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QUANDO LA CITTA’ E’ METROPOLITANA

Nella discussione sulla istituzione delle città metropolitane il governo non ha ancora offerto chiari indirizzi. E i vari spezzoni del mondo delle autonomie locali sono tutti impegnati in atteggiamenti di difesa della situazione esistente. Sarebbero invece necessarie innovazioni istituzionali per il governo delle grandi aree urbane in Italia, che facciano tesoro delle esperienze già attuate. E’ auspicabile un percorso graduale basato inizialmente su formule associative più strutturate di quelle sinora sperimentate.

RIAPRIRE IL CANTIERE DELLE REGOLE *

L’applicazione delle regole di Basilea 2 avrebbe portato a un consistente aumento dei requisiti patrimoniali delle banche e non avrebbe comunque consentito l’utilizzo di strumenti come cartolarizzazioni e derivati per finalità di mero risparmio di capitale di vigilanza. Mettendo forse in difficoltà il modello di business di molte banche d’affari. Per questo gli Stati Uniti ne hanno ritardato l’introduzione. Fino alla crisi di oggi. Che accelera la necessità di completare quelle norme. Perché l’innovazione finanziaria è un processo inevitabile.

SE IL LAVORATORE NON SI RIALLOCA

Il problema della bassa crescita italiana è fondamentalmente un problema di produttività. E non basta che cresca all’interno delle imprese, è altrettanto importante che i lavoratori si spostino verso le aziende più efficienti. Un processo che registra un picco durante la recessione della prima metà degli anni Novanta, caratterizzata da un forte processo di ristrutturazione. Dopodiché creazione e distruzione dei posti di lavoro rimangono stabili attorno a valori modesti, nonostante un aumento nella dispersione della performance delle imprese.

STIME DI PRECARIETA’

E’ sempre più urgente definire accuratamente alcuni termini usati per descrivere l’attuale mercato del lavoro, poichè non hanno una interpretazione univoca. Ecco dunque alcune definizioni operative, e i relativi indicatori, dell’atipicità, della flessibilità, della precarietà e della discontinuità lavorativa, anche in termini longitudinali. Ogni anno abbiamo oltre un milione e mezzo di soggetti coinvolti in un periodo di non occupazione. Rappresentano la domanda potenziale dei nuovi ammortizzatori sociali.

UN NOBEL PER L’ECONOMIA, SENZA POLEMICHE

Non sono gli editoriali sul New York Times che hanno dato a Paul Krugman il premio Nobel, ma gli importanti risultati scientifici negli studi del commercio internazionale, della localizzazione delle attività produttive e degli effetti dei rendimenti di scala sul funzionamento dei mercati e dei processi di agglomerazione. E’ stato il primo a intuire l’importanza per la comprensione del mondo moderno di idee in circolazione da tempo, ma che gli economisti precedenti non erano stati in grado di affrontare sul piano analitico.

FACOLTA’ DI AGRARIA: TUTTO IN FAMIGLIA

Perché interessa tanto il nepotismo nell’università italiana? Perché rappresenta la punta dell’iceberg del malcostume che inevitabilmente si instaura quando non vi siano incentivi e penalità, sia a livello individuale che di ateneo, nel reclutamento del personale accademico. I casi delle facoltà di Agraria di Catania e Palermo, con un buon numero di docenti di uno stesso dipartimento legati da rapporti di stretta parentela.

ECONOMISTI E PREVISIONI

Dare addosso agli economisti sembra sia diventato uno sport nazionale. Lo ha fatto il Ministro del Tesoro che li ha invitati a tacere, già li criticava Eugenio Scalfari ai tempi del governo Prodi (essenzialmente perché non risparmiavano critiche anche a quel governo), ora inaspettatamente si aggiunge al coro anche Lei, Professor Sartori, che dal pulpito del Corriere della Sera tuona per la seconda volta in pochi giorni contro gli economisti per non aver saputo prevedere la crisi finanziaria e quindi consentire di evitarla (anche se da una cosa non segue lÂ’altra – Cassandra insegna). Lei non se la prende con tutti gli economisti (nel mucchio è ovvio che qualcuno avrà previsto giusto) ma solo con quelli di rilievo, nessuno dei quali secondo lei “… ha davvero visto in tempo e capito a fondo i fatti e misfatti di Wall Street”. Fa eccezione Paul Krugman, che però secondo Lei non sarebbe abbastanza economista (assomiglia piuÂ’ a uno scienziato politico?). E si chiede: “Mi sono sbagliato?”
Sì, caro Sartori, si è sbagliato. Per capire perché, occorre intendersi su che cosa sia una previsione. Uso la sua definizione per comodità: “dato un ben circoscritto e precisato progetto di intervento, quale ne sarà precisamente l’effetto? Riuscirà come previsto o no? Se no, perché no?”. Dice bene, dato un ben circoscritto progetto etc., e lei infatti cita il “mattarellum” come esempio su cui Lei si è esercitato a prevederne con ragione gli effetti nefasti. Purtroppo la crisi finanziaria non è il mattarellum. Non c’è nessun “precisato progetto di intervento” a cui si possa imputare la crisi. Vi sono molti elementi che congiuntamente hanno prodotto la miscela della crisi finanziaria: la politica monetaria eccessivamente espansiva di Greenspan dopo lÂ’11 settembre, la bolla immobiliare (sostenuta anchÂ’essa dalla politica monetaria della FED), la riduzione dei coefficienti di capitalizzazione delle banche dÂ’affari e numerosi altri – incluso lÂ’assetto privato di Fannie Mae and Freddie Mac e la natura pubblica delle garanzie che essi offrivano sui mutui. LÂ’importanza di questi elementi e il loro potenziale destabilizzante sono stati messi in evidenza da tanti economisti. Uno per tutti: Robert Shiller e i suoi scritti sulla bolla immobiliare o sull’“esuberanza irrazionale” dei mercati americani. Ovviamente nessuno ha previsto che ad agosto di questÂ’anno la crisi sabebbe precipitata in una crisi di fiducia e che questa ad ottobre sarebbe potuta degenerare in corsa agli sportelli. Si poteva prevedere tutto ciò con congruo anticipo, in particolare il timing di questi eventi? No. Così come Lei non ha previsto e non poteva prevedere che i politici italiani avrebbero adottato il mattarellum. Ciò che Lei ha fatto è analizzare le possibili conseguenze di quella legge servendosi dello strumentario analitico che la sua disciplina Le mette a disposizione. Prevedere gli effetti di “un progetto di intervento” una volta adottato è una cosa, prevedere lÂ’ adozione di un determinato progetto di intervento è cosa diversa e molto più complessa: richiede che si prevedano le mosse e le astuzie di Bossi, quelle di Berlusconi, il potere contrattuale degli altri partiti, etc. È opera improba anche per un politologo del Suo calibro. Infatti non ci ha provato: ha aspettato che facessero e poi ha sentenziato quali sarebbero state le conseguenze. E ha fatto la cosa giusta. Ma se uno dovesse applicare a Lei e alla scienza politica quello che Lei chiede alla scienza economica e agli economisti, allora ci avrebbe dovuto avvisare con congruo anticipo che i politici di casa nostra avrebbero partorito il mattarellum. Non lo ha fatto.
Se prevedere è quello che dice lei, allora gli economisti lo fanno di routine. Con riferimento alla crisi e “ai ben precisati progetti di intervento”, molti economisti hanno capito e previsto che il piano Paulson, nella versione iniziale, non avrebbe funzionato perché non interveniva nel capitale delle banche (vedi l’articolo di Luigi Zingales “Why Paulson is wrong”). L’amministrazione americana ha modificato il provvedimeno di conseguenza. In tanti abbiamo anticipato che provvedimenti adottati in via isolata dai paesi europei, senza un serio coordinamento sarebbero stati inefficaci come risposta alla crisi. Chissà, forse anche per questo alla fine i governi hanno convenuto su una serie di misure comuni. Da tanti anni, da quando è stata adottata la moneta unica, andiamo predicando che bisogna avere un’istituzione che faccia vigilanza per l’intera Europa. Lo facciamo perché prevediamo che sia questo l’assetto istituzionale migliore per prevenire l’emergere delle crisi e per gestirle se la prevenzione non fosse sufficiente. L’abbiamo fatto sulle riviste e non pretendo che Lei le legga, ma l’ha fatto Francesco Giavazzi tante volte dalle colonne del suo giornale, e quello suppongo che Lei lo legga (da ultimo Marco Pagano).
Tutto questo, mi darà atto, è prevedere secondo la sua definizione; nè più nè meno. E, mi pare che sia chiaro dagli esempi, queste previsioni sono fatte per cercare di prevenire. Che effettivamente ci si riesca è un altro paio di maniche. Qui entra in gioco la politica e anticiparne le mosse è più compito Suo che degli economisti.

FAMIGLIE A DISAGIO IN ITALIA*

In Europa, governi conservatori e progressisti hanno fatto proprio l’obiettivo di dare una risposta al disagio sociale delle famiglie. Non in Italia. Eppure, le disparità di reddito tra ricchi e poveri sono maggiori da noi che nella media dei paesi Ocse, le diseguaglianze nella distribuzione del reddito sono aumentate nel tempo e il rischio povertà è al 14 per cento per le famiglie con figli. Il costo dello status quo per la crescita economica futura potrebbe essere ben più salato di quello di riforme ambiziose, soprattutto se ben concepite.

UNO SCAMBIO INTERTEMPORALE CONTRO LA RECESSIONE

E’ probabile che la recessione si faccia sentire in Italia più che altrove. E la proclamata tolleranza europea sui disavanzi rimarrà comunque molto attenta nei confronti di un paese che ha un debito pubblico ancora così alto. Oltre a una politica monetaria della Bce che spinga in basso i tassi d’interesse, resta la possibilità di ricorrere a interventi di bilancio volti a sostenere la spesa per consumi. Da accompagnare con una manovra strutturale simultanea, che definisca un profilo di rientro dal disavanzo e dal debito nel medio-lungo periodo.

INSEGNAMENTI DISPERSI *

Il ritardo della scuola italiana nei confronti di quella degli altri paesi europei, e del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, non si limita ai livelli di apprendimento degli studenti, ma riguarda anche la dispersione scolastica. Che si concentra per lo più tra la fine della scuola media e l’inizio della secondaria superiore. Un background familiare meno agiato aumenta le probabilità d’insuccesso, ma anche l’offerta educativa locale conta. Il tempo lungo riduce sia la dispersione sia il condizionamento della famiglia d’origine sui risultati scolastici.

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