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COME RIMETTERE LE ALI AL CARGO

Uno dei maggiori handicap di competitività dell’Italia è la mancanza di una cultura e di una organizzazione logistica moderna. Perché allora non approfittare della crisi di Alitalia e far sì che Poste italiane e Ferrovie dello Stato costituiscano il nucleo iniziale di un polo industriale nella logistica? Magari seguendo l’esempio dei tedeschi. L’operazione sarebbe certo complessa sotto il profilo industriale, finanziario, di governance e della concorrenza. Ma è proprio qui che dovrebbe intervenire lo Stato, per delineare un disegno industriale coerente.

EREDITA’ TROPPO VINCOLATE

Le imprese familiari svolgono un ruolo decisivo nella vita economica di molti paesi. Il loro sviluppo è influenzato dal modo in cui il controllo passa da una generazione all’altra. Perché norme restrittive sulla successione possono ridurre la capacità di investire e di crescere. E la riduzione è tanto maggiore quanto peggiore è la tutela legale dei finanziatori. In Italia, lasciare maggiore flessibilità al testatore potrebbe rimuovere un ostacolo importante agli investimenti delle imprese familiari. E avere effetti positivi sulla crescita economica.

LA FIDUCIA ABBASSA I TASSI

L’approvazione del nuovo Regolamento emittenti della Consob rappresenta un salto di qualità assai significativo verso regole efficaci di correttezza e trasparenza dei mercati e per la prevenzione di incomprensioni, inefficienze e persino vere proprie crisi di fiducia. Dovrebbe essere interesse degli stessi intermediari finanziari, attenti alle esigenze dei clienti e alla creazione di rapporti di lungo periodo, favorire l’adozione di criteri regolativi che in ultima analisi si rivelano strumenti di salvaguardia e solidità anche sul lato dell’offerta.

TRIONFO DELLA BUROCRAZIA

Per garantire che la compilazione del modulo di dimissioni volontarie sia una libera scelta del lavoratore occorrono sistemi di indagine e strumenti che certifichino la provenienza del documento da chi lo compila. Come la firma digitale o l’intervento di un pubblico ufficiale. Ma il vero deterrente agli abusi nella gestione dei rapporti di lavoro sono i controlli. La vicenda della legge 188/2007 mosta che l’irrigidimento delle norme troppo spesso serve solo a esaltare le capacità elusive.

CHI PIANGE SULL’EURO FORTE*

La rivalutazione della moneta europea è un problema per gli esportatori che devono ridurre i margini. Ma è una buona notizia per i consumatori. O almeno per gli importatori dai paesi dell’area dollaro, che realizzano grandi guadagni. D’altra parte, ben più delle banche centrali sono i mercati finanziari a dettar legge sui tassi di cambio. Ed è bene che sia così. Perché nessuno sa quale sia il giusto livello del dollaro. Tanto meno quei governi che ascoltano troppo chi oggi piange e troppo poco chi ride.

LA RISPOSTA DI FAUSTO BERTINOTTI, CANDIDATO DELLA SINISTRA ARCOBALENO

La nostra coalizione ha prodotto diverse risposte per delineare una strategia anticriminalità efficiente, che soprattutto miri a sconfiggere l’egemonia mafiosa nel nostro paese. Sono proposte portate avanti anche dalla recente commissione antimafia e recepite nel disegno di legge “ misure di contrasto alla criminalità organizzata” che, purtroppo non ha avuto il modo di venire alla luce per la caduta anticipata del governo , ma  che hanno permesso di iniziare un percorso positivo che auspichiamo non venga interrotto nella prossima legislatura. Il contrasto alle mafie ed alla grande criminalità è parte fondante del programma della Sinistra l’Arcobaleno ed il nostro prossimo gruppo parlamentare che verrà eletto sarà a vostra disposizione per ulteriori proposte positive che possano giungere in tal senso.

1)      Creazione di un Testo unico della legislazione antimafia, per armonizzare e garantire maggiore organicità ad una materia così complessa e articolata, partendo dal lavoro svolto dalla Commissione Fiandaca
2)      Una legge che permette di perseguire con efficacia gli intermediatori illegali delle armi
3)      Rafforzamento della tutela e delle opportunità di reinserimento sociale ed economico delle vittime della tratta degli esseri umani
4)      Nuovi strumenti in materia di lotta al caporalato e ad ogni forma di sfruttamento lavorativo delle persone
5)     Ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e garanzia dell’indipendenza dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella Pubblica amministrazione, oggi di nomina governativa
6)      Coordinamento della legislazione nazionale con le leggi regionali in materia di solidarietà alle vittime delle mafie e ai loro familiari, al fine di garantire una uniformità di interpretazione dei presupposti per il riconoscimento dello status di vittima di mafia.
7)      Introduzione di una legislazione specifica per le vittime della criminalità comune
8)      Una legge che istituzionalizza il 21 marzo come Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie
9)      Una nuova normativa in materia di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose per garantire il ripristino effettivo della legalità all’interno delle amministrazioni comunali e sostenere, anche con maggiori risorse finanziarie, l’azione dei commissari prefettizi.
10)  Rafforzamento della normativa in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nella gestione degli appalti, a garanzia della trasparenza e della legalità nei contratti di lavoro, servizio e fornitura della Pubblica Amministrazione.

11)  Una nuova norma che definisca il sostegno esterno all’associazione mafiosa, per venir meno ai limiti dell’attuale formulazione dell’articolo 416 ter del codice penale
12)  Una legge specifica sui testimoni di giustizia (oggi la legge n. 45 del 2001 disciplina anche e soprattutto i collaboratori di giustizia) per porre fine alle criticità emerse con l’attuale sistema e garantire il loro effettivo, concreto e dignitoso reinserimento sociale ed economico
13)  Rafforzamento degli strumenti di aggressione alle ricchezze delle mafie (anche attraverso una razionalizzazione della legislazione in materia di patrimoni di mafia) e creazione di un’Agenzia nazionale per la gestione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata
14)  Estensione dell’uso sociale dei beni confiscati ai delitti contro la Pubblica Amministrazione (ad es. corruzione)
15)  Rafforzamento e rifinanziamento del Fondo di prevenzione per le persone a rischio di usura previsto dalla legge n. 108/96
16)  Adottare nuovi strumenti e rafforzare quelli previsti dalla legge n. 44/99 per una maggiore incisività dell’attività delle associazioni antiracket
17)  Introduzione dei reati ambientali all’interno del codice penale, per un più efficace contrasto al fenomeno delle ecomafie
18)  Rafforzamento degli strumenti e delle strutture di cooperazione europea e internazionale contro le mafie transnazionali
19)  Definizione di un Piano nazionale per la prevenzione e il contrasto alle mafie, al fine di coordinare e garantire la collaborazione e la contemporaneità delle politiche pubbliche e degli enti locali e alle esperienze autentiche di antimafia sociale
20)  Promozione all’interno della Conferenza Stato – Regioni di momenti di scambio e programmazione di interventi in materia di prevenzione dei fenomeni di criminalità e di illegalità.

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’IRRESPONSABILITÀ

Chi ha accolto con sollievo l’abbandono della trattativa da parte di Air France dovrebbe capire che nel caso di Alitalia l’amministrazione straordinaria porta dritti al fallimento perché la compagnia, così com’è, non è in grado di generare le risorse necessarie a soddisfare i creditori. I sindacati del settore sono riusciti a perdere anche quel poco di credibilità che ancora avevano. Insieme ad alcuni politici hanno mostrato un’irresponsabilità insostenibile. Mentre la cordata fantasma resta tale.

I SALARI NON SCIVOLANO SULLE TASSE

Si discute molto in Italia di salari bassi e di potere di acquisto che si è ridotto negli ultimi dieci anni. Tutta colpa del cuneo fiscale, si dice. Tuttavia, la differenza tra costo del lavoro e stipendio netto non è imputabile solo alle trattenute fiscali, ma anche ai contributi sociali e previdenziali,  assimilabili a premi assicurativi e a retribuzione differita. Ma il punto fondamentale è che secondo i dati Ocse per i lavoratori dipendenti il cuneo è leggermente calato.

TESTIMONIANZA DI PIER LUIGI VIGNA E DONATO MASCIANDARO

Vigna è Procuratore Nazionale antimafia dal 1997 al 2005. Insieme a Masciandaro, economista, fa parte
della Commissione per la stesura di un Testo unico delle norme contro il riciclaggio

CRIMINE ORGANIZZATO ED ECONOMIA: SLOGAN VUOTI O RICETTE EFFICACI?

Investire nella trasparenza e nella sicurezza: è questa lÂ’indicazione da recepire nei programmi elettorali per combattere il legame tra crimine organizzato ed economia, al Sud ma non solo. La lotta alla criminalità comincia dall’economia: ma non seguendo il tradizionale e mistificante slogan: "più sviluppo, meno criminalità", ma piuttosto le indicazioni della più recente analisi economica: "più sicurezza, più sviluppo".

Occorre decisamente superare il vecchio paradigma che lega il ristagno economico alla crescita della criminalità organizzata. Anzi, segnali di crescita economica e finanziaria, non inseriti in quadro caratterizzato da:
a) una struttura economico – finanziaria di base trasparente e competitiva;
b)  un sistema pubblico efficiente che garantisca la tutela dei diritti personali e delle relazioni contrattuali, rischia di produrre rischi di alta vulnerabilità ambientale all’inquinamento da criminalità organizzata.

La spinta alla accumulazione con ogni mezzo di risorse, rappresenta la finalità principale – per non dire lÂ’unica – che spiega le scelte strategiche delle organizzazioni criminali. Ma la possibilità di profitto da sola non basta; deve essere accompagnata da una situazione ambientale favorevole, di vulnerabilità economica ed istituzionale. La vulnerabilità economica è collegata a situazioni di bassa competitività ed efficienza: la vulnerabilità istituzionale si può riscontrare quando in un contesto territoriale la competizione economica e lo sviluppo non sono garantite da una struttura di pubbliche autorità e istituzioni che assicurano la tutela dei diritti, la risoluzione dei conflitti ed in generale il rispetto delle norme, la criminalità ha buon gioco per far valere nellÂ’area della produzione e degli scambi gli strumenti e le procedure extra – economiche che la caratterizzano.
La vulnerabilità ambientale diviene così condizione essenziale per l’insediamento ed il diffondersi di forme di criminalità organizzata. Cresce l’economia illegale; la presenza della criminalità organizzata in settori dell’economia reale e finanziaria si riflette peraltro in un inquinamento progressivo non solo dell’ambito economico, ma inevitabilmente del contesto sociale e della vita pubblica. Si innesta così un circolo perverso: la vulnerabilità ambientale facilita l’inquinamento da criminalità, che a sua volta deteriora ulteriormente il contesto ambientale.
In un contesto di alta vulnerabilità ambientale anche le scelte degli operatore legali diventano a rischio. Il singolo operatore economico segue verosimilmente un comportamento adattivo rispetto alle regole del gioco in atto; perciò, in un contesto deteriorato e vulnerabile, è più alto il rischio che progressivamente le condotte patologiche, di atteggiamento passivo, o addirittura collusivo e cooperativo, con la criminalità organizzata, si diffondano. L’economia nera e l’economia grigia aumentano la loro diffusione e pervasività, ed anche le politiche di prevenzione e contrasto, generali e specifiche per il sistema economico e finanziario, perdono grandemente di efficacia.
La singola impresa può e deve contrastare il rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Non bastano le generali regole di corporate governance. L’impresa deve conoscere di più tutti i propri interlocutori: dipendenti, fornitori, clienti, e su tali informazioni costituire indici di attenzione e meccanismi di autotutela, “suonatori di fischietto” inclusi. E’ questa la direzione su cui, insieme a Giovanni Fiandaca ed Alberto Alessandri, stiamo provando a definire un Decalogo Antimafia per l’Impresa. Ma l’impegno della singola impresa non è sufficiente, se manca l’investimento pubblico in tutela dei diritti fondamentali.
Tanto maggiore è la distanza delle regole di governo dellÂ’economia da quelle desiderabile, tanto maggiore è il rischio vulnerabilità alla criminalità, sia dei mercati nel loro complesso, sia per quel che concerne la condotta o lÂ’atteggiamento del singolo operatore. LÂ’insegnamento generale che se ne trae è che, per spiegare comportamenti poco desiderabili degli operatori economici, anche in termini di efficacia delle politiche di prevenzione e contrasto, occorre sempre andare alla radice delle regole del gioco, e chiedersi: in quel territorio, sono tutelati i pilastri fondamentali di un’economia di mercato, o meglio ancora di una società democratica: la tutela dei diritti della persona e della proprietà?
Se la risposta è negativa, il flusso di spesa pubblica deve andare prima a rinforzare l’azione delle istituzioni pubbliche (polizie e magistrature), sottoposte però a controlli di efficienza, e poi pensare a finanziare infrastrutture. Per la prevenzione ed il contrasto al crimine è molto più utile investire in qualche buona guardia e qualche buona legge in più, anche a costo di qualche ponte in meno.
A proposito di buone leggi, decise azioni sono necessarie anche nel settore legislativo, abbandonando la logica “emergenziale” con la quale sono stati affrontati i temi relativi alla “criminalità strutturata”, sia essa di tipo mafioso o terroristico.
Due categorie, queste, che a volte hanno tratti comuni. Si pensi, ad esempio, al traffico di stupefacenti i cui proventi possono essere finalizzati al finanziamento di gruppi terroristici o al fatto che anche strutture mafiose possono assumere valenze eversive quando non si limitano – il che già offende i parametri che secondo l’art. 41 della Costituzione, disegnano, in termini di utilità sociale la libera iniziativa economica privata, a gestire, con capitali “sporchi” attività di impresa che producono beni leciti, finalizzate alla sola utilità del gruppo, ma anche quando il clan, come recita l’art.416 bis c.p., in tal senso aggiornato nel 1992, mira a “impedire od ostacolare il libero esercizio del voto” o “a procurare voti a sé o ad altri in occasioni di consultazioni elettorali”.
In tale prospettiva pensiamo che siano necessari alcuni interventi di fondo, quali: la completa revisione della normativa sulle misure di prevenzione in materia patrimoniale, adeguando le previsioni legislative, che si sono stratificate nel tempo, anche alle nuove strategie economiche delle organizzazioni mafiose mosse anchÂ’esse da ispirazioni globalizzanti; la redazione di un testo unico delle leggi antimafia che razionalizzi gli interventi frammentari e frantumali che, nel corso del tempo, hanno caratterizzato la disciplina di questa materia con interpolazioni, aggiunte, abrogazioni che rendono ardua lÂ’individuazione della corretta via applicativa; lo stesso vale per quanto riguardo il terrorismo, dopo gli interventi, anchÂ’essi succubi dellÂ’emergenza, del 2001 e 2005.
EÂ’ poi necessario, una buona volta, mettere mano, tenendo presenti i lavori svolti da varie Commissioni, ad una revisione del codice processuale penale, sul cui tessuto originario hanno inciso leggi e decisioni della Corte costituzionale e del codice penale, adoperandosi, per il primo strumento, per contemperare armonicamente efficienza e garanzie, eliminando, fra queste, quelle puramente formali che ritardano lo svolgimento e la conclusione dei processi e, per il secondo, per prevedere, con riferimento a taluni reati, sanzioni di tipo nuovo, ad esempio interdittive e prescrittive, limitando solo alle fattispecie che offendono o pongono in pericolo beni costituzionalmente protetti, quelle detentive.
In questo contesto potrebbe muoversi e progredire anche una “politica di depenalizzazione”.
In un momento nel quale l’economia legale è sempre più insidiata dalla pervasività di quella criminale, sarebbe inoltre opportuno che nella struttura di almeno alcune procure della Repubblica venisse stabilmente inserito, sul modello francese, un esperto di economia per collaborare con il pubblico ministero, da un lato professionalizzandolo anche in questa materia e dall’altro coadiuvandolo nel disvelamento delle pratiche economiche e finanziarie sempre più evolute prescelte dalle mafie che, loro sì, sono consigliate spesso da abili tessitori di trame.

TESTIMONIANZA DI ANTONIO LA SPINA

Docente Università degli studi di Palermo

CHE FARE CONTRO LA MAFIA?

La criminalità di stampo mafioso non è presente soltanto nel Mezzogiorno, giacché come è noto si è da tempo espansa verso altre aree dell’Italia e dell’Europa. È tuttavia in alcune regioni del Mezzogiorno (che poi sono anche quelle che presentano le condizioni più gravi di arretratezza socioeconomica) che tali organizzazioni hanno il loro radicamento territoriale e hanno tradizionalmente svolto le loro attività avvalendosi sia di intrecci con parte delle istituzioni e del ceto politico, sia della collusione con taluni imprenditori, professionisti, “colletti bianchi”, o quanto meno dello loro acquiescenza.
Su questo fronte stiamo assistendo, come è noto, a novità radicali, che a loro volta sono favorite dai grandi successi conseguiti dall’azione di contrasto. La presenza delle varie mafie è tutt’ora pervasiva e pericolosissima, ma oggi si comincia ad immaginare come possibile un momento non lontano in cui queste saranno sconfitte. Il che deve indurci non già a rilassare l’impegno antimafia, adagiandoci sui risultati indiscutibilmente ottenuti (ma fino a poco tempo fa negati anche da una certa parte della mafiologia), bensì a mantenere l’abbrivio e a moltiplicare gli sforzi fino alla definitiva sconfitta di organizzazioni che sono certamente sotto stress (mi riferisco in particolare a Cosa nostra), ma hanno anche, ciascuna secondo le proprie peculiarità, una proteiforme capacità di adattarsi e riprendersi.
LÂ’iniziativa della Voce.info è tempestiva e meritoria. Fin da subito ha consentito ai lettori di prendere buona nota di chi ha risposto e di chi ha taciuto, nonché dei contenuti delle posizioni espresse. Visti i limiti di spazio (ma in certa misura anche se tali limiti non vi fossero) ho ben poco da aggiungere alle indicazioni di policy formulate nel testo di Veltroni, che a loro volta rinviano al programma del Pd. Si tratta di una summa articolata e completa di linee di intervento avvalorate come efficaci e promettenti sulla base di unÂ’esperienza – quella italiana – che è unica al mondo quanto a varietà e intensità delle forme di contrasto. Inoltre, il leader del Pd ha pubblicamente e recisamente rifiutato i voti riconducibili alle mafie, mentre almeno fino al momento in cui scrivo non si è sentita unÂ’analoga presa di posizione da parte di altri soggetti politici.

Mi limito ad alcune sottolineature. La prima è che quelle che possiamo definire politiche dirette contro le organizzazioni mafiose (volte cioè ad aggredire direttamente gli affiliati, i loro beni, le loro reti di relazioni e così via) sono già molto incisive, ma possono essere ulteriormente irrobustite e affinate (come evidenziato nei testi appena richiamati) quanto a potenziamento dell’attività delle forze dell’ordine, intensificazione delle sanzioni, velocizzazione e snellimento delle procedure sia giudiziarie sia amministrative (pensiamo ai beni confiscati, e anche all’esigenza che essi vadano destinati a soggetti dotati di capacità imprenditoriali, così da reimmetterli nel processo produttivo e farne mezzi di produzione efficiente di ricchezza). La seconda è che vanno diventando sempre più importanti le politiche indirette, vale a dire quelle che invece modificano il contesto in cui hanno finora operato con grande efficacia le varie mafie, ad esempio diffondendo una cultura della resistenza al racket nelle giovani generazioni, ovvero favorendo e rendendo conveniente la ribellione da parte degli imprenditori, finora il più delle volte vittime passive dell’estorsione e in genere della distorsione della concorrenza. Una delle grandi novità del momento attuale è che vi è una spinta dal basso (anziché soltanto o prevalentemente da parte delle istituzioni pubbliche) a modificare il contesto in modo da ostacolare le mafie. Penso ovviamente a iniziative come quelle di Addiopizzo, di Confindustria, di singoli imprenditori e in genere operatori economici che vanno diventando sempre più numerosi. È molto importante valorizzare un’impostazione del genere. È altrettanto importante comprendere le difficoltà di chi fa impresa in territori in cui sono presenti le mafie, senza aggiungere difficoltà e oneri ulteriori (ad esempio, ipotizzando, come è stato erroneamente fatto in un recente passato, la possibilità che la mano pubblica si sostituisse alla libertà d’impresa nei casi di operatori economici “assoggettati” alla mafia).

UN MEZZOGIORNO DISPERATO

La mafia è uno dei problemi più gravi del Mezzogiorno. Non è l’unico. Ve ne sono altri, almeno altrettanto difficili da sradicare. D’altro canto, molti di tali problemi non vanno disgiunti dalla presenza delle organizzazioni criminali, perché in parte la favoriscono, e in parte ne sono aggravati.
In estrema sintesi, la gran parte dei mali deriva dall’onnipervasività della distribuzione delle risorse da parte del ceto politico, da un’economia e da una società civile che ne è dipendente, dalla tendenza a trasformare financo le emergenze (a cominciare dai terremoti per finire alla protezione civile e ai rifiuti) in occasioni per espandere il settore pubblico, moltiplicare gli scambi politici, fornire risposte particolaristiche e clientelari alla domanda di lavoro.
Ne segue che la povertà relativa al Sud non solo è molto superiore rispetto al Nord, ma negli ultimi anni è cresciuta. Le prestazioni effettive del sistema sanitario, dellÂ’istruzione, dei servizi pubblici al Sud restano sensibilmente inferiori rispetto al Centro-Nord. Il rendimento delle pubbliche amministrazioni è in genere scadente, nonostante la massiccia immissione di personale senza concorso tratto dalle file di un certo precariato (anzi probabilmente anche a causa di ciò). Il livello di protezione di beni pubblici, come lÂ’ambiente, il territorio, il paesaggio, la sicurezza, è basso in modo allarmante. Il senso civico appare debole. Se una delle raffigurazioni non ufficiali più efficaci del Mezzogiorno comÂ’era fu il Cristo si è fermato a Eboli di Levi, quella del Mezzogiorno – o almeno di un certo Mezzogiorno (giacché è vero che ve ne sono diversi) – com’è oggi non è forse la Gomorra di Saviano?

Occorre quindi rendersi conto che la questione meridionale non è affatto superata, e riguarda non soltanto il Sud come tale, ma anche l’intero paese e l’Unione europea. D’altro canto, un certo meridionalismo (nelle sue varie riedizioni, che arrivano fino ai fallimenti della “nuova programmazione” dei fondi comunitari), finalizzato all’attrazione di flussi di denaro pubblico, ha in definitiva agito a favore della permanenza nel sottosviluppo economico e civile.
La risposta a tale situazione di degrado non può che essere l’isolamento di certi processi decisionali pubblici dalla pressione distributiva. Ciò sicuramente vale per le risorse destinate allo sviluppo (che invece vengono disperse in mille rivoli e avviate a utilizzi inutili o dannosi), che occorrerebbe sfruttare secondo priorità e con prestazioni decisionali che le amministrazioni locali, a partire dalle regioni, non sono di norma in grado di garantire. Ma vale anche per la fornitura di servizi ordinari (dalla gestione dei rifiuti all’acqua, in genere ai servizi pubblici locali). Mai più si dovranno nominare commissari i “governatori” o i sindaci, o comunque soggetti a essi strettamente legati. Gli interventi sostitutivi dovranno essere mirati, ma anche tanto frequenti quanto ciò viene richiesto dalla gravità delle varie situazioni, avere una durata congrua, essere accompagnati dai poteri necessari. È appena il caso di ricordare che, sia pure talvolta con le migliori intenzioni, l’impostazione complessiva dell’ultimo quindicennio delle politiche nostrane è andata in senso diametralmente opposto.

LA QUESTIONE SETTENTRIONALE

Un’ultima riflessione, sempre legata al momento elettorale. Come è noto, le difficoltà in cui versa l’economia delle aree più sviluppate del paese sono oggi, e giustamente, molto sentite. A prima vista, dedicare i propri sforzi alla soluzione della “questione settentrionale” ha un’alta utilità attesa. In primo luogo perché, visto il peso di tali forze produttive, sia pure in difficoltà, il rilancio dell’attività in tali aree produrrebbe un beneficio notevole in termini assoluti. In secondo luogo, sebbene certamente non sia facile prevenire ad una soluzione, che vi si riesca è assai più plausibile rispetto al Mezzogiorno, come ci insegna la sua storia antica e recente. Vi è dunque un beneficio elevato, che potrebbe per di più ottenersi con una probabilità anch’essa elevata. In terzo luogo, vi sono i ritorni politico-elettorali: per il Pdl, il settentrione è favorevole, sicché va coltivato; ma ciò vale a maggior ragione per il Pd, che ha quanto meno necessità di riacquistare consensi perduti. Infine, è opinione diffusa che al Sud prevalga il voto di scambio, il che potrebbe significare sia che politiche pubbliche corrette e incisive non saranno premiate da un voto d’opinione, sia anche che proprio perché corrette e incisive potrebbero far perdere i consensi clientelari, quanto meno nell’orizzonte di breve periodo (che poi è quello il più delle volte decisivo).
Tali considerazioni lascerebbero presagire, nei fatti, uno scarso interesse non tanto verso i voti dei meridionali (che invece e ovviamente risultano appetibili), quanto piuttosto verso un impegno per il superamento di quella che, per comodità, continuerei a chiamare questione meridionale. A tale “predizione” del modello dell’utilità attesa sembrano “disubbidire” i punti programmatici sulle politiche antimafia del Pd. È un segnale importantissimo, cui un Mezzogiorno al momento senza speranza dovrebbe sperare si accompagnino altri passi (relativi ai problemi di cui al paragrafo precedente), anch’essi necessari.

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