Sul principio che sia opportuno finanziare l’università con risorse pubbliche non sembrano esserci dubbi. Ma due ragioni rendono preferibile anche una fornitura pubblica del servizio: lÂ’intervento pubblico dovrebbe comunque sussidiare la ricerca di base, e l’informazione sulla qualità dell’istruzione è molto difficile da misurare e percepire, specialmente durante una transizione a un nuovo regime. Incentivi, concorrenza e liberalizzazioni delle carriere del personale possono essere introdotti utilizzando i molti strumenti di cui già si dispone.
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La riduzione degli aumenti salariali automatici dei docenti universitari è inefficace perché mina la credibilità della politica salariale del datore di lavoro nei confronti dei potenziali aspiranti professori. Meglio mantenere un profilo intertemporale della retribuzione, con la possibilità di concedere uno scatto doppio a chi è particolarmente produttivo sul piano scientifico. Aumenterebbe così la concorrenza tra atenei per attrarre i ricercatori migliori. Mentre sarebbero sanzionati quelli in cui le carriere sono clientelari.
Privatizzazione completa e totale di tutte le strutture di ricerca e di istruzione terziaria: la soluzione ai mali estremi dell’università italiana. Alcuni atenei potrebbero essere ceduti a istituzioni straniere, altri chiusi o trasformati in spa e poi venduti in Borsa, regalati alla popolazione oppure organizzati in cooperative. Con i fondi risparmiati si potrebbero finanziare borse di studio, ricerca di base e progetti specifici. E nel lungo termine ne deriverebbe una valorizzazione del patrimonio e della tradizione culturale italiana.
Oggi la Commissione europea adotta una Comunicazione al Consiglio dei capi di Stato e di governo e al Parlamento europeo denominata “Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius – Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond”. Il suo punto di partenza è la constatazione che il cambiamento del clima è in atto. Interventi urgenti per contenerlo entro livelli tollerabili sono perciò necessari. Il testo della Comunicazione e lo studio di supporto riaffermano la volontà di intervento e la leadership europea nei confronti del fenomeno.
Come è stato possibile un errore previsivo di questa entità ? E’ la domanda più importante di fronte all’andamento nettamente migliore del previsto del fabbisogno di cassa del settore statale nel 2006. Per ora due spiegazioni non si possono escludere. Le una tantum hanno dato un gettito migliore del previsto e cÂ’eÂ’ stato un recupero di base imponibile, ma già prima che il nuovo governo entrasse in carica. Se questo recupero dovesse confermarsi nel 2007, sarà opportuno ridurre le aliquote fiscali, per evitare che la pressione fiscale salga ulteriormente.
Condivido la sostanza della proposta formulata da Tito Boeri e Pietro Garibaldi per una “mini Finanziaria”. Per quanto concerne la “pars destruens”, metterei in rilievo che il problema non è solo, o forse non è tanto, quello di contenere gli emendamenti parlamentari, ma di impedire che lo stesso governo, raccogliendo le più diverse sollecitazioni interne ed esterne, infili nella Finanziaria qualunque cosa. Di fatto, oggi le Camere esercitano assai poco il loro potere di emendamento, visto che in commissione non si riesce nemmeno a esaurire l’esame di tutto il progetto, che il maxiemendamento è elaborato in sede governativa, accogliendo discrezionalmente anche eventuali proposte venute dal Parlamento, ma senza nessuna vera discussione, e che in aula l’unico voto è un “prendere o lasciare”. La prassi di oggi svuota il potere deliberante del Parlamento assai più di quello del governo. Effetti giuridici rinviati Sono d’accordo che escludere del tutto la possibilità di emendamenti parlamentari alla legge Finanziaria non sarebbe oggi possibile, dal momento che occorrerebbe una modifica costituzionale dell’articolo 81. Adesso, però, l’opposizione non ha di fatto alcun potere reale di proporre emendamenti, e quindi dovrebbe salutare con favore una procedura che limiti il voto sulla Finanziaria ai grandi aggregati riservando a un vero esame parlamentare la successiva legislazione di dettaglio. Un proposito reiterato Il proposito di una Finanziaria “snella” compare periodicamente, e si ritrova anche nella legge di contabilità n. 468 del 1978, allÂ’articolo 11, ammorbidito però dalle modifiche del 1999 e del 2002: il problema è come attuarlo e garantirlo.
Il nodo sta nel fatto che le grandi aggregazioni di entrata e di spesa dipendono in parte dalla legislazione fiscale e di spesa già in vigore – il bilancio a legislazione invariata – e in parte dalle scelte legislative di entrata e di spesa che si fanno appunto con la Finanziaria. Se ci si limitasse a indicare stanziamenti e coperture senza però disporre le misure legislative specifiche che sorreggono gli uni e le altre, gli effetti giuridici della manovra sarebbero rinviati allÂ’approvazione dei provvedimenti collegati.
Il fondamento economico delle variazioni di entrata e di spesa previste dal governo può essere verificato, come dicono gli autori, da un organo tecnico. Da questo punto di vista, avere un servizio bilancio delle Camere autorevole e politicamente “neutrale” sarebbe una innovazione importante e utile. Ma il fondamento “giuridico” di quelle variazioni non può stare che in misure legislative, adottate contestualmente o previste e programmate. Forse, si dovrebbero includere nella Finanziaria le decisioni legislative principali che danno corpo alla manovra: aumenti o rimodulazioni di entrate, soppressioni o riduzioni di spese, decisioni “macro” di allocazione delle risorse fra i diversi comparti e obiettivi. Quanto agli enti diversi dallo Stato, andrebbero incluse solo le decisioni relative ai vincoli generali – i saldi del patto di stabilità -, ai trasferimenti non discrezionali dal bilancio dello Stato e alle eventuali modifiche dei poteri fiscali.
Rimarrebbero ampi spazi di allocazione specifica della spesa all’interno dei vari comparti e obiettivi, che potrebbero essere rimessi a decisioni successive, senza più possibilità però di alterare il quadro generale. In questo modo si potrebbe ottenere che lÂ’eventuale il voto di fiducia investa solo le scelte politiche generali del governo. Tuttavia, potrebbero essere necessari più articoli e quindi più voti: per esempio, modifiche ai vari tributi, soppressione di singole categorie di spesa.
Le singole “intenzioni” di spesa, o di minori entrate come le esenzioni fiscali varie, non tradotte già in decisioni legislative specifiche, costituirebbero degli “accantonamenti”, quantitativamente delimitati, utilizzabili per la copertura delle misure di spesa successivamente deliberate specificamente: è il meccanismo dei cosiddetti fondi speciali delineato allÂ’articolo 11-bis della legge n. 468/1978. In sede di Finanziaria, però, non si deciderebbe più, per esempio, se e quale contributo di rottamazione o se e quale esenzione dalla tassa di circolazione concedere (comma 225, comma 235 dellÂ’attuale finanziaria), o se e quale somma destinare a una campagna di informazione del ministero dell’Istruzione (comma 52). Tanto meno si deciderebbero misure che non hanno a che vedere direttamente con le e entrate e le spese.
Fino a quando non si attui una modifica costituzionale, che sarebbe allora vincolante per tutti, e tenendo conto che vincoli posti da una legge ordinaria al contenuto di leggi ordinarie successive sono di per sé poco o per nulla efficaci (almeno nel senso di condizionare la validità di decisioni legislative successive in contrasto con essi), ci si dovrebbe affidare in primo luogo ad una forte volontà politica dell’esecutivo, che si manifesti in una decisione preliminare adottata dal Consiglio dei Ministri e che sia fatta rispettare nei confronti sia dei singoli ministri, cui non dovrebbe essere consentito proporre per la finanziaria contenuti difformi, sia nei confronti dei parlamentari (anche e soprattutto della maggioranza), i cui eventuali emendamenti difformi da queste regole non dovrebbero mai avere il parere favorevole del governo. Ovviamente il governo dovrebbe attenersi a sua volta dal proporre in Parlamento emendamenti siffatti.
Un ruolo importante potrebbe essere svolto, in secondo luogo, dalle presidenze delle camere, cui sono affidati poteri di decisione sulla ammissibilità degli emendamenti e del contenuto dello stesso disegno di legge finanziaria, sulla base delle norme dei regolamenti parlamentari (artt. 120, comma 2, e 121, comma 5, reg. camera; artt. 126, comma 3, e 128, comma 6, reg. senato), che a loro volta rinviano alle leggi “di ordinamento”.
Il sistema farmaco necessita di riforme, in Italia come in Europa. Per cambiare radicalmente quello attuale che a fianco di pochi medicinali realmente innovativi, ne approva una gran quantità senza reali benefici per i pazienti. C’è poi la necessità di sostenere energicamente un sistema pubblico di informazione indipendente e di ricerca: oggi sembrano essere le nuove frontiere di un moderno sistema sanitario. In definitiva, si tratta di passare dalle logiche dei risparmi a breve agli investimenti di lungo periodo.
L’Italia è uno dei pochi paesi d’Europa in cui non esiste una garanzia di reddito minimo. La mancanza di uno strumento specifico e universale di contrasto della povertà impedisce di tutelare al meglio i bisogni delle famiglie che vivono, come ha denunciato il Presidente Napolitano, “in penose ristrettezze”. Eppure un intervento circoscritto alle situazioni di disagio estremo costerebbe non più di 3 o 4 miliardi di euro. E l’introduzione di un minimo vitale potrebbe essere accompagnata dalla riorganizzazione dei trasferimenti pubblici per i carichi familiari.
Il giorno di Santo Stefano si registra in Italia il maggior numero di spettatori al cinema. Se si giocasse il campionato, è lecito ipotizzare che parte di questa domanda di intrattenimento si riverserebbe sulle partite di serie A e B. I maggiori incassi dal botteghino e dai diritti televisivi sarebbero preziosissimi per i bilanci in profondo rosso dei nostri club. E se anche si dimostrasse che la sosta invernale è utile ai calciatori e alle squadre, basterebbe programmarla all’inizio di gennaio, in tempo per tornare in forma per la ripresa della Champions.
La stella polare del “documento Rutelli” , dello scorso novembre, era costituita dall’ampliamento degli spazi di concorrenza nei servizi, nazionali e locali, e dalla riforma degli strumenti di regolazione, a cominciare dal potenziamento e dal riordino delle Autorità indipendenti. Dal vertice di Caserta ci si aspetta che il governo dica finalmente quante e quali di quelle proposte verranno trasformate in provvedimenti legislativi e in atti di indirizzo politico, indichi con chiarezza la “squadra” che dovrà lavorarci e gli incentivi che verranno messi in campo per favorire le liberalizzazioni.