La povertà degli italiani non interessa alla classe politica. Quando parla di un paese benestante perché i ristoranti sono pieni, Silvio Berlusconi riecheggia una frase analoga di Bettino Craxi. E conferma quanto ampia sia la distanza fra la classe politica e i problemi legati alle condizioni di vita delle fasce più marginali della popolazione. Ma questo atteggiamento di indifferenza è antico, radicato e persistente nella storia italiana. Forse è arrivato il momento di affrontare il problema.
Categoria: Povertà Pagina 23 di 31
Larticolo intende ricordare che la povertà relativa e la povertà assoluta rappresentano due indicatori concettualmente distinti. La povertà relativa, a dispetto di quanto suggerito dal termine, coglie la disuguaglianza della distribuzione piuttosto che la presenza di povertà. Se dunque si è interessati al fenomeno della povertà, conviene utilizzare altre misure, per esempio la povertà assoluta oppure la vulnerabilità alla povertà. Ciò non implica in alcun modo che landamento temporale e territoriale della disuguaglianza dei redditi sia un fenomeno privo dinteresse. In altre sedi abbiamo sostenuto esattamente il contrario (si vedano i capitoli Disuguaglianza e Povertà in In ricchezza e in povertà di G. Vecchi). Se loggetto di interesse è la disuguaglianza, esistono strumenti appositi per misurarne levoluzione e studiarne la struttura, per esempio lindice di Gini, per citare lindicatore forse più famoso (la letteratura è riassunta molto bene nel libro di Frank Cowell, Measuring Inequality, non ancora disponibile tuttavia in italiano).
Nellarticolo si ribadisce, inoltre, che la povertà assoluta non deve essere associata a una nozione di povertà estrema. La soglia di povertà assoluta dipende dal valore di ciò che si ritiene essenziale per unesistenza dignitosa, adeguata alla società alla quale si riferisce. Alla definizione di povertà assoluta concorrono elementi e scelte che sono spesso lesito di un processo politico tra le parti sociali di un paese. In tal senso, e in punta di teoria, la soglia di povertà assoluta può essere anche maggiore della soglia di povertà relativa.
La dinamica divergente della povertà assoluta tra il nord e il sud del paese segnala di certo il fallimento del processo dintegrazione economica tra le due aree, ma non ha alcuna implicazione normativa in favore di un modello dualistico di sviluppo; tuttaltro, saremmo tentati di dire.
Riguardo al grado di copertura delle stime presentate è certo che vi siano segmenti della popolazione che sfuggono alla rilevazione statistica. I limiti in questo caso, sono quelli imposti dallo schema di campionamento delle indagini campionarie che, comè noto, in Italia come altrove, non raggiungono le persone senza fissa dimora. Le indagini sui consumi e sui redditi delle famiglie condotte da Istat e Banca dItalia estraggono le famiglie da intervistare dalle anagrafi di ogni comune campione. In questo senso sembra ragionevole immaginare che le stime campionarie tendano a sottostimare il fenomeno della povertà, anche se non è dato sapere di quanto.
La crisi economica rende sempre più attuale il tema delle condizioni di vita degli italiani. A definire la povertà sono tre concetti cruciali. La povertà relativa è essenzialmente una misura della disuguaglianza. La soglia di povertà assoluta, invece, è identificata dal valore di un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali nel contesto sociale di riferimento. In Italia è oggi essenzialmente un problema del Sud. Ma particolarmente interessante è guardare alla “vulnerabilità alla povertà”, che misura la povertà di domani. Nel nostro paese potrebbe avere dimensioni drammatiche.
Le cause profonde dei disordini nel Regno Unito non sono da individuare nella crisi della convivenza tra diverse etnie. Ma nelle disuguanze sociali, rese più drammatiche dalla crisi economica. È questo il malessere del paese. Che si esprime senza motivazioni politiche con forme di violenza giovanile, con il saccheggio di oggetti di marca. Una rivolta anche contro i furbetti del mondo della finanza che sfrecciano impuniti su auto di lusso.
Il Governatore della Banca d’Italia si preoccupa per la riduzione della propensione al risparmio nelle classi di reddito più basse. E il rapporto Istat 2010 mette in evidenza l’impatto della crisi sulla disuguaglianza. Nell’Europa dei 15 gli indicatori di disuguaglianza dei redditi sono diminuiti tra il 1995 e il 2000, ma sono aumentati negli ultimi anni. Sulla distribuzione della ricchezza tra paesi, invece, mancano dati significativi dalle economie emergenti e il confronto non ha comunque molto senso se non si specificano gli aspetti distributivi o settoriali.
Il rapporto annuale dell’Istat descrive un’Italia in cui coesistono regioni del Nord con livelli di benessere o inclusione sociale analoghi a quelli della Svezia e regioni del Sud con rischi di povertà o esclusione prossimi a quelli della Romania. Le politiche sociali dei comuni non riescono peraltro a contrastare i divari, anche perché il Nord continua a destinare per la lotta alla povertà molto di più del Sud. E intanto il governo riduce i fondi per le politiche sociali, nonostante gli impegni presi con l’Europa.
Il Milleproroghe prevede la sperimentazione per un anno di una nuova social card. Perché sia proficuo l’esperimento deve far parte di un progetto organico di rafforzamento del nostro welfare. E va condotto in modo da comprendere quali siano le modalità più appropriate di fornitura della carta e delle misure di accompagnamento, oltre a quali siano le implicazioni finanziarie e organizzative per la sua estensione a tutte le famiglie in povertà assoluta. Insomma, una sperimentazione da prendere sul serio.
Le Acli hanno elaborato un Piano nazionale contro la povertà che corregge gli aspetti negativi della social card. Si tratta di una misura universale a sostegno delle famiglie in povertà assoluta, anche straniere se con residenza valida in Italia. Prevede un adeguamento dell’importo mensile, graduato in base al costo della vita del territorio. Alle erogazioni monetarie affianca servizi alla persona. Affida ai comuni un ruolo di regia e coinvolge il terzo settore. Nel primo anno bastano 300 milioni per avviare un percorso che può cambiare strutturalmente il welfare italiano.
I servizi sociali sono stati pesantemente penalizzati dai tagli di spesa. Ma nessuno ne parla. Persino sull’azzeramento del Fondo per la non autosufficienza, le reazioni sono state modeste anche da parte di sindacati, associazioni del terzo settore e comuni. Il governo punta a disimpegnarsi dal welfare dei servizi, mentre mantiene salda la gestione del welfare monetario, un insieme di misure poco efficienti, che assorbono gran parte della spesa sociale. Urgente una riforma complessiva della spesa e dei servizi sociali.
La crisi economico-finanziaria non nasce solo dagli squilibri internazionali. Ha come causa anche una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito negli Stati Uniti. I salari dei lavoratori con basso tasso di istruzione sono infatti fermi da trent’anni, mentre l’economia americana è cresciuta del 100 per cento. Per adeguare i consumi a quel livello di crescita economica, la metà della popolazione ha fatto ricorso al debito, alla fine diventato insostenibile. La soluzione della crisi passa per politiche redistributive politicamente difficili da accettare.