Il sistema calcio italiano si trova in un circolo vizioso in cui i divari sportivi ed economici si alimentano a vicenda. Più le grandi squadre si rafforzano, più aumenta lo squilibrio, peggiore risulta l’equilibrio competitivo. Questo può causare una perdita di interesse da parte degli spettatori e una riduzione del volume di risorse che affluiscono a questa industria.
Indispensabile una profonda riflessione su regole e di meccanismi di controllo utili a garantire un riequilibrio della forza relativa dei club e un aumento del livello competitivo interno del campionato.
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Mi pare che nel contributo dellÂ’8 maggio, Maurizio Benetti e Gabriele Olini abbiano centrato bene diverse questioni. Non sarà solo la differenza di oneri contributivi a favorire lÂ’uso improprio dei dispositivi dÂ’inserimento al lavoro da parte delle imprese, ma è certo che le convenienze economiche pesano, e molto, nelle decisioni dei datori di lavoro. Al minor costo previdenziale del lavoro parasubordinato o autonomo si aggiunge poi il vantaggio della flessibilità , non quella necessaria, comprensibilmente ricercata dalle imprese, ma quella resa possibile e quasi suggerita dallÂ’attuale regolazione. Lavoro parasubordinato Vi è una massa di lavoratori autonomi prevalentemente “involontari” poco garantiti sotto il profilo previdenziale e con nessuna tutela economica in caso di mancanza di lavoro. LÂ’unica strada per moderare il ricorso a questi rapporti di lavoro è abbattere il differenziale che sfiora i 15 punti percentuali con il lavoro dipendente. Per quanto riguarda la domanda di tutela per i periodi senza lavoro, se la diffusione resta quella attuale, la risposta non è semplice. Se la platea dei co.co.pro si riduce, sarà agevolata. Lavoro incentivato LÂ’Italia è tradizionalmente un paese che ricorre molto agli incentivi economici per promuovere lÂ’occupazione, in particolare giovanile. (1) In via di principio, le sottocontribuzioni per lÂ’apprendistato, quelle che intendono agevolare lÂ’inserimento e il reinserimento al lavoro dei disoccupati sono una misura ragionevole e in qualche caso appropriata. È lÂ’utilizzo anomalo, peraltro stigmatizzato a livello europeo perché in contrasto con la normativa dellÂ’Unione, a far mutare il giudizio. (2) Di fatto, le imprese considerano le sottocontribuzioni un risarcimento degli eccessivi oneri impropri sopportati piuttosto che uno stimolo ad accrescere la domanda di lavoro. Inoltre, poiché gli sgravi contributivi riguardano il flusso di nuovi assunti, ciò incentiverà le imprese ad attuare il ricambio occupazionale: di conseguenza, a pagare saranno spesso i lavoratori meno giovani, anche perché sono sempre meno utilizzabili gli ammortizzatori sociali in deroga (mobilità lunga, prepensionamenti). Lavoro a termine Non si può non riconoscere che la precarietà del lavoro nella prima parte della vita attiva è preferibile alla disoccupazione. Ma è altrettanto certo che una sequenza prolungata di lavori a termine, per di più scarsamente retribuiti, finisce per riflettersi negativamente sulla condizione del lavoratore. La mancanza di autonomia economica influenzerà le scelte di vita, compresa quella non irrilevante di avere figli. (3) È ragionevole ritenere che un lavoratore a termine costi di più alla collettività in quanto “consumerà ” più interventi pubblici di un lavoratore stabile sia per sostenere il suo reddito, nella forma di unÂ’indennità di disoccupazione ordinaria o più frequentemente con requisiti ridotti, che interventi di politica attiva. Convergenza – unificazione delle aliquote previdenziali Oltre a favorire un uso improprio dello strumento, le aliquote attualmente in vigore per i parasubordinati finiscono per deprimere lÂ’ammontare della pensione cui si avrà diritto per lÂ’effetto combinato del metodo contributivo e per la tuttÂ’altro che rara discontinuità dei nastri lavorativi individuali. Si potrebbe elevare di 10 punti percentuali lÂ’aliquota contributiva attualmente in vigore per coloro che non hanno unÂ’altra posizione previdenziale attiva. Con lÂ’occasione, ma la questione ha un rilievo più generale, potrebbe essere riesaminato il contributo rispettivo di datori e lavoratori. Rimodulazione della spesa pubblica per le politiche del lavoro Operando sulle convenienze economiche, dovrebbe essere possibile “pilotare” il sistema lavoro verso una assetto più convincente ed efficiente. La perdita di peso del lavoro parasubordinato e la riduzione dellÂ’area del lavoro incentivato dovrebbero favorire inizialmente la crescita del lavoro a termine. Questo non può essere lÂ’obiettivo finale del disegno riformatore, ma va considerato un passo in avanti in termini di chiarezza del mercato del lavoro, di maggiore tutela previdenziale dei lavoratori deboli. Il passaggio più delicato sarà comunque la rimodulazione della spesa per incentivi individuando la priorità nella stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Parte delle risorse oggi destinate agli sgravi contributivi potrebbe essere utilizzata per ridurre in misura modesta ma strutturale il costo del lavoro alle dipendenze per tutte le imprese, limitando però lÂ’applicazione alla platea di lavoratori che percepiscono una retribuzione inferiore a un determinato ammontare (per esempio 40mila euro/anno ), parte per finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali e parte per impieghi mirati, e in particolare per investimenti formativi. (4) Differenziazione delle aliquote extraprevidenziali LÂ’ammontare della contribuzione allÂ’assicurazione per la disoccupazione involontaria che vale poco meno del 2 per cento della massa salariale potrebbe essere differenziato a seconda che si tratti di assicurare lavoratori a termine o lavoratori stabili. Nel primo caso, il contributo per il finanziamento delle politiche attive del lavoro e la tutela economica della disoccupazione potrebbe essere maggiorato di 1,4 punti percentuali rispetto allÂ’assetto attuale, dallÂ’1,61 al 2 per cento lÂ’ordinario, dallo 0,30 allÂ’1,30 per cento il contributo addizionale. (5) LÂ’importo risultante dalla maggiorazione contributiva sarebbe restituito al datore di lavoro nel caso in cui il rapporto di lavoro venga stabilizzato prima o entro la scadenza contrattuale. LÂ’adeguamento dei contributi previdenziali degli autonomi Come fanno giustamente notare Benetti e Olini, lÂ’aumento dei contributi previdenziali degli autonomi sembra importante per due ragioni: le aliquote attualmente in vigore non sono certamente aliquote di equilibrio e il loro adeguamento porterà loro vantaggi nelle prestazioni. (1) Più di 5 miliardi di euro lÂ’anno pari a 10mila miliardi delle vecchie lire secondo i dati contenuti nel Rapporto di monitoraggio del ministero del Lavoro.
Il problema è che nessuno regala niente: se la contribuzione vale poco, varranno poco anche le prestazioni; e se la flessibilità è elevata, si volteggia senza rete. Il vantaggio di alcuni sarà pagato dalla collettività e dalla parte più debole dei lavoratori. Occorre dunque intervenire su quelle convenienze, regolare la flessibilità , premiare i comportamenti socialmente virtuosi delle imprese, rivedere il sistema delle tutele in un mercato del lavoro profondamente mutato. Non correzioni, ma un quadro d’interventi coerente, che va ben al di là della legge 30.
(2) L’Italia ricorre agli incentivi all’assunzione assai più degli altri paesi europei. È proprio questo ricorso anomalo che toglie senso al confronto con gli altri paesi per quanto attiene alla spesa per le politiche attive del lavoro.
(3) Il costo elevato degli alloggi e la mancanza di esternalità limitano fortemente la mobilità territoriale dei giovani a fini di formazione o per lavoro.
(4) La precarizzazione dei rapporti di lavoro ha messo in crisi il modello della formazione continua. Una nuova e impegnativa strategia potrebbe quella del sostegno alla domanda individuale di formazione. Ma questo richiede un sistema pubblico all’altezza della sfida, più qualità e più concorrenza tra le proposte formative, azioni di sistema appropriate. Comunque, deve emergere la consapevolezza che la fase attuale non è favorevole alla formazione: la leggerezza dei rapporti di lavoro non promuove gli investimenti formativi e dovendo scegliere a cosa rinunciare, gli individui scelgono comprensibilmente più reddito rispetto a più formazione;
(5) Il contributo dello 0,30 per cento finanzia oggi in parte i fondi interprofessionali per la formazione continua.
Quale potrebbe essere stato il risultato delle partite oggi al centro delle indagini della magistratura? Perchè proprio quelle? Hanno davvero alterato l’esito del campionato? E che rapporto cÂ’eÂ’ tra il condizionamento degli arbitraggi e il crescente divario fra grandi e piccoli clubs? Proviamo a fornire alcune prime risposte a tali quesiti, sulla base di unÂ’analisi dei risultati degli ultimi campionati. Una superlega con selezione delle terne arbitrali a livello europeo potrebbe risolvere al contempo diversi problemi e ridare credibilità al calcio.
C’è un versante previdenziale-assistenziale della riforma del mercato del lavoro che solitamente viene affrontato con scarsa attenzione non solo per i problemi di finanza pubblica, ma anche per alcuni aspetti tecnico-giuridici attinenti a importanti istituti del modello di protezione sociale, di quello pensionistico in particolare. Si parla dell’introduzione di nuovi ammortizzatori sociali, della ridefinizione e dell’armonizzazione delle aliquote contributive per le differenti tipologie di lavoro, del riconoscimento di agevolazioni fiscali alle imprese che assumono a tempo indeterminato. Interrogativi sul disegno strategico Anche volendo accantonare le sfide economiche e finanziarie della complessa operazione in cui è impegnato il nuovo Governo (non si dimentichi che da almeno due legislature non è stato possibile, per mancanza di adeguate risorse, un riordino degli interventi a sostegno del reddito e dell’occupazione a favore di tutto il lavoro subordinato e, quindi, anche degli occupati nelle piccole imprese e non solo dei dipendenti delle aziende medie e grandi, come avviene adesso), è il disegno strategico di fondo a suscitare interrogativi tuttora carenti di adeguate risposte.
Tutti questi obiettivi, poi, devono essere raccordati con la proposta di ridurre il cuneo contributivo di almeno cinque punti.
Con la proposta del taglio dei cinque punti, che deve necessariamente coinvolgere anche l’aliquota pensionistica perché è questa a “fare la differenza”, essendo nel contempo il minimo comune denominatore per tutte le tipologie di lavoro lungo una prospettiva di tendenziale armonizzazione, si arriva al cuore della riforma Dini del 1995: la correlazione tra aliquota di finanziamento e aliquota di accredito. A prescindere dagli esiti dellÂ’allineamento delle aliquote, un percorso comunque non facile che incontrerà la resistenza delle categorie interessate degli autonomi e degli atipici, nel caso del lavoro dipendente, quella di finanziamento è destinata a calare, per effetto, appunto, del “taglio”. Cosa accadrà alla seconda? Se essa si ridurrà in proporzione, vi saranno conseguenze negative sul calcolo della prestazione. In caso contrario, dovrà sopperire la fiscalità , facendo venir meno l’equilibrio tra quanto si versa e quanto si riceve. Sarebbe questa, pari pari, la situazione più volte denunciata in occasione del lungo iter legislativo della legge Maroni, quando lÂ’opposizione politica e sindacale, di fronte al progetto di decontribuzione fino a cinque punti (limitata alla fattispecie dei nuovi assunti con rapporto a tempo indeterminato) lamentava, appunto, il venire meno del sinallagma contributi/prestazione, con tutte le conseguenze del caso.
Per ovviare a tale inconveniente strutturale, nel dibattito (sempre interessante quello condotto da lavoce.info) è emersa l’ipotesi dell’istituzione graduale di una pensione di base, finanziata dal gettito fiscale, che si accompagni ai trattamenti obbligatori a carico di un sistema contributivo rivisitato in senso più uniforme per tutte le categorie, anche per quanto riguarda il tasso di sostituzione assicurato. Non si tratta di un’ipotesi del tutto peregrina, se si considera che, adesso, vi sono almeno 34 miliardi di euro in quota Gias che vanno a sostenere, a vario titolo, la spesa pensionistica.
Il Governo, nelle sue componenti riformiste (è rassicurante la nomina di Cesare Damiano al dicastero del Lavoro nonostante lo “spezzatino” subìto dal Welfare), ha in programma, poi, di stabilizzare il lavoro atipico, attraverso un irrobustimento delle protezioni. La parola dÂ’ordine è sempre la stessa: il lavoro flessibile sarà consentito, ma dovrà costare di più. LÂ’indicazione sembra corrispondere a una petizione di principio piuttosto che a unÂ’ipotesi realistica. Il lavoro parasubordinato rischierebbe – proprio per le sue caratteristiche di attività riservata ai settori deboli – di finire fuori mercato sotto la spinta di un sistema di regole oggettivamente insostenibili.
Ma se si volesse sperimentare tale percorso, sarebbe necessario usare molta cautela nel prevedere nuovi ammortizzatori sociali e i relativi criteri di finanziamento. La gestione dei parasubordinati presso lÂ’Inps ha sufficienti avanzi (5 miliardi lÂ’anno) per far fronte in maniera autonoma alla copertura di una più ampia gamma di tutele, senza dover ricorrere a trasferimenti dal bilancio statale. La medesima prudenza dovrebbe valere con lo strumento delle agevolazioni fiscali finalizzate alla “buona” occupazione. Non avrebbe proprio senso drogare, in maniera strutturale, il mercato del lavoro, alimentando posti finti, finalizzati a riscuotere il credito dÂ’imposta. Alla fine dei conti, poi, rimarrebbe a “fare la differenza” la questione della disciplina del licenziamento individuale. Come si vede, i nodi tornano sempre al pettine. E non a caso nelle proposte circolate nelle ultime settimane, compresa la ricetta Zapatero, ha rifatto capolino il problema delle regole della risoluzione del rapporto di lavoro, come cartina di tornasole della flessibilità .
Per decenni, il calcio italiano ha punito gli onesti e premiato i furbetti. Bisogna fare il contrario. Non sono necessarie nuove leggi, quanto il ripristino di quelle esistenti, troppo a lungo sospese. Come è accaduto al codice civile, “soppiantato” dal decreto salvacalcio. Da ripensare, e forse vietare, la quotazione in Borsa delle squadre. Lo Stato, poi, inizi a farsi pagare i 650 milioni di imposte arretrate. Chi deve fallire, fallirà . Ma entrerà aria nuova, e lo scandalo sarà servito a qualcosa.
In Italia, quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, in politica si raggiunge l’apice: basta guardare l’età degli ultimi due presidenti del Consiglio. UnÂ’anomalia in Europa. E’ possibile che la nostra classe dirigente abbia conoscenze più datate, e perciò sia meno adatta a interpretare i rapidi processi di cambiamento della società contemporanea. E purtroppo, il mondo politico italiano è lo specchio fedele del mondo del lavoro: la mobilità sociale è bassissima e la carriera professionale si sviluppa soprattutto per anzianità .
Una delle regole auree della politica economica dovrebbe essere quella di utilizzare uno strumento per ogni obiettivo che ci si prefigge. In campagna elettorale, invece, uno strumento, la riduzione del cuneo contributivo di 5 punti percentuali con un costo stimato di 10 miliardi di euro, è stato proposto dall’Unione per tre obiettivi distinti: ridurre il costo del lavoro per le imprese, rimpinguare la busta paga dei lavoratori e incentivare le assunzioni stabili. Che cosa rende conveniente il lavoro atipico? Anche il terzo obiettivo, l’incentivazione per via contributiva del lavoro stabile, è in conflitto con gli altri due, soprattutto con il primo. L’Unione propone di armonizzare le aliquote contributive che pesano sulle diverse forme di lavoro, riducendo il cuneo sul lavoro standard e aumentando quello su alcuni contratti atipici, in modo da evitare che contratti temporanei e con scarse tutele siano scelti dai datori, pubblici o privati, solo per ragioni di risparmio sui costi. Ridistribuire le tutele (non solo previdenziali) Infine, l’idea dell’Unione di favorire il lavoro standard attraverso una riduzione delle disparità tra questo e i contratti atipici (anche se solo in tema di cuneo contributivo) implica una precisa filosofia di redistribuzione delle tutele e degli oneri sul mercato del lavoro. Si parte dall’idea (implicita) che, per difendere la centralità del lavoro a tempo indeterminato, lo si deve rendere meno costoso e più flessibile. Non si capisce perché la stessa filosofia non venga presa in considerazione sul versante dei regimi di protezione e dei costi di licenziamento, per esempio, estendendo a tre anni il periodo di prova per i nuovi contratti a tempo indeterminato, come proposto da Tito Boeri e Pietro Garibaldi su lavoce.info. Certo, nel caso del cuneo, la redistribuzione è politicamente fattibile, perché la fiscalizzazione dei contributi fa sì che non siano i lavoratori dipendenti a pagarne direttamente il conto. Ma esisterebbe un modo per ridurre il costo diretto anche di una redistribuzione delle tutele sul fronte della regolamentazione: allargare gli ammortizzatori sociali e i servizi di formazione/informazione per chi si trova costretto a spostarsi da un impiego a un altro. Argomenti rimasti curiosamente in sordina durante la campagna elettorale.
Intendiamoci, stiamo parlando di una proposta condivisibile nelle sue linee di fondo. Una proposta che, parzialmente, può andare incontro a questi obiettivi. Ma tutti dovrebbero aver chiaro che “nessun pasto è gratis”, altra regola che, in economia, non sgarra mai: nella misura in cui si riuscirà a centrare uno dei tre obiettivi, verrà a mancare qualcosa sugli altri due fronti. Per questo è importante capire come sÂ’intenda attuare la riduzione del cuneo. I suoi effetti distributivi, ma anche quelli di equilibrio generale nel mercato del lavoro, non sono facilmente prevedibili, senza conoscerne tanto i destinatari quanto gli interventi che serviranno a finanziarlo.
Il conflitto tra i primi due obiettivi, per esempio, è lapalissiano. Se i mitici 5 punti di riduzione del cuneo serviranno a dare una boccata d’ossigeno ai costi delle imprese, oppure a riportare i consumatori nei supermercati, dipende da quanto i minori contributi saranno traslati sul salario netto. Meglio dire, allora, che s’intende restituire alla contrattazione collettiva (e aziendale?) 10 miliardi di euro. In che misura questo avvantaggerà le imprese o i lavoratori dipende da molti fattori, che possono variare da settore a settore.
Si tratta – nuovamente – di un obiettivo condivisibile, ma deve essere esplicitato chi dovrà pagarne il conto. Innanzitutto, di quali aliquote contributive stiamo parlando? LÂ’esempio che viene alla mente riguarda le collaborazioni continuate e continuative, o i lavori a progetto. LÂ’aliquota contributiva dei co.co.co è attualmente al 18,2 per cento (allÂ’interno di un progressivo aumento fino al 19 per cento previsto per il 2009), contro il 32,7 per cento dei lavoratori dipendenti. È vero che in molti casi (anche di enti locali amministrati da entrambi i poli) i lavoratori parasubordinati vengono usati come dipendenti “mascherati” per risparmiare sui costi contributivi. Tuttavia, per quanto importante, questa tipologia atipica è quantitativamente contenuta, mentre lÂ’aumento delle aliquote sul “vero” lavoro autonomo avrebbe effetti che, comunque li si giudichi, con la stabilizzazione del lavoro non cÂ’entrano.
Altre forme di lavoro temporaneo, come i contratti a causa mista, godono di agevolazioni contributive create per favorire categorie sociali o aree del paese svantaggiate. S’intende mettere mano anche a queste agevolazioni? Per il resto, esiste un principio di non discriminazione rispetto alle forme contrattuali. Certo, i contributi sono riproporzionati sulla base della prestazione lavorativa, che per i lavoratori atipici ha natura ridotta o intermittente, e di conseguenza molti giovani devono fare i conti con una pensione attesa del tutto inadeguata. Aiutare questi giovani con integrazioni contributive a carico della fiscalità generale andrebbe incontro a esigenze di equità (in un mercato dove i costi della flessibilità sono stati scaricati sulle spalle delle giovani generazioni). Ma di nuovo, questo non ha niente a che vedere con il proposito di favorire il lavoro permanente.
Al di là di questi rilievi, e assumendo che l’aumento delle aliquote su lavoro autonomo e co.co.co possa ridurre le distorsioni a favore dell’utilizzo del lavoro atipico, c’è un altro punto che deve essere considerato. Se alcune collaborazioni verranno realmente trasformate in contratti a tempo indeterminato, questo si ripercuoterà sui costi dei datori di lavoro, rimangiandosi una parte della voluta iniezione di competitività . Si considerino due ipotesi estreme.
Ipotesi 1: l’utilizzo del lavoro atipico dipende unicamente dagli associati risparmi previdenziali. Una volta equiparate le aliquote, tutti i lavoratori parasubordinati vengono assunti con contratti stabili, facendo aumentare i versamenti contributivi a loro associati. Considerando un’impresa con cento dipendenti di cui dieci co.co.co anche assumendo che questi ultimi guadagnino in media il 10 per cento in meno dei loro colleghi, è facile vedere come un quinto della riduzione del costo del lavoro stabile sia rimangiato dall’aumento per i contributi dei collaboratori.
Ipotesi 2: l’utilizzo del lavoro atipico dipende unicamente dai risparmi attesi per minori costi di licenziamento. In questo caso, l’armonizzazione contributiva non produce nessun effetto in termini di conversione dei contratti. Assistiamo a un inasprimento dei contributi sui lavoratori parasubordinati. E, a seconda dell’elasticità della domanda di questi lavoratori, possiamo assistere al licenziamento di alcuni di loro.
Ovviamente, la realtà si colloca da qualche parte nel mezzo di queste ipotesi estreme. Ma la politica deve scegliere chi vuole mettere a tavola attraverso le sue politiche pubbliche e, soprattutto, chi sarà chiamato a pagare il conto. A mio avviso, l’armonizzazione contributiva è un intervento condivisibile, ma si devono tenere presenti tutti i suoi possibili effetti sui costi delle imprese o sul mercato del lavoro.
Per fare il punto sull’attività e gli obiettivi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, lo scorso 28 aprile abbiamo sottoposto ai vertici dell’Istituto una scheda di sintesi degli impegni presi nel corso degli ultimi due anni. Ospitiamo oggi l’intervento di replica del Presidente
dell’IIT Vittorio Grilli; altre notizie sono disponibili sul sito www.iit.it  nei due comunicati stampa del 3 e del 9 maggio
Il Civr è stato un successo, riuscendo a valutare in breve tempo un gran numero di prodotti e contribuendo a mettere in moto un processo salutare all’interno dell’università italiana. Tanto che si suggerisce di renderlo annuale. Cosicché le strutture possano aggiustare politiche e incentivi con maggiore gradualità e vedere rapidamente l’esito del lavoro svolto. Non mancano però opinioni che invitano a inserire la valutazione Civr in un sistema di indicatori capaci di intercettare le diverse dimensioni della qualità di un dipartimento e la loro evoluzione nel tempo. Nuovi interventi di Franco Peracchi, Giovanni Abramo e Roberto Tamborini.
Questa nota sollecitata da lavoce.info ci consente di fare chiarezza sul reale stato di avanzamento del programma scientifico dell’Iit, anche alla luce dei recenti comunicati del 3 maggio e del 9 maggio 2006 sugli sviluppi delle attività della Fondazione Iit. (1)
Reclutamento degli scienziati: punti 1, 9, 10 de lavoce.info
L’annuncio pubblicato su Nature e Science da Iit (maggio 2005) per l’assunzione dei direttori di ricerca si è rivelato un successo di proporzioni inattese. Sono pervenute 155 application, di cui circa il 70 per cento da ricercatori stranieri o italiani operanti all’estero. È stato pertanto necessario costituire tre panel di scienziati internazionali di chiara fama per la valutazione dei curricula con una procedura completamente informatizzata basata su un sito web personale per ciascun valutatore. (2) Come indicato nel comunicato del 9 maggio 2006, i professori Benfenati, Caldwell, Fontaine e Sandini hanno concluso le trattative di assunzione con Iit nella prima settimana di maggio 2006. Per altri due ricercatori residenti negli Usa, le trattative dovrebbero completarsi entro la fine di maggio 2006. Con gli ultimi due ricercatori sono in corso di valutazione aspetti finali del loro rapporto con Iit.
Definizione laboratori: punti 1, 4, 8 de lavoce.info
Tra ottobre 2005 e febbraio 2006 sono state effettuate numerose riunioni tecniche con i ricercatori selezionati atte a definire in maniera quantitativa le strutture dei gruppi, dei laboratori e dei programmi di lavoro quinquennali, allo scopo di presentare: (a) il lay-out generale dei laboratori, (b) la pianta organica pluriennale dei diversi gruppi, (c) il budget quinquennale di previsione. Si noti che nonostante l’elevatissimo numero di candidati, tra l’altro di qualità eccezionalmente elevata, è stato già approntato un budget presentato in forma previsionale al consiglio di Iit del 4 aprile 2006.
Network tecnologico multidisciplinare: punti 1, 7 de lavoce.info
Iit ha lanciato nel 2004 il programma di dottorato di ricerca presso sei sedi: Università di Genova, Politecnico di Milano, Consorzio Ifom-Ieo di Milano, Ospedale San Raffaele, Scuola Normale Superiore di Pisa, Sant’Anna di Pisa e ha continuato nella sua strategia di collaborazione con primarie istituzioni di ricerca italiane iniziando a settembre 2005 la prima serie di incontri scientifici per la costituzione del Network tecnologico multidisciplinare della Fondazione Iit. Fra settembre 2005 e marzo 2006 sono state elaborate con i partner le convenzioni quadro per la costituzione di unità di ricerca Iit che svilupperanno parti del programma Iit presso le sedi di: Scuola Superiore Sissa di Trieste, Politecnico di Milano, Consorzio Ifom-Ieo di Milano, San Raffaele di Milano, Scuola Normale Superiore di Pisa, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Istituto Ebri Roma, Università Federico II Napoli, Laboratorio nazionale nanotecnologia Cnr di Lecce. La riunione di avvio ufficiale della rete si è tenuta il 3 maggio 2006. (3)
Accordi con istituti esteri: punti 1, 2 de lavoce.info
È in fase di costruzione il programma bilaterale con Mit-Usa (prof. E. Bizzi, prof. E. Spector, prof. R. Cingolani) mentre l’accordo con Waseda, già siglato nel 2005, verrà avviato ufficialmente nei prossimi mesi dai direttori di ricerca della piattaforma robotica e dal polo Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È in programma inoltre un incontro dei rappresentanti della rete multidisciplinare tecnologica di Iit con rappresentanti della rete Fraunhofer nei prossimi mesi.
Sede per i laboratori: punti 1, 8 de lavoce.info
Contestualmente alle attività per la selezione degli scienziati e la costruzione della rete, fra la fine del 2005 e il 2006, con l’aiuto efficacissimo della Regione Liguria, è stata identificata una nuova sede per i laboratori centrali di Genova molto più adeguata alle necessità dei laboratori high-tech rispetto alla sede precedentemente individuata a Genova Quarto (ex-ospedale psichiatrico). Come segnalato ampiamente in passato dal direttore scientifico di Iit, la sede di Genova Quarto, per quanto molto bella, non era ideale per le trasformazioni necessarie per i laboratori di Iit. La nuova sede è stata identificata a Morego, e consiste di circa 30mila mq, inclusi gli spazi esterni, con caratteristiche strutturali, impiantistiche e logistiche ideali per lo sviluppo di grandi laboratori. (4)
I direttori di ricerca stanno attualmente progettando i laboratori e i relativi impianti. Gli acquisti delle macchine, le licitazioni private, gli appalti per le gare di grande strumentazione e per lÂ’impiantistica sono in parte iniziati e in parte in corso di ultimazione. (5)
Internet: punto 3 de lavoce.info
Il sito Internet della Fondazione è in rifacimento e pensiamo di fare coincidere la presenza fisica dei laboratori a Morego con il suo rinnovamento.
Business plan: punti 1, 4, 5, 6 de lavoce.info
Confermiamo che è stato già stilato un business plan quinquennale che recepisce il piano di investimenti dei direttori di ricerca, della rete e delle spese logistiche che verrà reso disponibile dopo l’approvazione finale degli organismi della Fondazione.
Personale: punti 1, 9 de lavoce.info
Confermiamo lÂ’obiettivo di avere, entro fine 2006, 6 direttori di ricerca, 35 dottorandi al secondo anno, circa 45 nuovi dottorandi (bando 2006), e circa 30 nuovi ricercatori e post doc assunti dai suddetti direttori di ricerca. Questo porta a un team provvisorio a fine 2006 di circa 115 ricercatori (su tutte le fasce), cui si sommano circa 150 ricercatori distribuiti nella rete multidisciplinare di Iit e dedicati al suo programma.
Governance della Fondazione
È opportuno ricordare ai lettori de lavoce.info anche la rinnovata composizione degli organismi di governance della Fondazione che si sono di recente arricchiti con nuove personalità che apporteranno la loro esperienza nei settori di competenza. Il consiglio della Fondazione è composto da: Gabriele Galateri di Genola (presidente di Mediobanca) con funzione di chairman, Roger Abravanel (direttore di Mc Kinsey), Alberto Alesina (chairman del dipartimento di economia di Harvard), Konrad Osterwalder (rettore Eth Zurich), Remo Pertica (condirettore generale di Finmeccanica), Gianfelice Rocca (presidente Gruppo Techint), Paolo Scaroni (amministratore delegato Eni), Giuseppe Vita (presidente di Ras e del consiglio di sorveglianza di Schering). Il comitato esecutivo della Fondazione è composto da Vittorio Grilli con funzioni di presidente della Fondazione, Roberto Cingolani nel ruolo di direttore scientifico e Giuseppe Cerbone in qualità di vicepresidente.
Impegni mantenuti
Crediamo, pertanto, che gli impegni siano stati mantenuti, senza riserve e con il massimo impegno. A fronte di un ritardo di circa quattro mesi sulla tabella di marcia sono state reperite risorse logistiche migliori in qualità e dimensione e, soprattutto, sono stati assunti ricercatori di fama internazionale in numero ben superiore alle previsioni e con profili scientifici multidisciplinari di valore assoluto. La rete, infine, è partita garantendo una formidabile spinta propulsiva alle attività di ricerca dell’Istituto nella fase complessa e delicata di costruzione della sede centrale. Tutti gli operatori sono già al lavoro per costruire proposte di progetto ad agenzie ed enti nazionali e internazionali.
Per concludere, ci teniamo a sottolineare la nostra continua disponibilità a condividere, in qualsiasi momento, con tutti gli stakeholder, le principali informazioni sullo stato di avanzamento del progetto; così come siamo aperti al dialogo e alla collaborazione con le comunità scientifiche e di pensiero sia italiane che internazionali. Ciò al fine di coinvolgerle attivamente nella costruzione dell’Istituto che, a queste condizioni, crediamo possa davvero contribuire a rafforzare la competitività internazionale della ricerca italiana.
(1) Entrambi i comunicati sono reperibili su http://www.iit.it/news.
(2) Per fare alcuni nomi dei componenti dei panel, basti ricordare Rita Levi Montalcini, Ruzena Baycsi (Harvard), Fabio Beltram (Scuola Normale Superiore di Pisa), Emilio Bizzi (Mit), Paolo Calabresi (Tor Vergata), Federico Capasso (Harvard), Jean Antoine Girault (Francia), Jacopo Meldolesi (San Raffaele Milano), Xie Ming (Singapore), Sandro Mussa-Valdi (Northwestern Univ. Chicago), Michael Pepper (Cambridge), Pierpaolo Puliafito (Univ.di Genova), Mario Rasetti (Politecnico di Torino). Alle procedure di selezione ha partecipato anche Roberto Cingolani quale direttore scientifico dellÂ’Iit. La valutazione dei curriculum ha richiesto circa due mesi, e ha permesso di stilare una short list di 23 scienziati selezionati per i colloqui. Tutti i 23 scienziati short listed sono stati intervistati individualmente a Roma dai panel, fra luglio e settembre
(3) Sono stati inoltre elaborati in dettaglio i programmi scientifici di tutte le Unità di ricerca, con definizione di milestones e deliverables per cinque anni, breakdown dei costi, team di lavoro e strategia di networking che saranno disponibili in rete appena possibile.
(4) Nei mesi fra ottobre 2005 e aprile 2006 si è provveduto a risolvere con l’aiuto della Regione Liguria tutte le questioni burocratiche e tecniche relative all’affidamento dell’edificio a Iit, nonché tutte le questioni strutturali, logistiche, di ripristino e di layout dell’edificio. I lavori sono iniziati ai primi di maggio 2006 e una prima parte dell’edificio sarà consegnata a Iit il 30 giugno per ospitare la prima unità di ricercatori (circa 40 postazioni), mentre la parte dell’edificio che consentirà l’impianto dei primi laboratori sarà consegnata entro fine settembre 2006.
(5) Allo stato attuale sono pronti e già in fase di acquisto/indagine di mercato una dozzina di grandi laboratori: camere pulite, micro e nanofabbricazione, chimica colloidale, analisi chimica, officine meccaniche a controllo numerico, officine elettroniche, microscopia elettronica, spettroscopia e ottica, varie unità di robotica, super computer e server. Altri laboratori sono attualmente in fase di disegno da parte dei direttori di ricerca.