Le modifiche suggerite dalle Commissioni parlamentari peggiorano ulteriormente il testo sulla previdenza complementare e minano l’asse portante della delega. Se il Governo le accettasse, i lavoratori più giovani sarebbero discriminati nell’adesione alla previdenza complementare. Inoltre, la concorrenza fra fondi pensione contrattuali e adesioni collettive ai fondi pensione aperti sarebbe marginale e si baserebbe sulla forzatura delle norme che regolano i contratti di lavoro. La governance dei fondi sarebbe ridondante o contraddittoria, quella delle polizze previdenziali assicurative insufficiente.
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Il secondo pilastro del sistema pensionistico resterà “semi-obbligatorio” quand’anche la devoluzione “silenziosa” del Tfr dovesse, col tempo, diventare “del tutto” forzosa. Sarà infatti alimentato anche dalla libera contribuzione a carico delle imprese e dei lavoratori. Il carattere ibrido non aiuta a individuare le caratteristiche che il secondo pilastro dovrebbe avere, riguardo alla struttura dell’offerta, al regime fiscale e alla gestione delle rendite, al duplice fine di evitare a queste ultime incertezze ed abusi e di consentire al risparmio previdenziale di rendere al meglio.
Poniamo a disposizione dei lettori il parere legale nel quale Pietro Ichino argomenta l’incostituzionalità del testo di riforma del t.f.r. elaborato dal ministro Maroni. Il parere, redatto nel settembre 2005 su incarico dell’Ania, sviluppa tesi già sostenute dallo stesso Ichino nel primo e nel secondo volume del suo trattato su “Il contratto di lavoro” (Giuffré, rispettivamente 2000 e 2003). agosto 2004.
Alleghiamo inoltre il Testo Unico della previdenza complementare e la Legge n.243 del 23 agosto 2004.
La bozza di decreto legislativo di attuazione della delega previdenziale interviene anche sulla disciplina fiscale del risparmio previdenziale. Il regime precedente era già generoso anche rispetto al modello classico e non è stato un ostacolo allo sviluppo della previdenza complementare. Il sistema ora proposto non risponde a un disegno razionale e accentua lÂ’agevolazione, specialmente nei confronti dei soggetti ad alto reddito. L’onere sul bilancio pubblico è spostato nel futuro, a carico dei Governi che verranno. Ciò contribuisce però a renderla più incerta.
Molte variabili influenzano la scelta tra mantenimento del Tfr e trasferimento ai fondi pensione. Il profilo di rischio delle due forme di investimento è molto diverso. Per il Tfr, il rendimento è stabilito per legge e il credito maturato garantito dall’Inps. Per i fondi pensione, il risparmio è soggetto alla volatilità dei mercati finanziari e tutelato dalla normativa generale in materia. Una buona regolamentazione dei mercati finanziari, attenta in particolare ai piccoli risparmiatori, è una condizione necessaria per lo sviluppo della previdenza complementare.
Il modello previdenziale a capitalizzazione virtuale è uno strumento per evitare ritardi e squilibri nell’innalzamento dell’età lavorativa, conseguenza della crescente longevità . Ma l’efficacia del meccanismo è subordinata a un aggiornamento annuale dei coefficienti di trasformazione che deve riguardare solo le coorti di età pensionabile. In Italia la revisione è decennale, vale per tutti ed è in parte negoziale. Invece di risolvere queste difficoltà si preferisce rinunciare alla prima correzione, prevista per il 2006. Snaturando così la riforma del 1995.
La sostenibilità finanziaria è la vera scommessa per le casse professionali privatizzate. Le attuali buone performance di alcune categorie sono legate a un rapporto tra iscritti e pensionati ancora favorevole, ma che non sarà possibile mantenere nel futuro. In alcuni casi, poi, ai buoni andamenti demografici non corrisponde un saldo attivo di gestione. Né la soluzione è in una oculata amministrazione del patrimonio immobiliare e neanche nei fondi immobiliari. Sono palliativi che servono solo a rinviare le scelte verso l’equità attuariale.
L’evidenza empirica dimostra che in fatto di risparmio previdenziale, gli agenti economici non ispirano le proprie scelte a razionalità e ottimizzazione. Tendono a considerare le opzioni in silenzio-assenso come quelle “consigliate”. Soffrono di limitazioni cognitive che li portano a preferire lo status quo. Ignorano gli elementi rilevanti, mentre prendono in considerazione quelli irrilevanti. L’articolazione della gamma di alternative proposte al lavoratore e, soprattutto, la scelta che prevale in caso di silenzio, sono quindi tutt’altro che neutrali.
I decreti attuativi della legge delega eliminano le barriere alla concorrenza fra diverse forme previdenziali. Ma non assicurano adeguata tutela agli aderenti. Inoltre, introducono una discriminazione a danno della tassazione delle pensioni pubbliche, utilizzano gli incentivi fiscali a favore dei redditi più elevati, moltiplicano le aliquote. In più si indebolisce il legame essenziale fra adesione alla previdenza complementare e rendita in età non lavorativa. Invece di favorirlo, si rischia così di compromettere lo sviluppo della previdenza complementare.
La rapidità del trasferimento da una forma all’altra di previdenza complementare non dovrebbe essere l’unica preoccupazione del legislatore. Altrettanta attenzione si dovrebbe prestare alla trasparenza e alla sicurezza. Perché con il crescere del numero dei trasferimenti, aumenterà anche la possibilità di errori dovuti all’incompletezza del flusso informativo tra forma previdenziale cedente e cessionaria. E il termine massimo di due mesi per completare l’operazione rischia di essere fonte di nuova conflittualità tra fondi e tra fondi e aderenti.