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Un’aspirina per la concorrenza

Nel corso degli ultimi due anni, due interventi normativi (il Decreto Storace e il Decreto Bersani) hanno inciso sulla determinazione del prezzo al pubblico dei farmaci da banco e sulla loro distribuzione. Un’indagine di Altroconsumo mostra come l’aumentare dei punti vendita stia stimolando una diminuzione dei prezzi nelle stesse farmacie. Con piccoli risparmi per le famiglie.

Risposta a Prodi

Le restrizioni americane agli investimenti stranieri sono determinate con norme di legge. Un eventuale investitore conosce quindi con certezza dove potrà e dove non potrà investire. In Italia ciò che scoraggia gli investitori internazionali è l’incertezza normativa. Ma a preoccuparli ancora di più sono gli interventi diretti del governo in decisioni che dovrebbero essere di esclusiva competenza delle imprese. Come quando ha dato l’impressione di essersi appropriato del diritto all’informazione preventiva sulle fusioni bancarie del quale la Banca d’Italia si è spogliata.

Una “azione positiva” è per sempre *

Le politiche per le pari opportunità si basano su una solida base economica. E’ possibile spostare un’economia da un equilibrio basato sul genere a uno che non lo è. Succede lo stesso con gli interventi contro le discriminazioni razziali. Ma mentre questi ultimi possono essere temporanei, le politiche delle azioni positive devono essere permanenti. Altrimenti si tornerà presto al vecchio equilibrio perché ogni convinzione sul ruolo delle donne nella famiglia sarà necessariamente legata a convinzioni razionali sulla performance degli uomini nel mercato del lavoro.

Gli sconti non sono uguali per tutti

In un recente contributo apparso su La Voce, Michele Cavuoti riportava i risultati di una indagine svolta da Altroconsumo sugli sconti praticati dalle farmacie in linea con quanto previsto dai Decreti Storace e Bersani. Dai risultati dell’indagine (basata su un totale di 104 farmacie – inclusi supermercati) emergeva che pur ipotizzando una riduzione media dei prezzi dei farmaci del 15%, estesa a tutti i medicinali da automedicazione, si sarebbe potuto ottenere un risparmio medio che al massimo avrebbe raggiunto i 32 euro/anno per famiglia.
Sorvolando su eventuali problemi di selezione e rappresentatività del campione di farmacie, in questa sede è utile soffermarsi sulla stima di 32 euro/anno di risparmio per famiglia che sembrerebbe potersi determinare nel migliore dei casi. A nostro avviso, tale valore, seppur corretto da un punto di vista statistico, non rende giustizia ai positivi aspetti distributivi insiti nella riforma.
Per meglio capire tali effetti abbiamo effettuato una serie di stime a partire dai dati dell’indagine sui consumi delle famiglie dell’ISTAT per l’anno 2005. Il primo problema da evidenziare è che i 32 euro a famiglia sono ottenuti dividendo il risparmio complessivo per il totale delle famiglie italiane, incluse quelle che non acquistano farmaci. Se i risparmi venissero ripartiti tra le sole famiglie che acquistano farmaci, il valore raddoppierebbe quasi.
Inoltre, è ovvio che il consumo di farmaci non è ugualmente distribuito tra le famiglie, avendo famiglie con consumo nullo, famiglie con consumo positivo ma basso e famiglie con consumi positivi ed elevati. I risparmi per questi diversi gruppi di famiglie potrebbero essere molto diversi e, in alcuni casi, rilevanti.
La tabella 1, che sintetizza i risultati di questa analisi, riporta la spesa privata per farmaci (che include farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP), farmaci da banco (OTC), farmaci con obbligo di prescrizione non rimborsati dal SSN e farmaci con obbligo di prescrizione rimborsabili dal SSN ma acquistati privatamente) per decili di spesa e per diverse tipologie familiari. Relativamente al 2005 (ultimo anno per cui sono disponibili i dati), le prime 3 colonne riportano la spesa media annuale delle famiglie che hanno acquistato farmaci (11.921.500 pari al 51,2% delle famiglie italiane nel 2005), mentre le ultime tre colonne riportano i valori del risparmio ottenibili assumendo uno sconto del 15% sulla spesa.
Come si può notare, i risparmi che le famiglie potrebbero ottenere, non solo sono diversi a seconda della tipologia familiare considerata, ma raggiungerebbero valori rilevanti per una quota consistente delle stesse. Le famiglie che registrano una spesa farmaceutica annua elevata – e che ricadono quindi nel decile più alto della distribuzione di spesa farmaceutica – potrebbero conseguire risparmi che in molti casi superano (a prezzi 2005) i 500 euro annui. Se a ciò si aggiunge che tali valori sono spesso fatti registrare da famiglie di anziani o da famiglie numerose, allora l’effetto del risparmio potrebbe essere tutt’altro che irrilevante.
Altro aspetto importante da non sottovalutare è che il numero di famiglie che si trova a dover destinare una quota rilevante del proprio budget al consumo di farmaci non è assolutamente trascurabile (vedi ultima colonna della tab. 1) ed è pari ad oltre 1.100.000 nuclei familiari (1) (ovvero al 9,5% delle famiglie che hanno sostenuto una spesa per farmaci).
Tutto ciò sembra quindi portare alla conclusione che gli effetti positivi della liberalizzazione sul budget delle famiglie italiane potrebbero essere tutt’altro che trascurabili.

1) Il valore preciso è di 1.128.335 nuclei familiari, che si può ottenere sommando il numero di famiglie distinte per area geografica.

I nodi della concentrazione

Il programma

Il programma dell’Unione dedicava ampio spazio ai problemi del pluralismo e dell’informazione, con particolare attenzione al settore cruciale della televisione. Riguardo agli assetti complessivi di questo comparto, il programma auspicava un superamento della legge Gasparri con il varo di misure in grado di ridurre la concentrazione nei singoli mercati, e in primo luogo in quello della raccolta pubblicitaria, e di contrastare l’emergere di posizioni dominanti tra i diversi segmenti dei media. Meno esplicito era il programma con riferimento alla situazione della Rai, dove affermando l’importanza di rafforzare in una logica di gruppo la missione di servizio pubblico non veniva affrontato il problema della privatizzazione di una parte delle reti, e di una netta distinzione tra attività finanziate dal canone e attività finanziate dai proventi pubblicitari.

Le attività del governo

Il governo ha affrontato il riassetto del settore televisivo principalmente attraverso due disegni di legge a firma del Ministro Gentiloni. Nel primo viene affrontata la situazione dei mercati televisivi e della loro transizione al digitale. Due sono le novità più importanti nella proposta del governo. La migrazione anticipata (2009) di due canali, uno Rai e uno Mediaset, in tecnica digitale prima del passaggio completo (2012) delle trasmissioni al digitale terrestre; la fissazione di un limite del 45% alla raccolta pubblicitaria in capo a un singolo soggetto, misura che andrà ad incidere sulla posizione dominante di Mediaset in questo settore.
Riguardo alla governance della Rai il Ministro Gentiloni ha presentato un disegno di legge che prevede, su modello della BBC inglese, la creazione di una Fondazione con compiti di indirizzo e impulso, inclusa la nomina degli amministratori, nei confronti della holding Rai Spa, cui è demandata la gestione operativa. L’articolazione della holding prevede tra le altre la separazione in società diverse delle attività finanziate con il canone e quelle finanziate con pubblicità, senza tuttavia identificare queste diverse attività in canali distinti.

Commenti

Abbiamo commentato a suo tempo come queste due misure vadano ad incidere sul problema cruciale della concentrazione degli ascolti che caratterizza la situazione italiana, riducendo direttamente (tetti antitrust) e indirettamente (minore audience potenziale del digitale) la capacità di raccolta pubblicitaria e quindi le possibilità di investire nei palinsesti dei due gruppi maggiori, liberando risorse per i nuovi entranti. Pur condivisibile nella sua impostazione, questo disegno di legge appare tuttavia poco incisivo, dal momento che la migrazione anticipata al digitale di due reti crea una finestra temporale di un triennio, troppo breve perché nuovi gruppi televisivi trovino conveniente investire prima del ritorno al dominio dei gruppi multicanale che si ricostituirà con il passaggio completo al digitale. Gli stessi strumenti per applicare concretamente il divieto di superare la soglia del 45% nella raccolta pubblicitaria appaiono poco incisivi vista la situazione di partenza. Nel disegno di legge Gentiloni sul riassetto del settore televisivo si riscontra quindi una impostazione condivisibile ma soluzioni timide e poco incisive rispetto, ad esempio, all’opzione di cedere una rete a testa da parte di Rai e Mediaset.
Per quanto riguarda la Rai, il modello di governance appare potenzialmente in grado di allentare i forti condizionamenti politici nella gestione del servizio pubblico. Rimane tuttavia confermata la logica unitaria che non distingue canali di servizio pubblico e canali commerciali ma solamente tra attività di diversa natura all’interno di una programmazione unitaria. Questa reticenza rende quindi arduo il percorso che potrebbe portare al mantenimento in mano pubblica della/e sola rete con contenuti di servizio pubblico privatizzando le altre.
In conclusione, il Governo ha presentato disegni di legge coerenti con il programma annunciato e in tempi complessivamente ragionevoli. Le luci e ombre che segnalavamo nel programma dell’Unione in materia televisiva sembrano in gran parte riproporsi anche guardando ai disegni di legge del Governo.

Conflitto di interessi: la strada è quella

Il Programma

Il programma dell’Unione (p.18) indicava le linee guida su cui intervenire per modificare radicalmente la normativa introdotta nella precedente legislatura: revisione del regime di incompatibilità, istituzione di un’apposita autorità garante, obbligo di trasferire le attività patrimoniali ad un blind trust.

L’attività del Governo

Il testo del disegno di legge attualmente in discussione in Commissione Affari Costituzionali della Camera risulta coerente con queste indicazioni. Si applica ai componenti di governo, ai commissari straordinari e anche agli amministratori locali. In linea generale prevede un regime di incompatibilità con le cariche di governo (ma non di ineleggibilità al Parlamento), il dovere di astensione e separazione degli interessi attraverso la vendita o l’istituzione di un trust (gruppo di imprese soggette ad unità di direzione). E’ prevista inoltre l’istituzione di un’apposita Autorità composta da 5 componenti indicati dalle due Camere e in carica per 7 anni, a cui i soggetti sottoposti a controllo dovranno inviare dettagliate informazioni sul proprio patrimonio e la propria posizione nelle attività economiche. I soggetti sottoposti a questa disciplina e con un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro dovrà affidare il proprio patrimonio in gestione a un blind trust senza la possibilità di conoscere come questo venga investito.

Commento

Il testo del disegno di legge appare sicuramente più incisivo rispetto alla precedente legge. Nella regolazione del conflitto di interessi sono possibili due strade: il controllo ex-post degli atti del governo e i vincoli di incompatibilità ex-ante tra cariche di governo e posizione economica. La legge precedente aveva seguito sostanzialmente il primo approccio definendo un quadro di controlli inefficace e coinvolgendo nell’attività di verifica una autorità, l’Autorità Antitrust, per sua natura estranea alle problematiche trattate. Il disegno del Governo si pone in linea con la gravità del problema nel contesto italiano e, se giungerà in questa forma all’approvazione finale, assicura un intervento più efficace.

Casa con vista sull’inflazione*

Gli indici dei prezzi al consumo servono a svariati usi. Per esempio, a stabilire programmi statali di tasse e spesa. O a offrire una guida per l’aggiustamento di stipendi e salari. Per questo è importante capire come sono composti. E in particolare come sono considerati gli immobili abitati dai proprietari. Perché diversi sistemi danno ben diversi risultati in termini di inflazione. Tutto sommato, il metodo migliore è quello Usa, con la categoria dei proprietari affitto-equivalenti. Migliore anche rispetto alle scelte della Bce.

Cosa succede agli studi di settore

Contrariamente a quanto si dice in questi giorni, lavoratori autonomi e piccole imprese pagano le loro imposte sul reddito effettivo. Mentre gli studi di settore sono solo uno strumento di accertamento. I nuovi indici di coerenza introdotti dalla Finanziaria 2007 servono a contrastare una duplice attività di “manipolazione” dei dati. Sono però diventati la testa di ariete per il tentativo di far crollare l’intero impianto degli studi di settore. Ma siamo sicuri che con un’evasione stimata attorno al 27 per cento del Pil, il nostro paese possa rinunciarvi?

Fondazioni e banche, quel legame che non si spezza

La vicenda dei rapporti fra fondazioni e banche nell’ultimo quindicennio si può leggere a un tempo come la “cronaca di una sconfitta”, di un “ritorno al passato” e di un “ripensamento”. Le fondazioni hanno diminuito l’entità delle partecipazioni, ma esercitano ancora una notevole influenza sulle banche. Tanto che tutti riconoscono il loro ruolo nel processo di aggregazione e di concentrazione del sistema. E’ un quadro con forti ambiguità. Mentre il disegno che emerge dalle proposte dell’Autorità di vigilanza è meno liberale di quello attuale.

Appunti per un nuovo Trattato

Il Consiglio europeo di giugno può trovare un compromesso che non oltrepassi la “linea rossa” degli Stati membri e nello stesso tempo assicuri un effettivo miglioramento nel funzionamento e nella legittimità democratica delle istituzioni europee. Lo stallo dura da quasi un decennio ed è ora di superarlo. Della Costituzione bocciata dai referendum francese e olandese andrebbero salvate la Parte I e la Parte III. Ma anche la Parte IV, in particolare le clausole sulla passerella e le procedure di revisione.

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