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Le regole di Gran Bretagna e Francia

In entrambi i paesi sono vietati gli spot a pagamento. Le norme britanniche riflettono la tradizione di autoregolamentazione: i giornalisti rispettano parametri di correttezza e oggettività nella copertura della campagna e i canali generalisti, privati e pubblici, sono obbligati a fornire un’informazione imparziale, che non lasci trasparire le posizioni dell’emittente. In Francia, si chiede alle televisioni di garantire ai candidati un equo trattamento nell’accesso ai programmi. Previsto lo stesso tempo di comunicazione autogestita per governo e opposizione.

L’elettore incanalato

Quale influenza hanno le televisioni sulle scelte di voto? Gli studi in proposito non danno risultati univoci. Ma se il telespettatore medio della Bbc corrisponde alle caratteristiche dell’elettore medio, i dati italiani mostrano invece una correlazione molto robusta fra scelte televisive e scelte di voto. E ciascuna fonte di notizie appare poco credibile a una parte non trascurabile dell’elettorato, che perciò non si espone a opinioni contrastanti. Al di là delle implicazioni elettorali, l’anomalia mediatica italiana sembra impoverire il confronto democratico.

Par condicio, avanti con judicio

La legge sulla par condicio ribadisce un principio di pari opportunità, secondo cui tutti i soggetti politici debbono avere le stesse possibilità di comunicare le proprie posizioni e programmi indipendentemente dal loro peso elettorale. In modo da garantire all’elettore le informazioni rilevanti per compiere una scelta consapevole. Modificare la legge non è auspicabile. Perché in un sistema bipolare l’esecutivo avrà meno incentivi a rispettare il mandato ricevuto se ritiene di poter compensare una cattiva azione di governo con una adeguata raffica di spot.

L’Italia e il rischio Argentina*

Se la crescita è bassa in tutta l’area euro, esistono però notevoli differenze tra un paese e l’altro. Alcuni hanno intrapreso la strada delle riforme e ottengono risultati confortanti. Invece, senza le necessarie riforme, il circolo vizioso della stagdeflazione imporrà all’Italia l’uscita dall’Unione monetaria, con il ritorno alla lira e il ripudio del debito denominato in euro. Così come ha fatto il paese Sudamericano di fronte a una crisi non dissimile dalla nostra. Ovviamente gravi le ripercussioni, fino a un probabile collasso della stessa Unione monetaria.

Che fine faranno confische e sequestri

La legge Rognoni-La Torre ha permesso di sottrarre alla criminalità organizzata in via temporanea o definitiva oltre 3,6 miliardi di euro di sequestri e quasi 700 milioni di euro di confische. Molte di queste risorse sono state utilizzate per attività sociali e reimmisse nell’economia legale. Ora si pensa però di rifomare la legge. A destare preoccupazione è in particolare l’affidamento dell’amministrazione dei beni in sequestro o confisca all’Agenzia del Demanio e la possibilità di revisione della decisione definitiva di confisca nel procedimento di prevenzione.

La lunga marcia dell’istruzione

Un nuovo approccio di ricerca mostra che non è la spesa in istruzione di un paese a determinare i risultati scolastici dei suoi studenti. Il fattore fondamentale è il livello generale di efficienza del settore pubblico. Perciò riforme parziali del sistema educativo volte ad accrescere la trasparenza o la concorrenza nella distribuzione delle risorse, seppur positive, avranno solo un impatto limitato. Da ripensare e rendere più efficiente è la pubblica amministrazione. Un obiettivo che richiede tempo e un consenso generale.

Dare credito allo studio

I dati mostrano che il modello italiano di diritto allo studio è inefficace. I sussidi sono modesti rispetto al costo della laurea, e difficilmente possono influire sulle decisioni dei giovani provenienti dalle famiglie meno abbienti. Meglio sarebbe introdurre forme di credito agli studi universitari. Che dovrebbero coprire i costi dell’istruzione, ma anche i mancati salari, con rimborsi a lungo termine. Ricordando che i paesi con una alta percentuale di laureati hanno anche un elevato differenziale medio salariale a favore di chi possiede un titolo universitario.

Lo tsunami dell’università italiana

L’anali dei dati demografici dei docenti universitari italiani rivela un numero sproporzionato di coloro che appartengono alla fascia compresa tra i cinquantacinque e i sessanta anni. Il picco anomalo si sposta nel tempo man mano che il personale invecchia, ricordando la propagazione di un’onda solitaria. Il “terremoto” che l’ha provocata è la legge 382/1980 che ha assunto ope legis una vasta classe di figure orbitanti nel mondo universitario. Che succederà tra quindici anni, quando tutti questi professori arriveranno all’età della pensione?

Il “quasi-mercato” dei professori

La qualità degli insegnanti e dell’insegnamento svolge un ruolo cruciale nel determinare gli esiti scolastici degli studenti. Ma come motivare i docenti più bravi? Nel Regno Unito la contrattazione collettiva è stata sostituita da un sistema di retribuzione fondato su un esplicito meccanismo di classificazione delle scuole. Anche da noi si dovrebbero ridurre le posizioni di rendita, premiando le istituzioni più efficaci e gli insegnanti migliori. Mentre la contrattazione collettiva dovrebbe concentrarsi sulla determinazione di condizioni di base eguali per tutti.

Per l’uguaglianza delle opportunità

I divari nei rendimenti scolastici in Italia sono significativi e dipendono fortemente da fattori quali l’area di residenza e il background familiare. Nel Centro-Sud il livello medio di abilità è più basso e più alta la percentuale di disuguaglianze dovute alle diversità nei punti di partenza. La famiglia esercita un’influenza anche nella capacità di successo nel lavoro. Agire sulle politiche scolastiche è senz’altro utile. Ma effetti sui processi di mobilità sociale si avranno solo con riforme serie del mercato delle professioni e dell’accesso alle carriere.

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