Tutti invocano maggiore qualità dei sistemi di tutela della salute e, insieme, il rispetto della compatibilità economica. Attraverso maggiore responsabilizzazione dei soggetti e maggiore competitività , sostengono. Utile chiedersi, allora, perché nel modello Usa, largamente privato e basato sulla competizione, i costi sono cresciuti rapidamente ed eccessivamente negli ultimi anni, l’accesso ai servizi è limitato e i pazienti sono insoddisfatti. Potrebbe servire a evitare, nel nostro paese, soluzioni semplicistiche e due errori di segno opposto.
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Si ha contrasto di interessi fra un venditore e un compratore quando la convenienza a evadere dell’uno trova un ostacolo nella convenienza a rendere nota la transazione al fisco da parte dell’altro. Ecco alcuni esempi. Dalla situazione attuale di una convergenza di interessi a evadere alla piena deducibilità dal reddito imponibile del compratore della spesa sostenuta. L’ampiezza dell’intervallo di contrattazione tra i due attori dipende criticamente dalle rispettive aliquote dell’Irpef. Mentre in diversi casi lo Stato non incassa alcun gettito.
L’Italia mette pochi soldi negli aiuti allo sviluppo, tra lo 0,07 e lo 0,35 per cento del Pil negli ultimi anni. Ma abbondanza di contributi non è sempre sinonimo di aiuti efficaci. Più preoccupante l’esiguità complessiva delle risorse finanziarie che destiniamo ai paesi in via di sviluppo. E’ un altro sintomo della perdita di competitività del nostro paese. Perché invece di distribuire spiccioli in modo bilaterale, l’Italia non si fa promotrice di uno sforzo europeo di finanziamento di progetti in campo sanitario per curare l’Aids o la malaria?
L’importanza del ruolo ricoperto dalla cooperazione allo sviluppo nei rapporti internazionali è confermata dai recenti accordi che prevedono un aumento sia della quantità che della qualità dei fondi dedicati alla lotta alla povertà a livello globale. Oltreché un ripensamento sulla loro allocazione e sul loro utilizzo. In Italia la nomina di un viceministro è senz’altro un segnale della volontà del governo di definire un nuova politica di cooperazione. Ma perché la riforma non sia tale solo sulla carta, emergono diverse priorità da affrontare.
La Finanziaria per il 2007 prevede uno stanziamento per gli aiuti pubblici allo sviluppo di circa 1,5 miliardi di euro, equivalente allo 0,13 per cento del prodotto interno lordo. Lontano dagli obiettivi sottoscritti dal governo italiano. Ma non si tratta solo di quantità . Anche la qualità dei contributi lascia a desiderare. E nei rapporti internazionali che cercano di misurarla il nostro paese figura agli ultimi posti perché gli interventi sono in larga parte costituiti da cancellazioni del debito o da progetti di piccole dimensioni che danno scarsi risultati.
Il contrasto di interessi è sempre più spesso indicato come la formula magica cui affidare la lotta all’evasione. Ma per essere efficace l’agevolazione riconosciuta ai contribuenti onesti dovrebbe essere tale da annullare completamente il gettito dello Stato. Ed è illusorio pensare che si elimini così la necessità di controlli e accertamenti fiscali. Sembrerebbe più proficuo perseguire altre modalità , che costringano il singolo contribuente a confrontare il guadagno dell’evasione con i rischi o i costi che essa potrebbe comportare su altri fronti.
Dal 2000 al 2005 il fatturato derivante dalle vendite di prodotti equo-solidali è cresciuto del 20 per cento all’anno. Alcuni prodotti, poi, hanno raggiunto quote di mercato significative nei rispettivi segmenti. Ma l’aumento di fatturato e la sempre maggiore concorrenza tra “pionieri” e grande distribuzione comporta anche rischi. Primo fra tutti che di fronte a un eccesso di domanda, gli importatori cedano alla tentazione di battezzare come equo-solidali prodotti che provengono da filiere tradizionali. Con danni rilevanti per la reputazione dell’interno settore.
Una fede appassionata nella libertà individuale unita alla convinzione che il libero mercato sia il modo migliore per coordinare le attività di individui isolati verso il loro reciproco arricchimento: questa è la visione del mondo di Milton Friedman. Notevole la sua capacità di derivare conseguenze interessanti e inaspettate da idee semplici. Unita alla caparbietà nel dire le verità spiacevoli che altri preferivano tacere. Proprio il successo del suo pensiero e le nuove sfide che comporta ci fanno capire quanto manchi oggi una figura come la sua.
Le odierne difficoltà del centrosinistra sui temi del lavoro sono anche figlie di un’analisi falsata delle politiche della passata legislatura, delle quali è stato largamente drammatizzato lÂ’effetto. L’idea del diritto del lavoro legato alla sua vocazione protettiva sembra ormai datata. Però potrebbe trovare nuova linfa se si avesse il coraggio politico di coniugare le preoccupazioni sociali con l’obiettivo del recupero dell’efficienza e della competitività del sistema, e della produttività del lavoro, i cui andamenti sono da tempo deludenti.
Le barriere all’entrata avvantaggiano le imprese già operanti nel mercato, generando prezzi più alti per i consumatori, minor crescita della produttività e dell’occupazione, minor tasso di adozione di nuove tecnologie, strutture distributive più antiquate. Per la distribuzione commerciale lo mostra lÂ’evidenza empirica post-decreto Bersani del 1998. Invece di demandare alle amministrazioni locali la possibilità di liberalizzare, si dovrebbero prevedere requisiti minimi per l’apertura dei mercati vincolanti per i governi regionali.