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LA RISPOSTA AI COMMENTI

La maggior parte dei commenti ricevuti concordano con quanto sostenuto nel nostro articolo e cioè che le modifiche introdotte dalla riforma Gelmini, e in particolare i tagli alle ore e al personale scolastico, non aiutino la scuola e tanto meno le famiglie. Alcuni commenti hanno sottolineato come queste modifiche siano in contrasto con i diritti delle donne lavoratrici contenuti nella Costituzione.
Altri  commenti fanno invece riferimento ai confronti internazionali sui risultati ottenuti dagli studenti Italiani.

Ci sono alcune precisazioni da fare in tal proposito:

1) I risultati delle indagini TIMM (capacità logico matematiche) e PIRLS (capacità di lettura e comprensione) condotti su bambini nel quarto anno di scolarità obbligatori (circa 10 anni) dicono che in quanto a capacità logico-matematiche siamo sopra la media dei Paesi considerati, mentre per quanto riguarda le capacità di lettura e comprensione siamo nei primi 10 Paesi (prima di Francia, US, Danimarca…). Sono invece i risultati PISA (indagine condotta tra studenti di 15 anni) ad essere alquanto deludenti per gli studenti italiani.
Da questo possiamo trarre una serie di conclusioni:

a. Sembra che il primo ciclo dell’istruzione in Italia (particolarmente colpito dalla riforma e dai tagli del Ministro Gelmini) non produca risultati così deludenti come invece accade, presumibilmente, per i cicli successivi;
b. Questi sono risultati che guardano solo agli outputs del sistema educativo e non confrontano gli inputs.

C’è da stupirsi invece di come le scuole primarie italiane, nonostante la scarsità di fondi per la didattica e la realizzazione dell’offerta formativa, riescano a produrre così buoni risultati.

Siamo tra i Paesi Europei che spendono meno in istruzione e per questo motivo riteniamo che se davvero si vuole migliorare la scuola in Italia sia necessario aumentare e non diminuire l’investimento in istruzione. Migliorare la retribuzione e ridurre i tempi del precariato, che oggi può durare anche 10-12 anni, può consentire di rendere più attraente la scelta di intraprendere l’attività di insegnamento con positivi effetti sulla qualità dei docenti.

2) Un lettore in particolare ci ha contestato che nell’articolo che prendiamo come riferimento circa la problematica maestro unico/più maestri i risultati siano riferiti a bambini di età maggiore rispetto a quelli delle elementari.

Come si può evincere dal link qui sotto riportato

http://www.retescuole.net/contenuto?id=20081019234431&query_start=21

l’importanza della specializzazione e della pluralità di approcci anche nei primi anni della formazione scolastica viene sostenuta da autorevoli esperti di pedagogia e ricerca educativa e formativa. Ciò che conta per il bambino (e questo lo spiegano già le educatrici dei nidi) è il sistema di riferimento con cui il bambino si rapporta e non il maestro di riferimento. La pluralità di insegnanti permette di coinvolgere i bambini, già nella prima fase dell’apprendimento, nello scambio e nelle interazioni tipiche del lavoro in team.

QUEL CAPITALE CHE MANCA AL SUD ITALIA

Perché la Spagna ha ridotto nel tempo le ampie differenze regionali che la caratterizzavano, mentre in Italia non ci siamo riusciti? Se invece che al Pil procapite, guardiamo alla nozione di capitale sociale, scopriamo che il Sud e il Nord della Spagna sono sempre stati più omogenei. Ed è proprio la maggiore omogeneità che ha probabilmente consentito il recupero. Ha creato le condizioni perché potessero dispiegare i loro effetti gli altri fattori di convergenza: istruzione, investimenti in infrastrutture e tasso di criminalità.

AIUTI IN CRISI

La crisi finanziaria globale potrebbe avere influenze negative sulle promesse di aumento degli aiuti internazionali e minare gli sforzi globali di lotta della povertà. Il governo italiano, al contrario di altri paesi europei, ha già sostanzialmente ridotto gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo. Ma se la tendenza si consolidasse a livello mondiale, diventa importante pensare a come sfruttare al meglio le risorse disponibili. Ecco tre possibili proposte, una delle quali particolarmente provocatoria e interessante.

SALARI PIU’ ALTI PER LA LOCOMOTIVA GERMANIA

La Germania affronta meglio di altri paesi la crisi finanziaria: non deve fare i conti con una bolla immobiliare né con famiglie troppo indebitate. La cogestione ha permesso alle imprese tedesche di ristrutturarsi e il paese ha fondato la sua più recente crescita su moderazione salariale ed esportazioni. Il rovescio della medaglia sono i consumi privati bassissimi. Il governo tedesco deve perciò intervenire con misure incisive e rapide per sostenere la domanda interna. Servono aumenti dei salari, ma anche politiche di bilancio permanenti, indirizzate alle famiglie più povere.

FEDERALISMO E CONCORRENZA FISCALE

La proposta di introdurre forme di fiscalità di vantaggio a favore delle Regioni meridionali gioca un ruolo rilevante nel disegno di legge Calderoli sul federalismo fiscale. Ma l’Unione Europea accetta simili ipotesi solo a condizione che non ci sia compensazione delle perdite di gettito da parte del governo centrale. E’ dunque possibile immaginare uno scenario in cui le Regioni del Sud decidano di abbassare le aliquote dei tributi loro assegnati con l’obiettivo di attrarre investimenti dall’esterno. Si tratterebbe però di concorrenza fiscale.

RISTRUTTURARE LA SPESA CONTRO LA CRISI

E’ possibile intervenire per ridurre l’entità e la durata della recessione senza peggiorare i conti pubblici del dopo-crisi. Ma bisogna concentrare le poche risorse disponibili su due o tre misure destinate a durare nel tempo. Le briciole sparse per accontentare un po’ tutti che sono state elencate all’incontro del governo con le parti sociali sono inefficaci. Le coperture delle politiche espansive dovranno essere parimenti selettive. Si può sfruttare la recessione per avviare un processo di ristrutturazione della spesa pubblica che porti a consistenti risparmi nel corso del tempo, non necessariamente subito.

E ADESSO IL DEBITO COSTA MENO

La crisi finanziaria potrebbe avere anche un effetto collaterale positivo: la riduzione del costo del debito per lo Stato. Da una parte c’è infatti la diminuzione dei tassi ufficiali decisa dalla Bce, che riduce la spesa per interessi. Dall’altro, la fuga dall’investimento in Borsa, che si traduce in un aumento di domanda per gli strumenti finanziari più sicuri, anche a costo di doversi accontentare di bassi rendimenti. Una prima stima prudenziale indica in quasi 4 miliardi di euro il risparmio in un anno sul servizio del debito. Risorse utili per iniziative di sostegno all’economia.

IL NUCLEARE COME MOTORE DELLO SVILUPPO *

La volatilità dei prezzi del petrolio e la forte dipendenza energetica del nostro paese hanno riportato all’attenzione il tema del nucleare. Nel 1987 il referendum abrogativo, influenzato dal disastro di Chernobyl, ha sancito la fine dell’esperienza italiana nell’atomo. Oggi siamo circondati dagli impianti dei paesi vicini, la tecnologia è migliorata notevolmente e le nuove installazioni sono indubbiamente più sicure di quelle di vent’anni fa. Sono ancora legittimi i timori verso il nucleare? Si potrebbe partire dalla riattivazione di Caorso e Trino Vercellese.

DA LEHMAN A CITIGROUP: TRE DOMANDE A MARCO ONADO

Anche Citigoroup è stata salvata, ed è l’ultima di una lunga serie. Ma è possibile proseguire all’infinito con questi piani di salvataggio?

“Non è possibile che venga annunciata una crisi dopo lÂ’altra con questa politica del carciofo e che non si passa trovare un piano complessivo come doveva essere allÂ’inizio il piano Paulson. Qui c’è in atto un fallimento delle autorità di regolazione soprattutto americana ma anche dello stesso governo che non riesce più a padroneggiare la situazione: in questo momento di transizione da una situazione allÂ’altra i problemi si aggravano ma qui in ballo lÂ’economia mondiale.”

 Perché il fallimento di Lehman Brothers ha aggravato la crisi?

“Perché ha istillato nel mercato il dubbio e poi il panico. Il dubbio che la qualità degli asset sia inferiore a quella effettiva e il panico che il prossimo può creare una crisi di carattere sistemico come in effetti sta creando. Con il senno di poi, far fallire Lehman è stato un errore tragico che lÂ’intero sistema finanziario sta pagando. E per voler dare un esempio si è compromessa la stabilità mondiale. EÂ’ evidente che il mondo dopo la metà di settembre è cambiato e lÂ’evento che lÂ’ha fatto  cambiare è il fallimento di Lehman Brothers.”

Ritiene sia tuttÂ’ora valida lÂ’affermazione del ministro Tremonti, secondo il quale lÂ’Italia non ha bisogno di un piano di salvataggio?

Non ero dÂ’accordo quando lÂ’ha detto la prima volta  e tanto meno sono dÂ’accordo adesso che si è arrivati al salvataggio di Citigroup o dopo il piano Paulson. Tutti gli altri paesi hanno varato dei sostegni alle loro banche. EÂ’ tempo che lÂ’Italia si adegui.”

IL RITORNO A COLBERT

Il recente articolo di Salvatore Rossi ha sollevato l’importante questione: chi ha fallito, lo stato o il mercato?Chi è stato a causare la crisi finanziaria ed economica che stiamo attraversando? Per alcuni osservatori la risposta è ovvia. Il fallimento è avvenuto nel mercato. Siccome molti esponenti politici di alto rango condividono questo punto di vista, ci troviamo di fronte alla possibilità di un ritorno a Colbert ed alle nazionalizzazioni delle imprese, ai dazi doganali, alle banche di sviluppo con crediti agevolati, ai sussidi alle imprese, e così via. Tanto, se il mercato non funziona, perché non lo sostituiamo con le decisioni dei politici che non farebbero gli errori del mercato e che potrebbero introdurre più etica nelle relazioni economiche? Ciò vorrebbe dire abbandonare le lezioni che abbiamo appreso da tanti esperimenti falliti nel secolo scorso.

Come sosteneva Rossi nel suo articolo, ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il mercato ha fallito perché lo stato o meglio quelli che lo rappresentano non hanno fatto quello che era loro responsabilità fare. Cosa avrebbero dovuto fare? I lettori mi scuseranno se per rispondere a quella domanda riferirò ad alcuni miei articoli scritti anni prima della crisi che stiamo attraversando. Come esponente senza apologie del pensiero liberale – che crede che il mercato libero sia lo strumento più efficiente per migliorare il tenore di vita dei popoli (dando allo stesso tempo maggiore libertà) – non ho mai creduto al fondamentalismo di mercato, ossia allÂ’idea o alla religione che il mercato ha sempre ragione. Questo è il pensiero di una setta religiosa e non di molti economisti liberali di cui Einaudi era lÂ’esponente più importante in Italia.

Il Cato Journal, uno dei più autorevoli rappresentanti del pensiero liberale attuale, nel 2005 (autunno) mi fece l’onore di pubblicare un mio articolo su quella che dovrebbe essere la funzione economica dello stato.A pagina 631 l’articolo riportava che:

“Nei mercati finanziari….c’è bisogno che il governo eserciti una funzione di vigilanza e di regolamentazione. Questa funzione non si può e non si dovrebbe lasciare al settore privato….Dovrebbe essere una delle attivita’ fondamentali dello stato.” In una “Special Invited Lecture” all’Università Cattolica di Milano (14 giugno 2005), pubblicata dalla Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze (fascicolo 3-2005) avevo ripetuto che “In una economia di mercato la funzione più essenziale o più fondamentale dello Stato dovrebbe essere quella di far funzionare il mercato nel modo più efficiente possibile. Conseguentemente una funzione regolatoria efficiente dello stato, verso il funzionamento dell’economia, dovrebbe essere considerate assolutamente fondamentale”.
QuestÂ’ultima frase era addirittura in corsivo.

E’ ovvio da questi riferimenti, e potrei darn altri, che far parte del pensiero liberale non vuol dire essere contro le regole. Alcuni osservatori confondono i “fondamentalisti di mercato” con i liberisti che credono in uno stato efficiente ma ridimensionato insieme ad un mercato con regole precise imposte da politici intelligenti. Sicuramente Luigi Einaudi non era un fondamentalista di mercato. Speriamo che ci sIano ancora politici intelligenti capaci di capire la loro funzione in una economia di mercato.

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