Si è detto che con le misure antiscalata previste dalla Finanziaria 2006 lo Stato si sia precostituito uno strumento per potere uscire dal capitale delle società partecipate, senza perderne il controllo. La norma tace o è ambigua su molti punti, finendo per creare una situazione di incertezza legale che si ripercuoterà sul mercato e sull’appetibilità delle società in mano pubblica. Ma è davvero in grado di ostacolare le scalate? Se lo Stato cedesse le partecipazioni, l’intero meccanismo difensivo cadrebbe come un castello di carte.
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In questa fase di turbolenza politico-istituzionale siamo invitati a ricordare che il primo nodo da sciogliere è la tenaglia della scarsa crescita economica e dello squilibrio dei conti pubblici che stringe l’economia italiana. A ciò si aggiunge la tegola dei record del prezzo del petrolio. Invece di ascoltare le non originali proposte di ridurre il prelievo fiscale sui prezzi dei carburanti, il nuovo Governo dovrebbe varare al più presto riforme di struttura, volte a liberalizzare il più possibile i mercati dell’energia. E riordinare l’intera tassazione del settore.
Nell’analizzare le priorità del dopo voto, Tito Boeri suggerisce di sfruttare i tempi lunghi per la formazione del nuovo Governo per definire il programma. Questo sembra necessario alla luce dell’evoluzione dei conti pubblici e degli impegni presi in sede comunitaria: la Trimestrale di cassa già evidenzia che nel 2006 non rispetteremo la raccomandazione del Consiglio dei ministri finanziari (Ecofin) di ridurre sufficientemente il deficit pubblico in modo da avere, nel 2007, un valore sotto al 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. Un programma per cinque anni Per evitare un’accelerazione nella procedura, l’Italia dovrebbe presentare già a giugno un nuovo Programma di stabilità , che aggiorni la strategia del nuovo Governo per garantire il rispetto degli impegni comunitari. Va considerato che la presentazione di un nuovo programma dopo le elezioni legislative sembra una prassi dei paesi europei: lo fece l’Olanda nel giugno 2003 dopo le elezioni tenutesi a gennaio, la Germania nel gennaio 2004, la Grecia a marzo 2005, il Portogallo nel giugno 2005.
È allora probabile che la Commissione europea possa proporre di riattivare la procedura di deficit eccessivo prevista dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e crescita.
La novità nel caso dell’Italia potrebbe essere quella di presentare un Programma di stabilità di legislatura, che copra i prossimi cinque anni, e non solo il biennio, come avviene di solito nei programmi discussi a Bruxelles.
Un programma di questo genere potrebbe coincidere nei tempi e nei contenuti con il Dpef: si eviterebbe il costo “politico” della presentazione di due documenti di fatto identici, ma soprattutto ciò porterebbe a coinvolgere nella discussione le parti sociali e il Parlamento, così da avere un forte impegno nazionale al rispetto delle strategie indicate. Finora, invece, il Programma di stabilità italiano non è mai stato dibattuto in profondità nel Parlamento nazionale, né è stato concertato preventivamente con le parti sociali, rimanendo un documento confinato alla discussione sovranazionale.
Un Programma di stabilità di legislatura permetterebbe all’Italia di discutere con Bruxelles una strategia complessiva e non di breve periodo, che riguardi sia le misure di contenimento del deficit, sia quelle orientate alla crescita. Le iniziative strutturali per la crescita possono avere costi nel breve periodo, ma vantaggi nel lungo. Se questi interventi sono ben argomentati e documentati dal punto di vista quantitativo, potrebbero essere esclusi dal computo del Patto di stabilità o, in ogni caso, analizzati con occhio benevolo in sede europea.
L’idea di un Programma di legislatura è già circolata a Bruxelles ai tempi della riforma del Patto di stabilità , ed espressamente auspicata nel Consiglio europeo di marzo 2005. (1)
In quella sede, i capi di Stato e di Governo invitarono i loro rispettivi paesi a presentare, dopo l’insediamento di un nuovo esecutivo, un programma con un orizzonte temporale di legislatura. L’Italia potrebbe essere portatrice di questa novità . Il risultato sarebbe quello di vincolare sul piano nazionale le forze politiche di maggioranza al rispetto di un documento programmatico discusso e approvato dal Parlamento. Sul fronte comunitario, di ottenere uno slittamento nei tempi di rientro dal deficit eccessivo, proprio perché il percorso proposto sarebbe credibile. Immaginare un rientro dal deficit eccessivo nel 2008, e non più nel 2007, permetterebbe al Governo di iniziare ad attuare alcune riforme importanti senza dover utilizzare il credito politico accumulato solo per operazioni miranti al risanamento della finanza pubblica nel breve periodo. Di fatto, la procedura di deficit eccessivo durerebbe quattro anni, dal 2005 al 2008: sempre meno della Germania e della Francia.
(1) http://ue.eu.int/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/en/ec/84335.pdf, punto 1.4 dellÂ’appendice 2.
I dati del nuovo Senato confermano la regola: chi cambia la legge elettorale perde e i parlamentari che l’hanno votata vanno a casa. Il turnover dei senatori dei partiti della vecchia maggioranza è radicalmente aumentato. Nonostante la legge, c’è una nuova maggioranza. Ma è risicata. Serve allora una Grosse Koalition? Non con un elettorato così polarizzato per professioni come emerge dai sondaggi. Si rischiano solo veti incrociati e immobilismo
Abbiamo simulato l’esito delle politiche del 2006 con le regole del 2001: la Casa delle libertà avrebbe vinto. Alla Camera avrebbe ottenuto 320 seggi, 245 col maggioritario e 75 col proporzionale. Al Senato, 166 seggi, 129 dalla parte maggioritaria e 37 da quella proporzionale. In entrambi i casi senza tenere conto di eventuali seggi ottenuti in Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, e tra gli italiani all’estero. Con il nuovo sistema, la Cdl non ha sfruttato gli exploit concentrati in circoscrizioni e Regioni, nelle quali avrebbe conquistato la quasi totalità dei seggi maggioritari.
Il primo voto degli italiani residenti all’estero è stato decisivo nel determinare il risultato finale delle elezioni politiche 2006. Ma perché dare pieno peso politico a chi contribuisce al prodotto nazionale lordo e non al prodotto interno lordo, come gli immigrati che vivono in Italia? Tre le ipotesi: dare riconoscimento alle rimesse, al livello e alla qualità del capitale umano degli emigrati o sottolineare il valore delle esportazioni e della bilancia turistica. Solo la terza è plausibile. E facile da misurare.
Dopo il risultato delle elezioni, qualcuno ha proposto di seguire la strada della Germania e formare una grande coalizione. Ma importare il modello tedesco non si può, a meno di un significativo cambiamento nel panorama politico italiano. Perché la grosse koalition ha un senso solo con la fine del bipolarismo, altrimenti in Parlamento non ci sarebbe opposizione. Né sembra possibile un accordo su un programma condiviso dai due schieramenti. E poi quali partiti dovrebbero entrare in questo Governo di coalizione?
Ripristino del maggioritario, aggiustamento per due punti di Pil nei prossimi due anni, ma soprattutto rilancio della crescita, agganciando la ripresa europea: sono alcune priorità del nuovo Governo, che avrà una maggioranza risicata al Senato. La pausa obbligata prima dell’insediamento dell’esecutivo può essere utilizzata per definire un programma che vincoli tutti, ministri e partiti, al suo rispetto. E potrebbe servire a precostituire alleanze trasversali ai due schieramenti nel sostegno a riforme condivise.
Non ha supporto empirico la credenza che la maggioranza dei cittadini italiani vorrebbe avere più risorse per sé, così da affrontare le molte falle di un sistema di servizi pubblici verso cui nutrirebbe sentimenti di evidente sfiducia. Lo si ricava dall’analisi dei dati dell’ultima indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie. Di fronte allÂ’alternativa meno tasse e meno servizi oppure tasse elevate e maggiori servizi, la maggioranza assoluta del campione sceglie la seconda opzione. Senza grandi distinzioni per reddito, titolo di studio e area geografica.
E’ un problema il mancato aggiustamento agli squilibri delle bilance commerciali mondiali dovuti al rialzo dei prezzi del greggio. Aumentano infatti i rischi di un ribasso del dollaro, con conseguente brusco rialzo dei tassi di interesse Usa e successiva recessione. Soprattutto per l’Italia. Servono azioni di politica economica. Nei paesi esportatori dovrebbe aumentare la spesa in educazione e infrastrutture, con effetti positivi permanenti sulla crescita e sugli standard di vita. Nei paesi importatori, bisogna invece arrivare a una riduzione dei consumi di petrolio.