi di questo tipo. Abbiamo semplicemente sottolineato come gli asili nido possano spesso rivelarsi un concreto aiuto per le donne con figli piccoli che desiderano continuare a lavorare. Molte famiglie non hanno nonni e altri parenti vicini e non hanno un reddito sufficiente per il ricorso sistematico ad una baby sitter.

AI:“È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti”.

DB e AR: Se il riferimento è al caso particolare degli Stati Uniti, va precisato che in tale contesto il mercato del lavoro è meno discriminatorio verso le donne, offre più opportunità occupazionali in genere e più part-time, ma ci sono poi anche servizi per l’infanzia non pubblici di vario costo e tipo (nidi familiari, nidi sul posto di lavoro, ecc.). Se però guardiamo ai casi a noi più vicini (quelli europei) si nota come i paesi con più alta fecondità (Francia e i paesi scandinavi) siano anche quelli dove rilevante è l’investimento in strumenti di supporto pubblico (non solo privato) alle famiglie con figli.
Ma al di là di casi specifici, quello che in generale si è osserva è che i paesi che più e meglio hanno investito in misure di conciliazione presentano, tendenzialmente, anche più elevati livelli sia di fecondità che di partecipazione femminile al mercato del lavoro (ci sono molte analisi in proposito, si veda per una rassegna il rapporto Ocse di D’Addio  e Mira d’Ercole (2). Ma questo risulta sempre più vero anche all’interno del territorio italiano, tanto che la fecondità è aumentata di più, anche la netto dell’immigrazione, dove maggiori sono sia l’occupazione femminile che le varie possibilità di conciliazione.
Tra gli strumenti di conciliazione particolare importanza hanno i servizi di cura per l’infanzia, tanto che nella Strategia di Lisbona dell’Unione Europea non viene fissato solo il livello di occupazione femminile da raggiungere (60%), ma anche quello di un’adeguata copertura di asili nido (33% su bambini in età 0-3). Lo stesso governatore di Bankitalia ha affermato che “le stime disponibili mostrano come l’incremento della disponibilità di posti negli asili nido avrebbe un effetto positivo sia sulla decisione delle donne di lavorare, sia sulla loro scelta di avere figli”. Sull’importanza di un ruolo del pubblico e sulle carenze italiane segnaliamo, inoltre, un recente contributo di Chiara Saraceno.

AI: “la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie”.

DB e AR: E’ vero che la scelta di un figlio produce conseguenze che ricadono soprattutto sulla madre. Come abbiamo scritto nel nostro libro, è importante invece che lo stato (con offerta di strumenti di cura), le aziende (con possibilità di ricorrere a part-time e consentendo orari più flessibili), i padri (contribuendo di più ai compiti familiari e di cura) facciano ciascuno la loro parte.

AI: “Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne?”

DB e AR: Curiosa questa obiezione, visto che l’Italia è attualmente uno dei paesi che penalizzano di più chi ha scelto di avere figli. Questo vale sia sul piano fiscale che su quello dei servizi. In particolare, la quota di spesa sociale che va per la voce “famiglia” è, come ben noto, una delle più basse (spendiamo meno della metà rispetto alla media europea).
Ma forse spendiamo anche troppo per chi, come Ichino, pensa che il figlio sia un bene privato e che i costi debbano ricadere su chi ha fatto tale scelta. Si potrebbe obiettare in vari modi (il discorso ha inoltre valenza più generale visto che investe tutto il ruolo pubblico e il preteso diritto di ciascuno di scegliere cosa contribuire a finanziare e cosa no). Ci limitiamo ad osservare che questa argomentazione non tiene conto del fatto che le misure di conciliazione consentono alle donne con figli di poter partecipare in modo più continuativo al mercato del lavoro e quindi ad avere non solo maggior benessere familiare ma anche  contribuire alla crescita economica del paese e alla sostenibilità del sistema di welfare. Penalizzare chi desidera avere figli non aiutandolo con strumenti adeguati a partecipare al mercato del lavoro ci sembra non solo iniquo ma anche socialmente controproducente. Rischia inoltre di aumentare la povertà delle coppie con figli che rimarrebbero monoreddito. Perché dovremmo assisterle con un voucher quando potrebbero difendersi dalla povertà con un proprio lavoro? Meglio incentivare comportamenti responsabili che l’assistenzialismo.

AI: “Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione?”

DB e AR: Sul fatto che gli asili nido possano favorire la fecondità abbiamo già detto. Aggiungiamo a tal proposito anche evidenze empiriche che provengono da un’analisi recente sul caso spagnolo (molto più simile all’Italia rispetto agli Stati Uniti): dove si ottiene “a significant and positive effect of regional day care availability on both first and higher order births” (3).
Gli asili nido sono uno strumento utile per le donne che lavorano a non rinunciare ad avere un figlio se lo desiderano in assenza di nonni a disposizione per poter accudire i bambini quando sono al lavoro. Meno strumenti di conciliazione le coppie hanno a disposizione, più facilmente si fermeranno al figlio unico se non vogliono rinunciare al lavoro. Oppure possono essere incentivate a rinunciare ad opportunità di carriera per rimanere a vivere vicino ai nonni e non perdere il loro aiuto.
Ma c’è di più. Secondo Andrea Ichino non pare importante ciò che a noi sembra cruciale cioè mettere tutti nelle condizioni di scelta di avere figli (anche a chi non ha redditi elevati e chi non ha nonni vicini), visto che la popolazione cresce già abbastanza con il contributo degli immigrati.
Questa argomentazione ignora che la conseguenza maggiore della persistente denatalità italiana non è tanto il declino o meno della popolazione quanto gli squilibri che si creano nella sua struttura.
L’accentuato invecchiamento della popolazione italiana richiederebbe un riequilibrio attraverso una minore denatalità e una maggiore occupazione femminile. L’intenso invecchiamento della popolazione è proprio uno dei fenomeni che gli altri paesi meno ci invidiano. Anzi, sono particolarmente interessati a vedere come ce la caveremo nei prossimi decenni per capire quali errori evitare.
Come anche le ultime previsioni Istat confermano, l’apporto dell’immigrazione su questo aspetto è rilevante ma limitato. Sulla nota informativa di presentazione, si legge: “L’aspetto in assoluto più certo di tutte le previsioni è il progressivo e inarrestabile incremento della popolazione anziana (…), tanto in termini assoluti quanto relativi” (4).

AI:“Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato”

DB e AR: Questo è un tema che consideriamo molto importante e su cui stiamo lavorando. Soprattutto in un paese di figli unici e di genitori iperprotettivi, l’asilo con opportuni standard di qualità, può essere un utile strumento per una socializzazione più equilibrata dei figli. Un asilo inteso solo come parcheggio per il figlio è deleterio. Il bene del bambino lo si ottiene non solo se tale strumento aiuta la famiglia a proteggere il proprio benessere grazie alla possibilità della madre di non rinunciare al lavoro, ma anche, soprattutto, se fornisce benefici in termini di formazione e crescita. Per questo, come spesso sottolineiamo, è cruciale investire nella qualità dell’offerta, non solo sulla copertura.
Un’ultima precisazione. L’offerta di servizi per l’infanzia e’ strumento per ampliare le scelte delle famiglie, uno strumento disponibile assieme ad altri, che la coppia decide o meno di scegliere. Il problema è che attualmente in Italia, più di altri paesi, tale scelta è spesso negata per la carenza di un’offerta adeguata.
Come mostrano, poi, alcuni studi della Banca d’Italia, nelle regioni dove più ci sono asili nido più lunga è anche la lista di attesa, il che suggerisce che l’offerta di nidi di adeguata qualità può contribuire ad attenuare alcune resistenze culturali verso la delega della cura dei figli piccoli

(1) Linda Laura Sabbadini (2004, a cura di), Come cambia la vita delle donne, Demetra, Atti e interventi n. 6, Roma.
(2) Anna Cristina DÂ’Addio e Marco Mira dÂ’Ercole (2005), "Trends and Determinants of Fertility Rates in Oecd Countries: The Role of Policies", Oecd Social, Employment and Migration Working Papers.
(3) Pau Baizan (2009),  “Regional child care availability and fertility decisions in Spain”, Demographic Research, 21(27).
(4) Istat,Previsioni demografiche. 1° gennaio 2007-1° gennaio 2051. Nota informativa (19 giugno 2008).

QUANDO IL PIL FA I CONTI CON IL CAPITALE INTANGIBILE

Il Pil non misurerà la felicità, ma finché resta l’indicatore principale della statistica economica occorre cercare di calcolarlo al meglio. Oggi le spese per beni intangibili sono contabilizzate tra i costi, perché si ipotizza che non contribuiscano alla produzione futura. Se invece si considerano tra i beni capitali, il quadro della crescita economica di un paese diventa sostanzialmente diverso. Il capitale intangibile dell’Italia si compone per una quota molta alta di investimenti in consulenze. Mentre rimane bassa la spesa in ricerca scientifica.

L’UMILIAZIONE

Il regolamento votato dalla Commissione parlamentare di vigilanza, su delibera dell’Agcom, è stato esteso anche alle tv private, che hanno poi fatto ricorso al Tar. Finché il tribunale non si pronuncia, la norma, che è restrittiva rispetto alla legge sulla par condicio, ed ha gravi profili di incostituzionalità, vale anche per le tv private. Questo è un fatto gravissimo di cui, a mio avviso, non si è percepita la portata. In nessun paese democratico sono mai stati chiusi i programmi di approfondimento in diretta. Una decisione che costringe i giornalisti a calpestare ciò in cui credono e che priva il pubblico del diritto ad essere informato.
La norma scritta da Beltrandi (Partito radicale), quella che ha imbavagliato tutti, dice: “Le trasmissioni di informazione, con l’eccezione dei notiziari, a partire dal decorrere del termine ultimo per la presentazione delle candidature, sono disciplinate dalle regole proprie della comunicazione politica”.
Le regole della comunicazione politica sono quelle che regolano le tribune politiche: parlano tutti in uguale tempo. Impossibile trasformare un talk in tribuna politica e così si chiudono i talk e si impedisce ai programmi registrati di parlare di argomenti politici o intervistare politici.
Il fatto che Report invece vada regolarmente in onda non è indice di libertà, poiché la ragione è dovuta al fatto che è un programma registrato (quindi sottoposto ad un controllo preventivo), e la condizione è che non tratti argomenti politici, e non intervisti uomini politici. È un po’ complicato, visto che perfino a monte di un buco per strada c’è sempre un sindaco che ne deve rispondere. Nella mia non breve carriera professionale non ho mai vissuto un momento più umiliante.

LA SANITÀ IN ROSSO SI CURA COL FALLIMENTO POLITICO

La Regione è stata costretta a presentare un piano di rientro per i reiterati disavanzi sanitari e peraltro non brilla per la qualità dei servizi offerti, ma la giunta riconosce incrementi di stipendio ai dirigenti delle Asl. Una vicenda che mostra tutti i limiti degli attuali meccanismi di controllo sui sistemi sanitari regionali, basati sul presidente-commissario. Ma anche il voto dei cittadini non è un controllo sufficientemente forte. Ecco perché serve il fallimento politico. Magari associandolo con sanzioni finanziarie per i partiti che esprimono la giunta regionale.

UNA SMENTITA DELLA REGIONE CALABRIA E LA REPLICA DEGLI AUTORI

E’ completamente destituita di fondamento e già smentita nei giorni scorsi, quando è stata diffusa dal signor Pippo Callipo candidato alla presidenza della Regione che parlava addirittura di "premi", con il comunicato che segue:
CATANZARO, 17 FEB – “Callipo ha preso un abbaglio. Non c’è alcuna delibera della giunta, né quella citata né altre, che elargisce premi ai direttori generali della aziende sanitarie e ospedaliere”. Lo ha detto Pantaleone Sergi, portavoce del presidente della Regione Calabria Agazio Loiero. “Si tratta, quindi – ha aggiunto Sergi – di una polemica chiaramente strumentale per reiterare accuse contro la Giunta e i dipendenti regionali da parte di chi appare a corto di argomenti propositivi”.
“C’è invece – ha detto ancora Sergi – una delibera che fissa criteri generali e astratti, come impone la legge, per valutare l’attività e i risultati dei direttori generali, per verificare, insomma, se hanno raggiunto gli obiettivi assegnati o non li hanno raggiunti. Tutto qua”.
“Nella pubblica amministrazione, che è altra cosa rispetto al governo di un’azienda privata (sebbene lo stesso Callipo, in verità, ha distribuito premi ai propri dipendenti per i risultati positivi conseguiti dalla sua azienda), la legge – ha concluso Sergi – impone di effettuare valutazioni in base a griglie prestabilite. E, ripeto per evitare equivoci, nessun direttore generale ha avuto assegnato alcun premio, tanto meno con delibera di giunta”.
Nessun premio, dunque, e nessun aumento. Ma una smaccata provocazione elettorale.

Pantaleone Sergi – Portavoce del Presidente della Regione Calabria

 

Il testo della newsletter e de "Il Punto" in home page rappresenta una sintesi giornalistica degli articoli pubblicati, i cui argomenti sono ovviamente meglio precisati nel testo integrale. Qui di seguito gli autori replicano alla smentita del Portavoce del Presidente della Regione Calabria.

Ringraziamo il portavoce del Presidente Loiero per la segnalazione. Ma sinceramente non capiamo che cosa la smentita smentisca. Preghiamo il dottor Sergi di leggere con maggior attenzione il nostro articolo. Nell’articolo diciamo che il 28 gennaio 2010 la giunta calabrese ha riconosciuto un incremento fino al 20 per cento dello stipendio dei direttori generali delle aziende sanitarie, condizionato al raggiungimento di determinati obiettivi. E’ esattamente quello che è scritto nella delibera riportata in calce all’articolo. Certo che è previsto dal contratto di lavoro dei dirigenti generali delle ASL che parte della loro remunerazione possa dipendere dal raggiungimento degli obiettivi prefissati; è quello che si fa in tutte le Regioni. Solo che generalmente questi obiettivi sono ben specificati nelle delibere regionali; sono viceversa molto vaghi nella delibera della Regione Calabra, il che induce a qualche dubbio sulla capacità della giunta di verificare ex post, sulla base delle relazioni che i dirigenti generali devono presentare, l’effettivo raggiungimento degli obiettivi assegnati. Per sua informazione e per informazione dei lettori, alleghiamo a titolo di esempio una recente delibera della Regione Piemonte e una della Regione Sardegna, con allegata specificazione degli obiettivi per i dirigenti delle Asl. Un confronto con quello della Regione Calabria dovrebbe essere sufficiente a chiarire il nostro punto.Detto ciò, resta il punto politico di aver voluto riconoscere lo spazio per una retribuzione di risultato ai Dirigenti Sanitari, in una situazione che, come documentiamo nell’articolo, di buoni risultati sia sul piano finanziario che di qualità dei servizi offerti ai cittadini ne offre ben pochi. Come minimo, questi obiettivi avrebbero dovuto essere definiti in modo assai più stringente, e il Ministero dell’Economia avrebbe dovuto controllare che così fossero. Questo è il punto del nostro articolo.

Massimo Bordignon e Gilberto Turati

UN’ALTRA PRECISAZIONE DELLA REGIONE CALABRIA

Ho smentito e smentisco quanto da voi scritto, e cioè che "la Regione Calabria – testuale – ha aumentato del 20 per cento gli stipendi dei direttori generali delle sue aziende sanitarie" e spero che questa volta sia chiaro quel che affermo. Con la delibera da voi citata del 28 gennaio 2010 la giunta calabrese non ha riconosciuto alcun incremento fino al 20 per cento dello stipendio dei direttori generali delle aziende sanitarie come da voi ancora sostenuto, bensì ha fissato criteri generali e astratti, così come vuole la legge, prevedendo premialità per chi avrà raggiunto obiettivi prefissati. Tutto qua. Niente aumenti generalizzati, come si potrebbe intendere leggendo il testo della vostra newsletter e de "Il Punto" in home page. Anzi niente aumenti.
Prendo atto, tuttavia, delle vostre informazioni su quanto è stato fatto in altre Regioni e mi premurerò di far avere ai responsabili anche le vostre valutazioni critiche (che immagino siano il frutto di una comparazione della delibera della giunta calabrese, che non vedo però sul vostro sito, con quella di altre regioni e non di informazioni giornalistiche) e i vostri suggerimenti, che in quanto tali possono anche essere opinabili.
Vorrei approfittare della vostra ospitalità per alcune spiegazioni aggiuntive. E’ vero che la Sanità calabrese ha mille guai. Sono la conseguenza di gestioni fallimentari a cui la Giunta guidata da Agazio Loiero ha messo mano cercando, con difficoltà, di porre riparo. Intanto con la quantificazione di un debito enorme che per l’80 per cento è stato prodotto dalla giunta di centrodestra che ha governato la Calabria dal 2000 al 2005 (sono cifre accertate dall’advisor Kpmg inviato dal governo Berlusconi) e poi concordando con il governo un Piano di rientro ovviamente rigoroso, che non permette spese inutili. Nello stesso tempo ci si è preoccupati di migliorare la qualità dell’assistenza investendo sia fondi per centinaia di milioni che il Governo centrale ha tenuto bloccati per anni, sia con un programma straordinario che prevede la chiusura di dieci piccoli e inutili ospedali, spesso “strumenti di morte” più che di salute, e la contemporanea costruzione di 4 nuovi presidi moderni nelle strutture e nelle tecnologie (queste ultime migliorate anche negli altri nosocomi). E’ in atto, insomma, un grande sforzo di miglioramento della rete assistenziale in tutta la regione che prevede, tra l’altro, la costruzione di numerose “Case della Salute” con fondi europei già disponibili. Ci vorrà ancora del tempo ma l’obiettivo prioritario è quello di assicurare Livelli essenziali di assistenza a tutti i calabresi. Ci sono le risorse e ci sono le professionalità per farlo. Questo è il punto. Se in questo sforzo di miglioramento, come è auspicabile, ci saranno direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere, capaci, in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati, è doveroso, non solo perché lo prevede la legge, che siano adeguatamente trattati anche dal punto di vista economico. O no?
Grazie per lÂ’attenzione.

Pantaleone Sergi – Portavoce del Presidente della Regione Calabria

 

Ringraziamo nuovamente il dott. Sergi per le sue precisazioni. Come già osservato, il punto e la newsletter, a cura della redazione, rappresentano una semplificazione giornalistica dei contenuti di un pezzo e come tale possono essere talvolta imprecise. Per quello che ci concerne come autori, ci limitiamo a due sole osservazioni. Primo, non abbiamo dubbi che i problemi della sanità calabra vengano da lontano e che gestirla sia molto difficile. Ma sinceramente nei dati che abbiamo raccolto e che abbiamo riportato nell’articolo, tutta questa evidenza di miglioramenti durante la gestione Loeiro non l’abbiamo trovata. Secondo, si possono sicuramente pagare di più le persone che si impegnano di più, a partire dai direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere. Il problema è che per premiare qualcuno perché ha fatto qualcosa, bisogna prima definire che cosa deve fare. Nella delibera della regione Calabria (già pubblicata nel nostro articolo originario), a differenza di quello che normalmente succede nelle altre regioni (come dimostrato dal campione di delibere accluse alla nostra precedente risposta), di una chiara definizione degli obiettivi assegnati ai direttori generali non c’è traccia.
Cordialmente

Massimo Bordignon e Gilberto Turati

 

L’ELETTORE DISINFORMATO

La par condicio è un sistema di garanzia che non possiamo dismettere a cuor leggero nel contesto italiano di totale squilibrio nel controllo dei mezzi di informazione. Ma è un sistema pieno di difetti. Fino alle regionali non saranno più trasmessi sui canali pubblici programmi di approfondimento, una delle più importanti fonti di orientamento degli elettori. Intanto, pur rispettando un apparente equilibrio, molti telegiornali esercitano una distorsione delle notizie nel raccontare ai telespettatori quanto avviene in Italia e nel mondo. Dei problemi dell’informazione si discuterà anche al Festival dell’Economia di Trento, dal 3 al 6 giugno.

SE IL PICCOLO COMUNE HA TROPPI CONSIGLIERI

La Finanziaria per il 2010 aveva previsto una sensibile riduzione del numero di assessori e di consiglieri comunali. Poi il provvedimento è stato ritirato. Ma qual è l’effetto di tanti politici locali sulla finanza pubblica e lo sviluppo territoriale? Al crescere del numero di assessori e consiglieri si ha una ricomposizione delle spese correnti a favore di quelle per il personale, una minore autonomia impositiva e una qualità inferiore dell’offerta di beni pubblici, approssimata in base alle scelte di residenza degli individui.

INTERVENIRE PRIMA CHE PASSI LA NOTTATA

Disoccupazione all’8,6 per cento e Pil 2009 a -5 per cento: l’economia italiana soffre ancora i colpi di coda di una crisi ormai finita. Ma c’è lo spazio e la necessità per gli incentivi temporanei con efficacia limitata a sei mesi ai settori in difficoltà. Si tratta di permettere alle imprese di avviare processi di ristrutturazione in modo socialmente non distruttivo. Di interventi di questo tipo si parla da tempo, ma il governo continua inspiegabilmente a rinviarne l’adozione.

MANI PULITE. 15 ANNI DOPO

È in qualche modo cambiata la corruzione in Italia quindici anni dopo le inchieste di Mani pulite? Sì, una novità c’è ed è il carattere “sistemico” del fenomeno. È questa la risposta che fornisce uno dei più noti esponenti della magistratura nel brano che qui pubblichiamo tratto dalla sua prefazione a un libro di Alessandro Galante Garrone, in libreria in questi giorni: “L’Italia Corrotta, 1895 – 1996, cento anni di malcostume politico” (Aragno editore, 147 pagine, 10 euro). Galante Garrone, scomparso nel 2003, lo pubblicò per la prima volta nel 1996, raccontando e analizzando il fenomeno della corruzione con la sua esperienza di storico e giurista, con il suo rigore morale e intellettuale che vede le cose con un pessimismo non rassegnato.

QUEI CITTADINI CHE VOTANO MA NON PAGANO TASSE

Torna agli onori della cronaca la Circoscrizione estero. Per facilitare l’esercizio di un diritto dei connazionali che risiedono in altri paesi sarebbe bastato il voto per corrispondenza. Invece la legge sul voto degli italiani all’estero finisce per garantire una rappresentanza senza tassazione: cittadini che non pagano tasse in Italia e non usufruiscono dei servizi influenzano con il loro voto le tasse che gli italiani residenti pagano e i servizi che ricevono. Viceversa, gli immigrati regolari nel nostro paese sono soggetti a una tassazione senza rappresentanza.

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