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CRESCE L’UNIVERSITA’ DEGLI ABBANDONI

La proliferazione dell’offerta universitaria è stata una soluzione solo parziale all’annoso problema della bassa scolarizzazione degli italiani. La facoltà sotto casa ha favorito l’iscrizione di chi in passato avrebbero rinunciato per ragioni di costo, di motivazione o di preparazione. Però alla laurea arriva solo uno studente ogni due iscritti. Come affrontare la questione? Una soluzione è innalzare la selettività all’ingresso, ma richiede interventi per mantenere l’uguaglianza delle opportunità. Purché non si decida di abbassare gli standard per fare cassa.

LA STRANA LOGICA DELLA RESIDENZA

Considerare come preferenziale il titolo della residenza nella Regione nella quale ha sede l’amministrazione che indice il concorso pubblico, nel caso di pari collocazione di due o più candidati nella graduatoria finale, non è solo incostituzionale e contrario ai principi del Trattato dell’Unione Europea, è anche una norma illogica. Intanto perché è facilmente modificabile. E non è certo la soluzione al problema della pessima distribuzione territoriale del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

CLASSI PONTE? UN’INVENZIONE ITALIANA

Nei paesi avanzati non ci sono precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Ci sono invece molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel nostro paese la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito di più nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare solo verso queste gli alunni immigrati. Problemi di merito e metodo della proposta.

STUDIARE, L’INVESTIMENTO CHE NON RENDE

Tra il 1993 e il 2004 i rendimenti dei titoli di studio di livello universitario e di scuola media superiore sono diminuiti in Italia in modo consistente e statisticamente significativo. E la diminuzione è più marcata quando si considerano separatamente gli individui con un’età inferiore o superiore a 35 anni. Un risultato sorprendente soprattutto se comparato con le dinamiche di altri paesi sviluppati. Tre le possibili spiegazioni: il ruolo svolto dalle nuove tecnologie, la struttura del commercio internazionale, le caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro.

QUALI MIGLIORI?

GLI OBIETTIVI DEL PRINCIPALE

Il sistema universitario italiano (pubblico, speriamo ancora per molto) chiede ai docenti ricercatori di assicurare didattica e ricerca di qualità. Nonostante la bidimensionalità dell’obiettivo, è opinione corrente che un buon ricercatore sia in grado di assicurare una buona didattica e che quindi i due obiettivi non siano in conflitto. Non v’è dubbio, infatti, che la ricerca di qualità sia un ottimo complemento della didattica di qualità. È pur vero, tuttavia, che il tempo dedicato alla didattica è stretto sostituto del tempo dedicato alla ricerca. Se l’individuo concentra il proprio impegno principalmente nella ricerca è possibile che la prestazione sia contraddistinta da nicchie di didattica assolutamente marginale, congedi continui e sporadiche presenze, con limitatissime esternalità positive sulla crescita degli studenti. Allo stesso modo, se l’individuo è indotto dal sistema a spendere una maggiore quantità di tempo nella didattica, spiegando il vincolo di bilancio a centinaia di studenti, sperimenterà come minimo tempi di crescita più lunghi sul fronte della ricerca. Nelle carriere già mature, il conflitto tra gli obiettivi di didattica e ricerca si attenua (ma non sempre), anche grazie al supporto delle leve più giovani. Il giusto mezzo dipende dagli schemi di incentivo elaborati dal principale.

L’ACCADEMIA DEGLI INSIDER

Il meccanismo di reclutamento e progressione della carriera accademica è basato sulla stratificazione del potere accademico degli insiders. Le cariche politiche sono riservate alle fasce più alte, così come la gestione delle procedure di selezione. La progressione dipende, almeno formalmente, dalla qualità scientifica e la carriera è il meccanismo incentivante che dovrebbero dirigere l’impegno verso l’obiettivo di qualità della ricerca. A parte il noto inconveniente di promuovere gli individui “al loro livello di incompetenza” (Becker, Jensen e Murphy, 1988), non è chiaro perché debba esserci una così rigida piramide di potere. Sembra che il meccanismo di carriera si basi sull’ipotesi che il semplice incentivo economico non sia sufficiente a stimolare l’impegno del ricercatore e che ad esso debba essere necessariamente affiancata la promessa del maggiore potere accademico che deriva dal passaggio di fascia. Il maggiore potere accademico comporta la possibilità di dirigere le selezioni secondo le proprie preferenze di “scuola”, indirizzare i fondi alle attività e/o alle ricerche di interesse ecc. Se il nepotismo esiste è perché esso trova ragion d’essere nella stratificazione del potere.

LE COLPE DEI PADRI RICADANO SUI FIGLI!

Checchi e Jappelli propongono che “per limitare il nepotismo, i concorsi dovrebbero però prevedere alcune semplici regole di incompatibilità – ad esempio che non sia possibile assumere un ricercatore nelle università in cui si è conseguita la laurea o il dottorato.”
Non è una novità. Quando un sistema si incancrenisce la soluzione più semplice è quella di introdurre ancora un altro elemento di flessibilità al margine. Secondo la proposta di Checchi e Jappelli, coloro che aspirano a svolgere ricerca come professione non solo dovrebbero affrontare i lunghi anni di precariato sottopagato dei dottorati, master ecc., ma dovrebbero caricarsi dei costi aggiuntivi di una mobilità obbligatoria. Se è vero che la mobilità può essere un valore aggiunto per chi fa ricerca, è anche vero che l’insieme di opportunità di un precario della ricerca è sempre vincolato alle sue risorse finanziarie, che non necessariamente coincidono con il talento. Quali migliori saranno selezionati con questo criterio?

LE FASCE E GLI OBIETTIVI

Due obiettivi trasversali e tre fasce verticali creano un poligono dalle strane forme, che mostra contemporaneamente spigoli di eccellenza e volumi confusi. Peccato che l’emergere delle eccellenze dipenda spesso soltanto dalla “buona coscienza” di pochi. Ridurre le dimensioni di variabilità delle carriere potrebbe aiutare a rendere più trasparente, democratica ed efficiente la struttura dell’Università italiana.Per consentire una migliore distinzione degli obiettivi è bene riflettere sull’opportunità di valutare separatamente la performance di chi fa solo ricerca e non subisce gli effetti di sostituzione della didattica e chi, invece, sceglie consapevolmente di perseguire entrambi gli obiettivi. Due carriere differenti permetterebbero di salvaguardare la complementarietà “buona” tra didattica e ricerca, consentendo a coloro che non sono in grado di sopportare il costo scientifico della didattica di contribuire, secondo le proprie possibilità, alla crescita dell’accademia. Naturalmente, il maggior costo derivante dalla didattica dovrebbe essere opportunamente retribuito, creando così una divisione funzionale e retributiva tra i due tipi di carriera. All’interno di ciascun tipo di carriera, inoltre, la progressione dovrebbe limitarsi ad un democratico incremento retributivo, determinato in base al raggiungimento o meno dell’obiettivo o degli obiettivi a seconda della carriera.

A chi pretende di sapere tutto meglio degli altri,
gli uomini ben presto non daranno più consigli.
(Esagramma 31 dell’I Ching)

OBAMA, UN CANDIDATO POST-RAZZIALE

Il primo candidato afro-americano alla presidenza degli Stati Uniti non rappresenta la fine del divario tra bianchi e neri, che anzi sembra aumentare. La vera novità è la disponibilità degli elettori a votare un presidente nero. Anche perché Obama ha evitato di fare della razza uno strumento di campagna elettorale, allontanandosi dai leader più radicali. Si è poi dimostrato capace di gestire con abilità situazioni potenzialmente esplosive, come i rapporti con il reverendo Wright. E si è presentato agli americani come il primo politico post-razziale.

LO STATO DELLE BANCHE

Lo Stato ha assunto un ruolo da protagonista negli assetti proprietari degli intermediari. Ciò comporta molti rischi e incognite. I recenti decreti salva-banche varati dal governo prevedono correttamente che a tutela del contribuente le azioni pubbliche siano privilegiate nella distribuzione dei dividenti. Manca però un esplicito divieto del diritto di voto. Né si dice niente sulla durata della presenza statale, che dovrebbe essere temporanea e rigidamente delimitata. E le banche dovranno difendere la loro autonomia costruendo una governance virtuosa.

QUANDO LA CITTA’ E’ METROPOLITANA

Nella discussione sulla istituzione delle città metropolitane il governo non ha ancora offerto chiari indirizzi. E i vari spezzoni del mondo delle autonomie locali sono tutti impegnati in atteggiamenti di difesa della situazione esistente. Sarebbero invece necessarie innovazioni istituzionali per il governo delle grandi aree urbane in Italia, che facciano tesoro delle esperienze già attuate. E’ auspicabile un percorso graduale basato inizialmente su formule associative più strutturate di quelle sinora sperimentate.

STIME DI PRECARIETA’

E’ sempre più urgente definire accuratamente alcuni termini usati per descrivere l’attuale mercato del lavoro, poichè non hanno una interpretazione univoca. Ecco dunque alcune definizioni operative, e i relativi indicatori, dell’atipicità, della flessibilità, della precarietà e della discontinuità lavorativa, anche in termini longitudinali. Ogni anno abbiamo oltre un milione e mezzo di soggetti coinvolti in un periodo di non occupazione. Rappresentano la domanda potenziale dei nuovi ammortizzatori sociali.

UN NOBEL PER L’ECONOMIA, SENZA POLEMICHE

Non sono gli editoriali sul New York Times che hanno dato a Paul Krugman il premio Nobel, ma gli importanti risultati scientifici negli studi del commercio internazionale, della localizzazione delle attività produttive e degli effetti dei rendimenti di scala sul funzionamento dei mercati e dei processi di agglomerazione. E’ stato il primo a intuire l’importanza per la comprensione del mondo moderno di idee in circolazione da tempo, ma che gli economisti precedenti non erano stati in grado di affrontare sul piano analitico.

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