Lavoce.info

Categoria: Argomenti Pagina 825 di 1083

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Le risposte dei lettori riflettono tre atteggiamenti:

– una diffidenza nei confronti dei fondi pensione e una preferenza per il sistema pubblico;
– un diffuso timore per le conseguenze del metodo contribuivo, e un rimpianto per le garanzie pubbliche del passato;
– una (giusta) indignazione nei confronti del “colpo di mano” della Camera.

I lettori che condividono la proposta del Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, di lasciare il TFR nella disponibilità delle imprese esprimono tutti una netta preferenza per il TFR in quanto tale (ossia come liquidazione). Queste risposte rafforzano la mia tesi sul messaggio “negativo” della proposta (in sé comprensibile), la quale pur limitandosi a stabilire un confronto tra utilizzatori intermedi del TFR (imprese grandi piuttosto che Tesoro), stabilisce indirettamente una preminenza del TFR sui fondi pensione. Per quanto comprensibile, oggi, alla luce della crisi finanziaria, questo tipo di giudizio (che contrasta nettamente con il favore entusiastico con cui l’introduzione dei fondi pensione fu accolta nel nostro paese, quasi che fossero l’elemento taumaturgico per tutti i mali dell’economia italiana) è però pericoloso. In tema di risparmio di lungo termine non ci si può affidare alle emozioni del momento. E’ un atteggiamento che riflette la mancanza di una cultura del rischio nel nostro Paese: quando si guadagna tutto va bene; quando si perde ci si chiede “dov’era lo stato, che non ha fornito la necessaria protezione”.

Non sappiamo se questa crisi segnerà una svolta nel funzionamento dei mercati finanziari. Quel che sappiamo è che nel passato il rendimento dei mercati finanziari è stato, in media, nel lungo periodo, assai superiore al tasso di crescita dell’economia. Il problema non è rifuggire dai mercati finanziari; piuttosto, si devono trovare modalità trasparenti e poco costose per ridurne i rischi e magari fornire qualche garanzia (di cui, tra l’altro, il TFR gode). E nel frattempo educare gli individui al risparmio per l’età anziana, che è necessariamente un risparmio di lungo termine.
Anche la diffidenza nei confronti del metodo contributivo nasce dalla mancanza di consuetudine con il rischio, e dalla facilità con cui, nel passato, gli oneri delle garanzie offerte alle generazioni presenti sono state addossati alle generazioni giovani e future (con il debito pensionistico). Il metodo contributivo è severo, in media, se “severa” (dal punto di vista della crescita) è il sistema economico. In questo caso, mentre è compito dello stato fornire una tutela ai più deboli, non ha senso cercare di dare a tutti più di quanto non sia finanziariamente sostenibile. Senza contare l’iniquità distributiva del vecchio metodo retributivo. Anche qui: il contributivo si può migliorare, ma screditarlo prima che sia entrato in vigore è sbagliato.
Quanto al provvedimento da “casta” condivido, ovviamente, l’indignazione dei lettori e mi piacerebbe vedere qualche reazione politica. 

PS Quanto alla presunta confusione tra i due fondi presso l’INPS, non mi pare che ci sia. E’ proprio al fondo di tesoreria che gestisce il TFR che facevo riferimento, non al fondo pensione “residuale”.

PER IL NUCLEARE UN CONSENSO MUTANTE

Con gli accordi intergovernativi e industriali siglati nel vertice italo-francese, ritorna alla ribalta l’interesse verso l’energia nucleare e una sua eventuale nuova partenza in Italia. Peraltro se ne parla, e molto, da mesi. E dai sondaggi sembra che vi sia una solida crescita del partito del nucleare nell’opinione pubblica. Ma a orientare il consenso contribuisce una molteplicità di fattori, la cui incidenza può variare sensibilmente a seconda di tempi e contesti di riferimento. Senza dimenticare la caratteristica di tecnologia sistemica propria dell’energia elettronucleare.

IL CONTRASTO ALL’EVASIONE? SINTETICO

Smantellati in nome della semplificazione gli strumenti che potevano permettere di ottenere, per via telematica, informazioni utili per il contrasto all’evasione, soprattutto di lavoratori autonomi e Pmi, E nella ricerca dei grandi evasori si procede in modo selettivo. La strategia del governo rende esplicito un patto di non belligeranza nei confronti dei piccoli e medi contribuenti. Però permette di quantificare aleatori aumenti di gettito. Intanto, diminuiscono le entrate dell’Iva. Anche per la consapevolezza che l’evasione è un’attività sempre meno rischiosa.

400 MILIONI PER FAR FALLIRE IL REFERENDUM *

Abbiamo in questo momento tre obblighi elettorali: elezioni europee, amministrative, referendum sulla legge elettorale. Il buon senso suggerisce di accorparle in un’unica scadenza. Ma il Governo ha deciso di abbinare in un’unica data soltanto le prime due consultazioni. E appare intenzionato a far tenere in data separata il voto referendario. Votare un altro giorno comporta un costo per la collettività di circa 400 milioni di euro. In tempi difficili come questi sarebbe bene utilizzare tali risorse per altri scopi.

OMBRE SULLA PREVIDENZA

Il presidente di Confindustria chiede al governo di lasciare il Tfr dei lavoratori presso le imprese, apparentemente una proposta ragionevole in tempi di stretta creditizia. Ancor più grave è la sospensione del metodo contributivo decisa per i dipendenti della Camera. Due fatti che lanciano un messaggio sbagliato, con il rischio di allontanare i lavoratori dai fondi pensione e, di conseguenza, da una decorosa integrazione alla pensione pubblica. Il pericolo è un ripudio del metodo contributivo, l’unico compatibile con la sostenibilità finanziaria del sistema.

COME SALVARE LE BANCHE *

La soluzione della crisi non passa attraverso la nazionalizzazione delle banche. Anzi, molto probabilmente sarebbe una scelta controproducente. Cosa fare allora? Lo Stato si impegni ad acquistare fino al doppio del numero di azioni oggi in circolazione al doppio del loro recente prezzo medio, ma fra cinque anni. Un improbabile intervento futuro con un impatto immediato. Si invertirebbero le dinamiche negative dei mercati azionari e le banche potrebbero tornare a raccogliere capitale privato. Senza costi per il contribuente.

NAZIONALIZZAZIONE: C’E’ DA FIDARSI?

Per riavviare le politiche di prestito occorre fare pulizia dei titoli tossici. Ma le banche sono in grado di farlo da sole oppure lo Stato deve gestire direttamente gli istituti, oltre che comprare i titoli? Si tratta di scelte pragmatiche, non ideologiche. E in Italia? Prima di tutto bisogna vedere se c’è davvero necessità di nazionalizzazioni. Poi dare adeguate garanzie sulla salvaguardia dell’autonomia della gestione delle politiche di credito e sulla durata dell’intervento statale. La storia passata e recente del nostro sistema bancario invita alla diffidenza.

IL FEDERALISMO COSTA SOLO SE FALLISCE

Il federalismo fiscale promette un risparmio, non maggiori spese. Perché il riferimento al costo standard elimina le inefficienze insite nella spesa storica. Il risparmio atteso sarà comunque quantificabile solo quando i decreti legislativi preciseranno le norme operative. Si trasformerà in costo solo in caso di fallimento della riforma e quindi di duplicazioni di funzioni e burocrazie o di irresponsabili sanatorie, come purtroppo già successo in passato. Il quesito di oggi riguarda quindi non le cifre, ma la probabilità di successo o di fallimento del progetto.

IL COMMENTO DI GIORGIO SANTINI *

Le argomentazioni di Boeri/Garibaldi nell’articolo Come cambia la contrattazione su lavoce.info rendono necessaria una risposta sui tre aspetti dell’accordo del 22 gennaio scorso che vengono maggiormente criticati.

  1. Nell’articolo si sostiene che con il nuovo accordo i lavoratori avranno una copertura contro l’inflazione inferiore rispetto al precedente modello.

Le motivazioni addotte appaiono per la verità abbastanza confuse e fanno riferimento a fattori molto diversi quali la riduzione generalizzata di almeno il 5% della base di calcolo e una ventilata ipotesi che “tutta la retribuzione di fatto” dovrebbe essere coperta dall’inflazione. La prima asserzione è sicuramente esagerata e fortemente pessimistica, poiché base di calcolo per i futuri aumenti contrattuali, risulterà dall’applicazione dell’accordo per alcuni settori migliorativa dell’attuale, per altri neutra, per alcuni  contratti (6) si continuerà con la base di calcolo già fissata da anni  nei CCNL.

La seconda tesi è particolarmente originale perché finora nessun contratto in nessun momento della pur lunga storia contrattuale italiana ha mai previsto una copertura dall’inflazione di tutta la retribuzione di fatto. Per la verità né la piattaforma CGIL CISL UIL su cui è avvenuto il negoziato né nessun soggetto presente al tavolo ha mai sollevato un problema simile. Noi possiamo sostenere con documentazione ufficiale che il nuovo indicatore di inflazione (IPCA depurata dall’energia) se fosse stato applicato negli ultimi 11 anni avrebbe garantito una copertura del tutto analoga (anzi leggermente superiore) all’indice ISTAT Famiglie Operai Impiegati (FOI), che, vogliamo ricordarlo era l’indice non per rinnovare i contratti (che avevano come parametro il Tasso di Inflazione Programmata), bensì per effettuare nel biennio contrattuale successivo i conguagli, tra l’altro con la depurazione delle ragioni di scambio.

Quindi possiamo dire senza ombra di possibile smentita che il nuovo indicatore IPCA se applicato negli ultimi 11 anni avrebbe garantito una piena copertura dell’inflazione reale rilevata ex-post dall’ISTAT.

Era esattamente la richiesta della piattaforma sindacale CGIL-CISL-UIL e ha trovato piena attuazione nell’intesa. Per il futuro, il nuovo indicatore sarà sicuramente migliorativo rispetto al parametro dell’inflazione programmata che in mancanza d’accordo resterebbe ancora il riferimento per rinnovare i CCNL.

  1. Nell’articolo viene criticata molto duramente l’incentivazione mediante la detassazione e la decontribuzione, del secondo livello di contrattazione, adducendo l’eccessivo costo a carico dei contribuenti.

Contemporaneamente si sostiene anche che con l’accordo non c’è nessuna sicurezza che avvenga l’estensione della contrattazione di secondo livello, dando a questa considerazione una connotazione molto negativa. Si può, quindi, presumere che anche gli autori pensino che sarebbe utile una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello.

E’ di tutta evidenza che proprio la consapevolezza della difficoltà di estensione della contrattazione aziendale (o territoriale) e contemporaneamente la comune valutazione della sua necessità per dare una spinta propulsiva alla produttività e alla competitività delle aziende, hanno spinto le parti a chiedere che venissero resi strutturali gli incentivi che riguardano sia le imprese (la decontribuzione) sia i lavoratori (principalmente la detassazione). Ora se l’obiettivo di sviluppare la contrattazione aziendale dei salari di produttività è ritenuto valido e necessario per il miglioramento del sistema, perché mai una incentivazione fiscale e contributiva dovrebbe essere talmente negativa, da essere così brutalmente stroncata?

Davvero non se ne vede la ragione. Tanto più che non vengono detassati salari tout court ma quella parte del salario legata alla produttività e ai risultati quindi per definizione la parte più economicamente fondata e sicuramente non inflazionistica.

  1. Si sostiene, infine, che non vanno confuse nella contrattazione collettiva la copertura contro l’inflazione con la ricerca di un legame più stretto fra salario e produttività, perché sono due problemi diversi che vanno affrontati con strumenti diversi. E lo si dice lasciando intendere che invece l’accordo contenga questa confusione.

Ora, tralasciando la considerazione che la proposta alternativa formulata dagli autori appare inestricabilmente intrecciata tra copertura dell’inflazione e retribuzione della produttività tutta in capo al Contratto Nazionale, configurando così un formidabile ritorno all’antico; se c’è una cosa chiara nella riforma è proprio quella che Boeri e Garibaldi  auspicano e cioè la separazione della dinamica retributiva legata alla copertura dell’inflazione, che è in capo al CCNL, dalla dinamica retributiva legata alla produttività che è in capo alla contrattazione di secondo livello. Si tratta di due strumenti diversi, esercitati da soggetti diversi, in luoghi diversi e in tempi diversi. E’ difficile pensare a qualcosa di più separato.
E’ una formula che ha il pregio della chiarezza e della semplicità ma soprattutto è una rivoluzione culturale in senso partecipativo delle relazioni sindacali nel nostro paese, fatto che da più parti e da molto tempo è stato sollecitato e che ora che si realizza viene poco valorizzato.
E’ ora importante che il sindacato si senta particolarmente impegnato a vincere questa sfida sul campo, individuando tutti quei percorsi negoziali che permettono un’effettività della contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale, collegata alla competitività e al buon andamento delle aziende, delle pubbliche amministrazioni, dei servizi, del terziario. In questo modo il lavoro può dare un grande contributo alla modernizzazione del nostro paese, così necessaria, anche per uscire in positivo da questadifficilissima fase di crisi economica.

* Segretario Confederale CISL

QUANDO IL PADRINO SI RIPRENDE I BENI CONFISCATI

Il governo modifica la destinazione dei beni sottratti alle mafie. Non tornano più alla società civile, ma sono dirottati ai ministeri e alle spese correnti, tramite aste pubbliche. Si tratta di una norma frettolosa e incoerente sotto il profilo giuridico. E’ inefficiente dal punto di vista economico e amplia l’area di illegalità perché incentiva i mafiosi a cercare prestanomi in ambienti sempre più allargati. E i ricavi per lo Stato potrebbero essere davvero minimi. La logica sembra quella di sottrarre sequestri penali e misure di prevenzione al controllo del giudice.

Pagina 825 di 1083

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén